Sotto l’azzurro fitto
del cielo
qualche uccello di mare se ne va

né sosta mai
perché tutte le immagini portano scritto

“più in là!”




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"Io dichiaro la mia indipendenza. Io reclamo il mio diritto a scegliere tra tutti gli strumenti che l'universo offre e non permetterò che si dica che alcuni di questi strumenti sono logori solo perché sono già stati usati"

Gilbert Keith Chesterton



04 novembre 2010

«Cristiani bersagli legittimi»

«Cristiani bersagli legittimi»
Al-Qaeda minaccia ancora

«Bersagli legittimi», da colpire in ogni momento: questa la sorte dei cristiani in Iraq. La minaccia – gelida e sintetica – ieri correva con un nuovo messaggio sulla Rete: «Tutti i centri, organizzazioni, istituzioni, dirigenti e fedeli cristiani sono bersagli legittimi per i mujaheddin, ovunque possano colpirli», precisava il comunicato del “ministero della Guerra” dello Stato islamico iracheno.

Domenica sera, subito dopo la strage alla cattedrale di Nostra Signora del perpetuo soccorso, la rivendicazione del gruppo affiliato ad al-Qaeda: un attacco deciso per aiutare le «povere sorelle musulmane prigioniere dell’Egitto», scriveva il comunicato dello Stato islamico iracheno. Si concedevano 48 ore per liberare due donne «imprigionate nei monasteri dell’infedeltà nelle chiese dell’idolatria in Egitto». Si tratterebbe di Camilia Chehata e Wafa Constantine, mogli di sacerdoti copti, trattenute – secondo i terroristi – in un convento dopo essersi convertite all’islam. Fatti smentiti dalla gerarchia copta.

Un confuso movente per la strage di Ognissanti, che ieri ha aggravato ulteriormente il bilancio di morte: 58 le vittime in totale fra cui un terzo sacerdote, padre Qatin è morto per le ferite riportate nell’assalto. Gli inquirenti, rivela il Washington Post, hanno ritrovato fra le rovine della cattedrale tre passaporti yemeniti e due egiziani che dimostrerebbero la matrice straniera del commando dei terroristi.

Particolari che non cambiano la dura realtà dei cristiani d’Iraq: 
bersagli, e ormai da più di sette anni, con la sola prospettiva della fuga. Condizioni, constatava ieri amaramente l’arcivescovo siro-cattolico di Baghdad, Shaba Matoka, «che ci spingono a emigrare e che porteranno il nostro popolo a lasciare il Paese». Per questo l’arcivescovo – che martedì ha ricevuto una lettera di condoglianze da parte del Papa – ha chiesto a Benedetto XVI di lanciare «un appello alla comunità internazionale e agli Stati Uniti in modo particolare perché risolvano questo problema». Un intervento internazionale o la fine della comunità perché «non chiederemo più ai nostri di resistere e rimanere, se devono vivere in queste condizioni».

Una parere condiviso da monsignor Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio consiglio della Pastorale per i Migranti: la Santa Sede «si è impegnata e non cesserà di impegnarsi affinché i cristiani restino sulle loro terre», ma «il movimento emigratorio appare irreversibile». Disoccupazione, invecchiamento della popolazione nei Paesi di partenza, l’ingresso irregolare, il traffico di persone, la disgregazione delle famiglie, oltre alle violenze i maggiori problemi sociali che affliggono la minoranza. Anche se «l’attività caritativa delle comunità cristiane è una risposta immediata a tali sfide», secondo il presidente del dicastero vaticano, «è decisivo un impegno politico mondiale che affronti le cause ultime della migrazione, soprattutto povertà, violenza, persecuzione, ingiustizia, sottosviluppo e disoccupazione».

Disperazione in Iraq, allarme rosso in Egitto. Le autorità hanno rafforzato le misure di sicurezza in tutto il Paese, incluse Beheira e Minya, le due città di provenienza delle due donne copte, al centro delle minacce del gruppo iracheno di al-Qaeda. In serata, al Cairo, il capo della Chiesa copto-ortodossa, Shenuda III, è stato accolto con un applauso da migliaia di fedeli per la Messa settimanale: i controlli imponenti adottati non hanno frenato la partecipazione.

Intervistato poco prima dell’inizio della cerimonia, papa Shenuda ha affermato che quanto avvenuto in Iraq è «penoso e motivo di grande sofferenza». Quanto alle minacce contro la Chiesa in Egitto, Shenuda III si è limitato a dire: «Preghiamo Dio che tutto si calmi». In mattinata, anche i gruppi islamici egiziani più rappresentativi, come la Jamàa Islamiya e i Fratelli Musulmani, hanno preso le distanze dalle minacce lanciate da al-Qaeda: Secondo Najih Ibrahim, portavoce della Jamàa Islamiya, «gli attacchi alle chiese, l’uccisione di civili o il loro sequestro è vietato dalla sharia islamica». Per questo, ha aggiunto, «al-Qaeda non rappresenta l’Islam e mette in cattiva luce la religione».
Luca Geronico
Fonte




Ma si puo' sapere che cosa dice veramente la Shari'ah?
Perche' chi uccide lo fa in suo nome. Chi si indigna lo fa in suo nome.
Ma allora?
Io ho una mia idea su chi non e' sincero. Purtroppo.

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