Sotto l’azzurro fitto
del cielo
qualche uccello di mare se ne va

né sosta mai
perché tutte le immagini portano scritto

“più in là!”




.

"Io dichiaro la mia indipendenza. Io reclamo il mio diritto a scegliere tra tutti gli strumenti che l'universo offre e non permetterò che si dica che alcuni di questi strumenti sono logori solo perché sono già stati usati"

Gilbert Keith Chesterton



30 giugno 2011

I dogmatici.

Alla base del progetto di Egalia sta la lotta alla discriminazione sessuale. I bimbi, tutti da 1 a 6 anni, non vengono chiamati a seconda del loro sesso ma sono appellati indistintamente con il nome «friend», amico/a, e per dire «lui» o «lei» viene usato il pronome neutro svedese «hen», inesistente nel vocabolario svedese ma usato nei circuiti femministi ed omosessuali. I giochi e i libri sono mischiati, nella tipologia e nei colori, senza creare aree spiccatamente femminili separate da zone maschili. Un esperto di differenze di genere segue gli iscritti ed istruisce le maestre, tutto all'insegna della totale parità. «La società si aspetta che le bambine siano femminili, dolci e carine e che i bambini siano rudi, forti e impavidi. Egalia dà invece a tutti la meravigliosa opportunità di essere quel che vogliono», dichiara una delle insegnanti. Oltre a insegnare a non discriminare i generi, nell'asilo Egalia si gioca con bambole di colore e si leggono libri che raccontano anche storie diverse, come l'amore tra due giraffe maschi. E in libreria non compaiono i classici come Cenerentola e Biancaneve, così ricchi di stereotipi sulla figura femminile.


Fonte


Se l'idea di queste persone fosse vera, ovvero che la sessualita' sia legata esclusivamente al contesto culturale, nessuno avrebbe nulla da dire. Anzi, sarebbe auspicabile che in una scuola, o comunque, ovunque, i bambini non subissero un lavaggio del cervello o nessun condizionamento. Sono bambini e sono molto recettivi nei confronti del mondo che li circonda.
Inculcargli una ideologia sarebbe quasi criminoso.
Quello che si vuol fare in questo asilo, dopotutto, e' proprio liberare i bambini dalla dogmatica differenza dei generi.

Pero', se il dogma fosse il loro?
Nel senso, se davvero ci fossero differenze tra maschi e femmine che vadano oltre alla presenza o meno del "pipino"?

Chiunque ha studiato un poco di fisiologia, o anche solo anatomia, conosce l'importanza dell'apparato endocrino in un organismo. Gestisce il nostro organismo in parallelo al sistema nervoso. Un ruolo importantissimo, quindi, capace di influenzare, bypassando il sistema nervoso, reazioni e stati d'animo, rendendoci piu' propensi ad essere "aggressivi" o "fugaci", auementando la nostra libido o azzerandola.
Ora, pare che nei maschietti e nelle femminuccie, ci siano evidenti differenze nel sistema endocrino (e' quello che gestisce lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari).
E anche l'encefalo, nelle dimensioni e nello sviluppo delle varie aree fuzionali del cervello pare che presenti differenze di sesso. Basti pensare che l'encefalo di un uomo ha un volume maggiore del 9% rispetto a quello di una donna. (senza correlazioni con differenze di intelligenza).
C'è quindi un sano dimorfismo sessuale che trova spiegazione evolutivamente, senza troppa difficolta'.
Le femmine che riuscivano a curare maggiormente la propria prole, davano a quest'ultima(e quindi a se stesse) una fitness maggiore. I maschi che riuscivano a fecondare piu' femmine, ad avere piu' prole, avevano un successo evolutivo maggiore.
Quindi i maschietti si sono evoluti piu' aggressivi delle femminuccie.
Quest'ultime si sono evolute piu' empatiche e affettuose dei maschietti.
(almeno, questo parrebbe)
Quindi la principale differenza di sesso tra un bambino e una bambina non ha basi culturali ma puramente biologiche. Il fatto che un bambino preferisca giocare alle armi, o a giochi piu' fisici, e' un retaggio dei comportamenti piu' aggressivi e piu' fisici che ci portiamo dietro da centinaia di migliaia di anni. Milioni di anni.

Bene, dopo tutta questa pappardella non esaustiva e decisamente semplicistica (ci sono 2 libri carini sull'argomento, scritti da una neuropsichiatra, Louann Brizendine se qualcuno volesse approfondire) dove voglio arrivare?

Beh, c'è chi dice una cosa che ha delle basi quantomeno mediche.
Altri che sostengono l'opposto in virtu' di un dogma.
Le differenze tra i sessi sono scritte nei cromosomi, Y≠X. Banalmente.
La sessualita' e' solo culturale. Y=X.
Una delle due cose e' vere, una e' falsa.

Posso dire che quest'asilo, e in generale l'idea che ci sta dietro e' una emerita stronzata?
Basta con questa paura della diversita'!
Altro che omofobici.Questi si che hanno una ossessione, una ossessione per la diversita'.
Cosa c'è di male nell'essere diverso? Nell'essere maschio o femmina? Nell'avere gusti diversi?
E' davvero cosi' invivibile un mondo di pluralita'? Dobbiamo per forza appiattirci tutti alla stessa altezza?
Dobbiamo tutti essere degli "Hen"? Tutti grandi "friend"?
Questa non e' apertura mentale, ma appiattimento su un solo misero orizzonte.
E' cosi' brutto essere diversi? Io preferisco.

29 giugno 2011

La Chiesa e' fascista. I Patti Lateranensi. La Chiesa e' fascista. I Patti Lateranensi. La Chies...

E il Duce chiuse l’Azione cattolica

«27 maggio. Vado in u­dienza dal Papa… Rife­rii i tormenti, le perse­cuzioni cui erano costretti i nostri giovani. Sì – mi rispose – Il mo­mento è delicato. Ma non vi è niente di temibile che avvalori le sue supposizioni. Il Nunzio è stato di recente ricevuto dal governo ed ha avuto assicurazioni». Mentre Angelo Raffaele Jervolino, presi­dente dei giovani cattolici, veniva così autorevolmente confortato da Pio XI, i prefetti di tutt’Italia il 26 maggio 1931 avevano ricevuto di­sposizioni dal ministro dell’Interno (lo stesso Mussolini) di procedere allo «scioglimento di tutte le asso­ciazioni giovanili non dipendenti direttamente dal Partito Nazionale Fascista e dall’Opera Nazionale Ba­lilla». Le sedi dei circoli venivano così sigillate; sequestrati i beni e i documenti, con particolare inte­resse per l’elenco degli iscritti. Il 3 giugno un dispaccio dell’agenzia Stefani informava che l’ordine di scioglimento era stato eseguito «senza il minimo incidente». Nello stesso giorno un comunicato del Pnf proclamava «di non tollerare che sotto qualsiasi bandiera, vec­chia o nuova, l’antifascismo super­stite trovi rifugio e protezione». Il regime dava una motivazione «po­litica» al provvedimento, denun­ciando la presenza nelle organizza­zioni cattoliche di ex esponenti del Partito Popolare. Ma il partito fa­scista non aveva messo in conto la reazione immediata di Pio XI.

Ai salesiani e agli scolopi ve­nuti il 30 e 31 maggio per fargli gli auguri di com­pleanno dichiarava: «Si può do­mandarci la vita, ma non il silenzio quando si fa scempio di quello che forma la pre­dilezione vivissima del nostro cuore… Scempio, diciamo, perché prepara­to prima da una campa­gna di stampa a base di invenzioni, di irriverenze, di calunnie, poi da una campagna di piazza e di strada fatta di indecenze, di sopraffazioni, di vio­lenze, non rare volte cruenti, bene spesso di molti contro pochi e sempre iner­mi figli nostri e figlie ancora». Il 1° giugno Pio XI convocava i cardinali presenti a Roma e L’Osservatore Ro­mano informava che sarebbe stato sospeso a Roma il congresso euca­ristico e proibite in tutte le parroc­chie le processioni del Corpus Do­mini. Infine i dirigenti delle asso­ciazioni cattoliche (a cominciare da Jervolino) venivano ospitati, per maggiore loro sicurezza, in Vaticano. La bufera non era ancora finita. Il 22 giugno il Papa parlava ad allie­vi e professori del collegio di Propaganda Fide: «Un discorso violen­tissimo, nel quale è successo l’irre­parabile», lo definiva l’ambasciato­re Cesare Maria De Vecchi . Alla fi­ne del mese – ci rifacciamo ancora alla relazione di Jervolino – «Pio XI per tre giorni rimase chiuso nella sua biblioteca e scrisse di suo pu­gno interamente, in italiano e non in latino, la lettera enciclica Non abbiamo bisogno». Il quotidiano della Santa Sede l’avrebbe pubbli­cata il 5 luglio, quando ormai il te­sto era conosciuto (e ripreso dalla stampa internazionale) perché fat­to pervenire direttamente ai Nunzi dei diversi Paesi; Montini in perso­na l’avrebbe portato a Monaco e a Berna. A due anni dalla Concilia­zione, il clima d’intesa tra Santa Se­de e regime rischiava di saltare. Il Concordato aveva salvaguardato l’autonomia delle organizzazioni cattoliche (purché non uscissero dalle sacrestie) ma ben presto, die­tro i soprusi fascisti, era emersa l’inconciliabilità di fondo sulla «questione educativa» che la Chie­sa non poteva accettare fosse gesti­ta da un regime la cui ideologia «si risolveva in una vera statolatria pa­gana». L’enciclica, nel confutare tutte le «ingiuste» accuse mosse contro i giovani cattoli­ci, non metteva in di­scussione le intese rag­giunte né condannava il partito e il regime co­me tali, soffermandosi invece su quanto era incompatibile con la dottrina della Chiesa. Veniva così denunciato il momento formativo del fascismo che incita­va «all’odio, alla violen­za, all’irriverenza». In particolare il Papa si occupava del giuramento richiesto per la tessera fascista (che allora era quasi una condizione necessaria per il lavoro, la carriera, il pane): «Che rimane a pensare e a giudicare, circa una formula che anche a fanciulli e fanciulle impone di eseguire senza discutere ordini che possono con­dannare contro ogni verità e giusti­zia, la manomissione dei diritti del­la Chiesa e delle anime?». In quel convulso e drammatico inizio d’e­state si collocava anche, il 23 luglio, la riunione dei 21 cardinali presen­ti a Roma; si è parlato di un «conci­storo segreto» i cui contenuti po­trebbero essere resi noti già que­st’anno con l’apertura degli archivi vaticani e la pubblicazione degli appunti delle udienze con il Papa stesi dal segretario di Stato Eugenio Pacelli.

Ma altri studiosi ritengono che al centro dell’incontro, durato oltre due ore e sul quale è stato finora posto il segreto più assoluto, ci sia stato l’atteggia­mento da seguirsi nel conflitto or­mai aperto tra Santa Sede e Italia. I cardinali suggerirono al Papa la strada della trattativa seria con il regime «condotta da abili negozia­tori », escludendo una rottura trau­matica. Come è noto sarebbe stato il gesuita Pietro Tacchi Venturi a ti­rare le fila di un negoziato conclu­so con un’intesa il 2 settembre 1931; i circoli della Gioventù catto­lica potevano riaprire, anche se formalmente ristretti nelle loro attività e sotto il pieno controllo dell’autorità ecclesiastica. L’asso­ciazionismo cattolico iniziava un non facile cammino che l’avrebbe portato dal consenso (indubbio negli anni della guerra d’Etiopia) all’«afascismo» e poi, in settori sempre più ampi, all’antifascismo.

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Interessante articolo.

27 giugno 2011

L'idea era troppo buona per lasciarla cadere cosi'...

Ci avevano gia' provato qualche giorno fa in Pakistan; fortunatamente un poliziotto decisamente sgamato si era accorto dello strano rigonfiamento sotto le vesti della piccola e riuscirono a salvarsi e a salvarla.
Questa volta no..

Muore bambina mentre trasporta bomba per un attentato alle forze di polizia. 
Aveva 8 anni, le avevano nascosto l'ordigno in una borsa. L'esplosione non ha causato altre vittime

Una bambina afgana di 8 anni è morta nell'esplosione di una bomba nascosta nella borsa che le era stata affidata dai miliziani perchè la portasse alle forze di polizia afgane. Stando a quanto riferito domenica dal ministero dell'Interno afgano, la bambina è morta sabato nella provincia di Uruzgan, nel sud dell'Afghanistan, quando i ribelli hanno innescato a distanza l'ordigno.

«I nemici della pace e della stabilità hanno commesso un altro crimine imperdonabile e vergognoso - ha dichiarato il ministero - una borsa carica di esplosivo che le avevano detto di portare alla polizia». La bambina, «in buona fede, ha preso la borsa e si è diretta verso una vettura della polizia. Quando si è trovata vicino al veicolo, il nemico ha fatto esplodere la bomba a distanza, uccidendo la bambina innocente», ha aggiunto. L'esplosione non ha causato altre vittime.

Fonte


Ora, non so se le bombe NATO sono intelligenti o meno.
Non so se le bombe al fosforo sono legittime o no.
E non so nemmeno se esistono bombe giuste.


Pero' bombe che piangono, o sorridono...
quantomento sconvenienti!




Si avvicina e sorride, rispondi con un sorriso a tua voltSBBBUMM
Qualce straccio qua e la. Un dente, una ciocca di capelli e il segno di una esplosione, gocce rosse tutt'intorno.
Lei non lo sapeva.

Mi fanno schifo, piu' della guerra in se, i modi vili di condurla.
Le mine, i kamikaze, le bombe, gli scudi umani e da oggi anche questo.

Si facesse anche solo con i fucili, non pretendo un ritorno all'arma bianca, e sicuramente passerebbe la voglia a molti. Probabilmente a tutti.

21 giugno 2011

Si Si Si Si ... o no?

Roma Passata la sbornia di entusiasmo per la «spallata» affibbiata a Berlusconi******* con la vittoria referendaria, in casa Pd si iniziano a fare i conti con le conseguenze concrete della consultazione. E sull’acqua «bene pubblico» per gli amministratori locali del Pd son già dolori. Tanto che si vuol cercare una soluzione legislativa che rimetta ordine nel caos creato dai due quesiti idrici: «È necessario mettere riparo in fretta ai vuoti normativi che si sono aperti», dice Sergio D’Antoni, responsabile dell’organizzazione e delle politiche del Pd* sul territorio. E per farlo, ammette, occorre trovare un’intesa con la maggioranza di centrodestra, senza i cui voti nessuna legge può passare. Dal Pdl però si reagisce con cautela: «Certo bisognerà trattare, ma come facciamo a fidarci di un Bersani che fino ad un anno fa propagandava le privatizzazioni dei servizi locali e poi si è buttato sul carro referendario?».

Per capire la portata del problema che ora si pone agli amministratori (e ai cittadini che aprono i rubinetti), si prenda il caso Hera, la holding bolognese quotata in Borsa che gestisce i servizi idrici, ambientali ed energetici in Emilia Romagna. Un colosso, il secondo gestore delle acque in Italia, e legato a doppio filo ai governi locali della regione più «rossa» d’Italia: per Hera, il referendum è stato un terremoto, e sono i cittadini che rischiano di pagarne il conto salato. Il 13 giugno la società ha annunciato che non firmerà più la convenzione con gli enti locali che prevedeva investimenti per 70 milioni di euro sulla rete idrica. In Borsa ha perso circa il 10 per cento del suo valore, bruciando circa 187 milioni di capitalizzazione: per il Comune di Bologna (appena riconquistato dal Pd), che ha il 13% delle quote, si tratta di una perdita secca di 25 milioni e mezzo ** ; 35 i milioni persi dai comuni della provincia. Le conseguenze catastrofiche del sì ai due quesiti vengono spiegate, in una intervista al Corriere di Bologna, dall’assessore provinciale all’Ambiente della Provincia di Bologna, Emanuele Burgin, che non a caso era schierato per il no: «Serve una nuova legge nazionale, perché siamo in una situazione di stallo. Se a Bologna si fermano 70 milioni di investimenti, con tutte le conseguenze che si possono immaginare anche in termini economici e di occupazione, il dato nazionale è pari a 6 miliardi». Difficile però pensare che governo e Parlamento rispondano a questa esigenza in tempi brevi. Quindi? «Quindi — dice Burgin — non sappiamo come fare. I soldi per fare investimenti gli enti locali non li hanno. Rispettiamo la volontà espressa dal referendum, che ha abrogato una norma introdotta dal governo Prodi, ma bisogna dire con altrettanta onestà che il ricorso ai privati era l’unico modo per finanziare gli investimenti».
Erasmo D’Angelis, ex consigliere regionale toscano del Pd e oggi presidente di Publiacqua, la società idrica locale, solleva un altro problema potenzialmente esplosivo: «Da oggi, dopo l’abrogazione del 7%, che bollette mandiamo ai nostri cittadini? Formalmente dovrebbero valere le vecchie tariffe, ma mi aspetto che se non le riducessimo saremmo presto sommersi da una valanga di ricorsi dei consumatori». E infatti il Codacons già minaccia: «Le bollette devono scendere immediatamente del sette per cento. *** Siamo pronti ad una class action nel caso i gestori non applichino immediatamente l’esito referendario». Incalza De Angelis: «Dove li prendiamo adesso i soldi per le infrastrutture? Ce li daranno i sindaci****? Publiacqua ha aperto un cantiere da 71 milioni di euro a Firenze, per dare una fogna a mezza città. In totale abbiamo programmato investimenti per 740 milioni nei prossimi dieci anni. Quelli di Milano mi hanno detto che loro hanno in cantiere opere per 800 milioni. Come facciamo?***** Tremonti ci mette a disposizione la Cassa depositi e prestiti per finanziarci******?».

Fonte


******* Ma quale spallata a Berlusconi, il voto mica era politico, era fatto su precise e attente analisi del quesito. Si e' votato solo per la scelta piu' giusta, mica per dare una spall... no ragazzi, non avrete votato per  dare una spallata al silvio vero? Voi avete letto i quesit... li avete capi.. no? Dai, seri...oh..

* Non venitemi a dire che e' un venduto o altro. E' semplicemente uno che sa di cosa sta parlando e sa qual era la cosa giusta da fare. Sta dando ragione al Governo pur essendo tesserato PD. So che per molti l'esercizio della propria onesta'intellettuale e' cosa ignota, ma credetemi, e' possibile farlo. Davvero. Anche a costo di andare contro il partito. Basta ragionarci, pero', e' statisticamente impossibile che il governo sbagli sempre e comunque. (come del resto e' impossibile che faccia tutto bene, ma questo anche un pirla lo capisce, e' evidente)

** 25500000€, divisi per i 381.860 abitanti di Bologna fanno poco piu' di 66€ a testa, che arrotonderemo per compassione a soli 66€.
Stimiamo che la bolletta, a Bologna, sia in media con l'Italia(312€ a famiglia), ma per pieta' aumentiamola
a 350€ a famiglia. Ipotizziamo che la famiglia media sia composta da 3 soggetti. Ora, calcoliamo il 7% di 350€, ovvero l'importo risparmiato. Strepitoso!! Ben 24€ a famiglia, addirittura 8€ a testa. Mentre la perdita di capitale dovuto alla svalutazione in borsa etc etc etc e' di 66€ a testa, pari a 198€ a famiglia. Che colpaccio! Chi glielo spiega adesso?

*** Essi', ci mancherebbe anche che adesso dobbiamo essere risarciti. Sarebbe davvero da pezzenti ignoranti. 8€ a testa. Perche' ci mancano 8€ a testa.

**** Non si puo'. Gia'  si faceva fatica a mantenere ilpatto di stabilita' ieri, aggiungere queste spese oggi e' impossibile, salvo introdurre una tassa di scopo (ma allora non era meglio continuare a pagare una bolletta un filo piu' salata?)

***** Mah,  io chiederei a qualcuno di quei 27 milioni (quanti sono?) di cittadini assolutamente bene informati sui fatti che non hanno mica votato "si" solo per andare contro il governo ma solo dopo attentissime valutazioni e dopo aver vagliato ogni alternativa, il vero cervello pulsante del paese, la coscienza collettiva libera, il lato buono dell'italia, quelli che davvero perseguono il bene comune e non certo gli interessi dei privati, cattivi, come quegli stolti che hanno votato no (e che sicuramente avrebbero avuto una % dei miliardari profitti delle losche speculazioni sul piu' prezioso bene dell'Italia). Loro lo sanno. Non sbagliano mai. Sono la parte migliore del paese.

****** E Tremonti i soldi  dove li prende? Li sottrae ad altri capitoli di spesa, leggasi tagli (che la gente non vuole). Oppure li recupera alzando un po' qualche tassetta qui e una la' (ma allora non era meglio continuare a pagare una bolletta un filo piu' salata?). Oppure... boh... ditemi, come fa lo Stato a prendere i soldi?



Vi leggo l'etichetta, si vede poco. Petroleum Jelly. E ce n'è per tutti. Si Si Si Si.

20 giugno 2011

Gente perbene.

Pakistan, fermata kamikaze di nove anni

Le forze di sicurezza pachistane hanno bloccato nel nord-ovest una bambina kamikaze di nove anni che stava per realizzare un attentato. La bimba, di nome Suhana Ali, è stata bloccata non lontano da un posto di controllo a Islam Dara, nel distretto di Lower Dir della provincia di Khyber Pashtunkhwa (Pakistan nord-occidentale), quando un agente ha notato sul suo corpo un innaturale rigonfiamento.

Un controllo ha permesso di appurare che la ragazzina aveva indosso un giubbotto esplosivo pronto per essere attivato. L'operazione di polizia, e l'età della piccola, sono stati confermati da un ufficiale della polizia. "Sushana - ha spiegato - viene dall'area di Hashtnagri vicino a Peshawar ed è stata sequestrata da quattro persone, uomini e donne. Suo padre è handicappato e povero, mentre la madre è una sarta".

Durante l'interrogatorio la bimba ha detto che i suoi rapitori le hanno somministrato sedativi. "Mi hanno ordinato di premere il bottone - ha infine detto - al momento di passare nel posto di controllo, ma la polizia mi ha fermato prima che io vi arrivassi".

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E noi ci chiediamo perche' siamo in Afghanistan.

Gli strani interessi di Moody's. Ma l'Italia ha davvero problemi

Ha guadagnato le prime pagine dei giornali la decisione di Moody’, la principale agenzia di rating del mondo, che, pur confermando l'attuale valutazione per il debito pubblico italiano, ha avvisato di un possibile taglio in futuro. L’Italia è sotto osservazione perché è in dubbio che riesca a garantire il pareggio di bilancio promesso per il 2014 adottando le misure necessarie a ridare fiato alla crescita economica, condizione indispensabile per mantenere la sostenibilità dei propri conti.
In verità la decisione di Moody’s, così come quella un mese fa dell’altra grande agenzia Standard & Poor, è arrivata tutt’altro che a sorpresa e si tratta anzi di una correzione nel giudizio quasi doverosa anche di fronte alle carenze della politica economica e all’evolversi della situazione finanziaria internazionale.
Ma chi sono e che fanno queste agenzie? Sono soprattutto tre quelle a praticamente controllano tutto il mercato: oltre alle due citate c’è Fitch e tutte e tre sono americane. Sono nate un secolo fa e si sono date il compito di classificare i prestiti obbligazionari di stati, imprese e grandi società, per offrire agli investitori strumenti utili per valutare il rischio.  Vi è da notare che sono gli stessi governi e le stesse imprese che pagano le agenzie di rating per le loro valutazioni: proprio perché avere un rating alto è fondamentale per collocare i propri titoli presso i fondi di investimento e gli altri investitori istituzionali. Molti fondi pensione, per esempio, non possono acquistare prodotti classificati al di sotto di una certa valutazione per garantire il più possibile il rendimento del patrimonio dei loro sottoscrittori.
Le pagelle che le società di rating utilizzano sono perlomeno bizzarre. Al livello minimo di rischio corrisponde la tripla A (Aaa) ed è il livello in cui sono collocati i titoli emessi dagli Stati Uniti, dalla Svizzera, dalla Germania. La doppia A (Aa) corrisponde ad un debito di alta qualità ed è il livello in cui ora si trova l’Italia. Con una sola A si ha un debito di buona qualità ma soggetto a rischio futuro. Ma si può scendere anche al livello B, dove si trovano gran parte delle società industriali che emettono titoli obbligazionari e che viene considerato un grado di protezione medio, mentre con la C si indicano più o meno elevati rischi di insolvenza.
Tornando alla decisione di Moody’s sull’Italia va sottolineato che si è trattato non tanto di un cambio di valutazione quanto della dichiarazione di aver messo sotto osservazione il debito pubblico italiano. L’ipotesi è che in futuro vi possano essere le condizioni per scendere di un gradino nei giudizio di valutazione riportando l’Italia al livello in cui era fino al 2002. Nulla di catastrofico quindi, ma sicuramente un campanello di allarme determinato dal fatto che di fronte all’aggravarsi delle condizioni del credito internazionale, soprattutto per la crisi della Grecia, l’Italia non appare in grado di adottare le misure necessarie per tenere sotto controllo il proprio bilancio pubblico.
Ora non c’è bisogno di vivere nei sofisticati centro studi di New York per accorgersi che il Governo italiano è da mesi impegnato a parlare d’altro rispetto ai problemi della politica economica, del taglio della spesa pubblica, del sostegno all’occupazione e alla crescita. Non c’è bisogno di avere una laurea ad Harvard per capire che in un Paese, come l’Italia appunto, che ha un debito pari al 120% del Pil non dovrebbe focalizzare l’attenzione della politica sulla possibilità di spostare qualche ministero da Roma a Milano.

Ma detto questo resta il fatto che il ruolo delle agenzie di rating appare tutt’altro che costruttivo e trasparente. E’ ormai un rito ricordare che fino a pochi giorni prima del fallimento anche la banca d’affari Lehman Brother’s aveva un rating molto alto. Ma il vero problema è che, data la fragilità dei mercati, i giudizi delle agenzie sono tali da creare le condizioni per auto-avverarsi. E’ più che probabile per esempio che proprio la crisi greca si sia aggravata per i giudizi negativi sempre più pesanti delle agenzie di rating, giudizi che hanno provocato una fuga dal debito… il che ha praticamente costretto le agenzie ad ulteriori valutazioni negative.
E peraltro i giudizi negativi vengono pubblicati il più delle volte quando le difficoltà si sono già presentate: il che serve poco o nulla a chi è cascato nello sfortunato collocamento. Queste agenzie poi sono la rappresentazione più concreta del conflitto d’interesse, dato che, come detto, si fanno pagare dalle stesse istituzioni  a cui danno le valutazioni.
Dopo la crisi del 2008 peraltro, il governo americano aveva provato a ridimensionare il loro ruolo, ma senza riuscirci. E molti si sono chiesti se questo non sia avvenuto per le pressioni degli operatori di Wall Street, operatori che speculano alla grande proprio partendo dalla loro “strana” capacità di anticipare le decisione delle agenzie.
E’ anche per questo che la Securities and Exchange Commission (Sec), l’agenzia federale statunitense di controllo sulle operazioni finanziarie (l’equivalente della Consob italiana), ha deciso di aprire un’indagine su alcune agenzie di rating, per il ruolo svolto prima e durante la crisi finanziaria del 2008-2009. In particolare per non aver segnalato l’esistenza di titoli spazzatura come si sono rivelati quelli legati ai mutui subprime.
E non sorprende che di volta in volta le agenzie di rating siano state  paragonate alle locuste, ai corvi, agli avvoltoi: tutti animali che si garantiscono le sopravvivenza con  le disgrazie altrui.

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Non so a voi, ma a me queste agenzie, e le persone che le gestiscono, trasmettono davvero poca fiducia.
Mi sembrano dei Berusconi alla decima potenza.
Sono talmente potenti da poter addirittura evitare di scendere in politica, gia' adesso possono controllare piu' di uno stato standosene seduti nel loro ufficio.
Pero', curiosamente, nessuno ne parla mai, e se lo si fa ci si limita a diffondere le loro valutazioni e basta.
O sono santi, o sono demoni. Delle due l'una.




(io di finnza ci capisco nulla, e per di piu' sono molto prevenuto nei confronti delle superbanche e dei vari mostri della finanza e dintorni)

17 giugno 2011

E un silenzio che assorda.

"Gendercidio": all'ONU si firma contro l'aborto selettivo

Correva l’anno 1985, quando la studiosa americana Mary Anne Warren denunciava, pioniera, i rischi dello sterminio volontario di un genere sessuale nel saggio «Gendercide: The Implications of Sex Selection». È passato un quarto di secolo e lungi dal rivelarsi un’iperbolica previsione, il «gendercidio», punta avanzata della crescente violenza contro le donne, si è trasformato in drammatica attualità. Ieri cinque agenzie dell’Onu hanno firmato a Ginevra una dichiarazione contro l’aborto selettivo delle bambine diffusissimo in Asia sud-orientale, mentre uno studio del Fondazione Thomson Reuters rilascia ora la classifica dei Paesi più pericolosi per la popolazione femminile, uccisa prima o dopo la nascita, socialmente discriminata o marginalizzata fino al silenzio. È noto che povertà e sottosviluppo non favoriscano le pari opportunità.

Con l’87% delle donne analfabete e il 70% costrette a matrimoni combinati, l’Afghanistan guida la lista nera della Fondazione Reuters. Seguono il Congo con l’orrendo primato di 1152 stupri al giorno, il Pakistan degli oltre mille delitti d’onore l’anno, l’India e i suoi 3 milioni di prostitute, il 40% delle quali minorenni, e la Somalia, dove il 95% delle ragazze ha subito mutilazioni genitali. Eppure il benessere economico non sembra serva da antidoto contro la mattanza, che già nel 1990 il Nobel Amartya Sen stimava aver impoverito il mondo di almeno 100 milioni di esseri femminili. Taiwan e Singapore, per dire, sono campioni di crescita, ma mostrano una sproporzione nel numero di fiocchi azzurri che sarebbe biologicamente impossibile senza l’intervento umano.

C’è poi la Cina, dove secondo la Chinese Academy of Sociale Sciences entro il 2020 un uomo su 5 non potrà sposarsi per mancanza di potenziali mogli, decimate dalla selezione «innaturale» che già oggi «produce» 134 neonati ogni 100 neonate. Sbaglierebbe anche chi attribuisse la moria al perdurare atemporale del comunismo o alla famigerata politica del figlio unico. Il fenomeno infatti è in ascesa anche nei Paesi a dir poco allergici all’eredità sovietica, come Armenia, Azerbaijan e Georgia, o nella modernissima India, modello globalmente esaltato di democrazia liberista. «Crescere una figlia è come innaffiare l’orto del vicino», recita un proverbio indù, alludendo all’inutile investimento sulla prole destinata alla famiglia del futuro marito. Il risultato è che la più grande democrazia della Terra guadagna capacità tecnologica, ma perde ogni anno 600 mila bambine (più esposte a morte precoce perché trascurate).

E non conta che dal 1994 il governo abbia bandito l’aborto selettivo: se un tempo la diagnosi prenatale costava 110 dollari e prometteva ai genitori di far risparmiare i 1100 dollari della dote, oggi con 12 dollari lo scanner a ultrasuoni è alla portata dei meno abbienti e più interessati ad allevare braccia maschili. Figurarsi gli altri, benestanti e dunque convinti a riprodursi in modo contenuto e ottimale in termini di benefici futuri. Il tutto con buona pace della legalità. L’impressione di studiosi come il demografo dell’American Enterprise Institute Nick Eberstadt è dunque che il «gendercidio» abbia poco a che fare con l’arretratezza economica e culturale, ma dipenda piuttosto dall’atavica preferenza per il maschio, dal boom delle famiglie ridotte e dalle tecnologie diagnostiche, una miscela letale di pregiudizi antichi e nuovi bisogni.

Qualcuno in realtà comincia già ad invertire la marcia. La Corea del Sud, fino al 1990 assestata su standard cinesi, ha compensato il dislivello maschifemmine con un’impennata di matrimoni misti, che dal 2008 sono oltre l’11% del totale. L’alternativa è l’aggressività macha di città come Pechino, dove negli ultimi 20 anni la delinquenza è raddoppiata, o Mumbai, con gli uomini senza donne responsabili per almeno un decimo dell’aumento dei crimini. L’emancipazione femminile batte in ritirata? Al ritmo di due passi avanti e uno indietro c’è da sperare. Sebbene la crisi abbia colpito l’occupazione rosa e la violenza domestica avvicini tristemente Oriente e Occidente, un rapporto della Casa Bianca rivela che le donne contemporanee si laureano e brillano nel lavoro più dei maschi. Certo, i loro stipendi sono fermi al 70% di quelli dei colleghi ma gradi e responsabilità combaciano. La sfida è di genere, il pericolo però riguarda tutti: se crolla quella che Mao definiva l’altra metà del cielo è difficile che sotto qualcuno sopravviva.

Fonte







Guardala negli occhi.

15 giugno 2011

Farsi infinocchiare. Lo state facendo giusto.

Legislatura 16º - Disegno di legge N. 2462

Art. 1.
(Finalità)
    1. La presente legge disciplina, nel rispetto dei princìpi di sostenibilità di cui all’articolo 3-quater del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.  152, e successive modificazioni, e della normativa comunitaria, le modalità di governo della risorsa idrica per i diversi usi, le modalità di regolazione e di gestione del servizio idrico integrato e le modalità di sviluppo delle dotazioni infrastrutturali idriche.

[...]

Art. 9.
(Affidamento e revoca della gestione)
    1. L’Assemblea d’ambito, nel rispetto del principio di unitarietà, efficienza, efficacia ed economicità affida la gestione del servizio idrico integrato secondo le disposizioni in materia di servizi pubblici locali. L’erogazione del servizio avviene secondo le discipline di settore e nel rispetto della normativa dell’Unione europea, con conferimento della titolarità del servizio:
        a) a società a capitale interamente pubblico, a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano.
        b) a società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei princìpi di cui alla lettera c), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio, l’apporto al capitale sociale, l’attribuzione di specifici compiti operativi e un piano di gestione pluriennale del servizio, comprensivo di impegni monitorabili e sanzionabili in materia di investimenti, manutenzioni, evoluzione tariffaria e indici di qualità connessi alla gestione del servizio; in tal caso, il successivo riaffidamento della gestione è comunque effettuato attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica, a cui la società mista pubblica e privata è ammessa a partecipare, nel rispetto dei princìpi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei princìpi generali relativi ai contratti pubblici;
        c) a società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica nel rispetto dei princìpi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei princìpi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei princìpi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità.

Art. 10.
(Tariffa del servizio idrico integrato)
    1. La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato.
    2. L’Autorità, di concerto con le Regioni, con apposito regolamento da emanare entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, definisce la metodologia per la determinazione della tariffa per usi civili e industriali nonché le modalità per la revisione periodica, tenendo conto:
        a) della qualità del servizio idrico fornito, dell’uso razionale della risorsa, con penalizzazione per gli usi impropri e gli sprechi;
        b) del costo delle opere e degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria;
        c) dei costi di gestione delle opere e degli impianti;
        d) dei contributi ai costi di gestione delle aree di salvaguardia, ai costi necessari a garantire la cura del territorio, la manutenzione dei bacini idrografici, la tutela dei corpi idrici, in particolare nei territori montani;
        e) della remunerazione dell’attività industriale, secondo i criteri stabiliti dall’Autorità;
        f) della quota della tariffa da destinare agli investimenti e della quota della tariffa da versare nel fondo di cui all’articolo 15.
    3. La tariffa deve incentivare il risparmio idrico e l’uso efficiente della risorsa.

(ovvero la tariffa deve aumentare, cosi' chi e' virtuoso nel risparmio e nell'uso efficiente ci guadagna, mentre chi ne fa un pessimo uso spende di piu', ed e' incentivato ad adottare misure di risparmio. Questa e' la mia interpretazione, sfido voi a trovarne un'altra. Da apprezzare la perifrasi e lo stile politicamente corretto che hanno usato, ancora una volta, per infinocchiare i cittadini, cioe' noi.)

Fonte

Tipico del governo(sono loro che la vogliono privatizzare la nostra acqua).
Se ne fotte delle decisioni del popolo.
Entra da una parte, ed esce dall'altra, il nostro volere. Si abroga una legge ed eccone pronta un'altra che dice esattamente le stesse cose.
Clamoroso.


Volete proprio sapere chi sono quelle cacche che hanno proposto una legge che va contro le nostre decisioni, e piu' in generale contro quello che PD e IdV giustamente sostengono da mesi?

Eccole qui le cacche --->  CLICCA QUA


14 giugno 2011

Ricordati che dopo la matita c’è la vita.

Ovvero, hai voluto la bicicletta, adesso pedala.

Mi riferisco, naturalmente, al terzo quesito del referendum di due giorni fa.
Abbiamo scelto di dire di no al nucleare, di optare per una strada verde, di puntare forte sul solare e sull'eolico.
Il che comporta la scelta di fonti di energia rinnovabili, con la creazione della fantomatica rete energetica intelligente dove tutti produciamo e immettiamo nel sistema una porzione di energia. Quindi piuttosto che comprarsi la macchina nuova, mi aspetto che uno decida di istallare sul proprio tetto un bel pannello fotovoltaico. E mi aspetto che a fare questa scelta non siano in pochi, ma almeno il 52% degli aventi diritto, in coerenza con le loro legittime convinzioni, magari facendo anche un piccolo sacrificio economico, ma daltronde, per la salute e il futuro della terra questo e altro.
E comporta anche un significativo risparmio energetico, che si concretizza con la scelta di elettrodomestici solo di classe AAA o migliori, la scelta di accorgimenti adeguati nella realizzazione della propria casa,anche se questo significa spendere di piu', o nel caso uno la casa l'abbia gia', la realizzazione degli stessi nel breve periodo, la decisione di fare a meno del condizionatore, vera macchina divora energia, per tutta questa estate,riscoprendo nel calore  l'energia luminosa solare buona che attraverso dinamiche naturali si converte in termica, l'impegno di spegnere costantemente i led degli elettrodomestici spenti e l'attenzione nello spegnere sempre la luce quando si esce da un locale, l'abitudine di usare un po' di meno il PC preferendo a facebook(tanto per dire) un sano giretto per le vie del paese, rinunciando alla televisione, magari anche solo una sera a settimana, per cominciare, fino a non usarla piu' del tutto oltre il calar del sole.
E comporta l'adozione di uno stile di vita sobrio, sveglliandosi presto la mattina in concomitanza con il sole, in modo da sfruttare al meglio l'energia che esso ci dona, e andando a letto presto la sera con la consapevolezza che molto probabilmente l'energia elettrica che si consuma dopo il tramonto non proviene da fonti rinnovabili e che quindi e' coerente non utilizzarla.
E comporta anche l'interruzione immediata delle importazioni di corrente elettrica dalla Francia e da ogni altro paese che sfrutta il nucleare, sistema che l'Italia tutta rifiuta legittimamente e rigetta, in quanto pericoloso per l'ambiente e per la vita. E noi non facciamo affari con i mercanti di morte.

E questo post e' serio.
Abbiamo scelto di intraprendere una strada verde, e che strada verde sia.
E non si puo' che partire da noi e non si puo' che partire da subito.
Lo abbiamo scelto noi.

Ricordati che dopo la matita c'è la vita.

Altrimenti sei un quaquaraqua'.



PS: Non affannatevi pero' a risparmiare l'acqua. Continueremo molto probabilmente(lo stato non investe, non ha soldi, dovrebbe fare tagli da altre parti e non sia mai) a sprecarne almeno il 30% in ogni istante. Una falla in un tubo perde 24h su 24, anche quando te non usi l'acqua. Quindi rimuovete pure il frangigetto che avete istallato, magari con convinzione, sotto il rubinetto e riprendete a lavarvi i denti con l'acqua che va. Sono ininfluenti, praticamente. E ricordati che quel 30% e' in parte, almeno, merito tuo. Ma va bene cosi'. E' una scelta nostra.

13 giugno 2011

Quote CO2

Quanto dovra' pagare il Cile per le emissioni di CO2 del Puyehue?
No, dico, una nube che va dal Cile all'Australia di lapilli, cenere, acidi vari, molti altri gas e tanta CO2 avra' certamente un impatto catastrofico sui tassi di anidride carbonica globali.
Qualcuno deve pagare.

E che sia il Cile!


Liberi di scegliere... il colore del patibolo.

In pochi mesi abbiamo perso il gas dalla Libia e il possibile nucleare (Importazioni di uranio dal Canada, dal Kazakhstan e dall'Australia a scelta).

Ovvero come mettersi a novanta gradi e offrire vaselina alla Russia (dell'affabile Putin, che finche' c'è Silvio ci va anche bene, e abbiam detto tutto) e al Medioriente.

Tutte scelte che vanno a limitare direttamente e indirettamente la nostra sovranita' popolare in virtu' degli interessi economici e politici di altri stati che detenengono la maggioranza dei nostri approvvigionamenti energetici. Come se gia' essere in balia delle banche non fosse abbastanza...


10 giugno 2011

Vogliamo parlarne?



10.06|18:57
arrotoxieta
Vogliamo parlare dei miliardi e miliardi di esseri umani di cui nessuno sa esattamente che fare? Forse su questo pianeta si potrebbe vivere in 2-3 miliardi al massimo. Siamo 7. Questo è il vero problema del presente, e del futuro. Le "rivoluzioni arabe" non sono altro che questo: collasso sociale dovuto all'eccesso di popolazione. Ne vedremo sempre di più. Altro che dromedari.

Fonte
(dai commenti del corriere che sono una fonte inesauribile di cattiveria e malafede)


Ogni volta che leggo o sento commenti di questo genere mi sento un po' disorientato. E devo dire che mi succede non cosi' raramente, purtroppo.
E' una posizione profondamente inconciliabile con praticamente tutto, eppure magari viene sostenuta con fermezza. Bah.

C'è da sottolineare che questi luminari della scienza delegano volentieri ad altri il doveroso impegno di lasciare questo mondo.
Loro sono sicuramente parte degli eletti, ci mancherebbe...

Mai uno che, resosi conto che l'uomo e' l'ineluttabile tumore del mondo, si decida a fare la sua parte per il bene della natura gettandosi da un ponte. E' da merde non fare proprio nulla per salvare il mondo. E scusate se e' poco.

09 giugno 2011

Uno ogni cinque.

La scorsa settimana, nella mia qualità di Rappresentante dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) per la lotta al razzismo, alla xenofobia e all’intolleranza e discriminazione contro i cristiani, sono stato relatore a un grande evento organizzato dalla Presidenza ungherese dell’Unione Europea al Castello Reale di Gödöllo?, presso Budapest, sul tema del dialogo interreligioso fra cristiani, ebrei e musulmani. Vi hanno partecipato, fra l’altro, il cardinale Péter Erdö, presidente dei vescovi europei, il custode di Terrasanta padre Pierbattista Pizzaballa, l'arcivescovo Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio per i Migranti, l'arcivescovo maronita di Beirut Paul Matar, il metropolita Hilarion, “ministro degli esteri” della Chiesa Ortodossa Russa, il rappresentante del Congresso Ebraico Europeo Gusztáv Zoltai, quello dell'Organizzazione della Conferenza Islamica Ömür Orhun, il segretario generale del Comitato per il dialogo islamo-cristiano in Libano, Hares Chakib Chehab.
Dal mio intervento e dalla discussione che ne è seguita i giornalisti presenti hanno ricavato soprattutto la mia affermazione secondo cui ogni anno i cristiani uccisi nel mondo per la loro fede sono 105.000, uno ogni cinque minuti. Come avviene nell’epoca di Internet, dalle auree volte del Castello Reale di Gödöllo? la citazione è rimbalzata su quotidiani e siti di tutti i continenti. È certamente servita a risvegliare le coscienze sul tema dei cristiani perseguitati. Di questo sono molto contento: sono all’OSCE per questo.
Ma – com’è naturale – una minoranza di coloro che hanno riferito la notizia ha sollevato dubbi su una cifra che a prima vista può sembrare eccessiva. In Italia si è distinta per un’ironia fuori luogo quando si parla di morti la solita UAAR, l’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti. In queste reazioni c’è già di per sé una lezione: si sottovaluta talmente il problema dei cristiani perseguitati che le cifre – quando sono citate – sembrano a prima vista incredibili. Da dove vengono, dunque, le statistiche che ho citato in Ungheria? La base è costituita dai lavori del principale centro mondiale di statistica religiosa, l’americano Center for Study of Global Christianity, diretto da David B. Barrett, che pubblica periodicamente la notissima World Christian Encyclopedia e l’Atlas of Global Christianity. I lavori di Barrett e del suo centro sono i più citati nel mondo accademico, e non solo, per le statistiche internazionali sui membri delle diverse religioni.
Nel 2001 Barrett e il suo collaboratore Todd M. Johnson iniziarono a raccogliere statistiche anche sui martiri cristiani. Nella loro importante opera World Christian Trends AD 30 – AD 2200 (William Carey Library, Pasadena 2001) cercarono di calcolare il numero totale di martiri cristiani – e per la verità anche di altre religioni – nei primi due millenni cristiani, fino all’anno 2000. Naturalmente, Barrett e Johnson avevano anzitutto bisogno di una definizione di martiri cristiani. Sceslero “credenti in Cristo che hanno perso la loro vita prematuramente, nella situazione di testimoni, come risultato dell’ostilità umana”. Avvertivano che perdere la propria vita “nella situazione di testimoni” non implica alcun giudizio sulla santità personale del martire ma comporta che sia stato ucciso perché cristiano, non come vittima di una guerra o di un genocidio con motivazioni prevalentemente politiche o etniche e non religiose.
Il volume del 2001 concludeva che i martiri cristiani nei primi due millenni erano stati circa settanta milioni, di cui quarantacinque milioni concentrati nel solo secolo XX. Una robusta parte metodologica, che – aggiungo – è uscita semmai rafforzata da dieci anni di discussione sul volume, spiegava i criteri di calcolo adottati. Da allora, Barrett e Johnson hanno aggiornato annualmente i loro calcoli, senza modificare criteri e definizioni. Negli anni 2000 il numero di martiri è cresciuto fino a raggiungere verso la metà del decennio il tasso allarmante di 160.000 nuovi martiri all’anno. Nel 2010 – come spiegano in un articolo intitolato “Christianity 2011: Martyrs and the Resurgence of Religion” pubblicato sul numero di gennaio 2011 (vol. 35, n. 1) della rivista del loro centro, l’“International Bulletin of Missionary Research” – il numero di martiri è diminuito rispetto alla metà del decennio precedente, principalmente perché “la persecuzione dei cristiani nel Sud del Sudan si sta placando come effetto degli effetti degli accordi di pace nel 2005”. Tuttavia rimangono, o si aggravano, altri focolai di martirio, in particolare la Repubblica Democratica del Congo e la Corea del Nord.
Considerati questi fattori una stima prudenziale per il 2011, che Barrett e Johnson propongono “con fiducia”, è di circa “centomila martiri in un anno”. Questa cifra è considerata eccessivamente prudente in un volume importante che mi propongo di recensire in altra occasione per i lettori della Bussola Quotidiana, The Price of Freedom Denied dei sociologi statunitensi Brian J. Grim e Roger Finke (Cambridge University Press, Cambridge 2011), dove la teoria sociologica detta dell’economia religiosa è applicata allo studio statistico delle persecuzioni religiose e delle loro conseguenze sociali. Grim e Finke citano altri dati secondo cui il numero di martiri cristiani che perdono la vita ogni anno potrebbe essere più alto, fra 130.000 e 170.000. Nel mio intervento di Budapest ho voluto adottare una revisione minima della stima di Barrett e Johnson, supponendo che dalle 100.000 vittime circa del 2010 si passi a 105.000 nel 2011: una cifra molto minore di quella proposta da Grim e Finke.
105.000 morti all’anno significano fra 287 e 288 morti al giorno e dodici all’ora, cioè uno ogni cinque minuti. Può darsi che si debba seguire la stima più bassa di Barrett e Johnson e che i minuti siano cinque e mezzo anziché cinque. O che abbiano ragione invece Grim e Finke e muoia un cristiano ogni quattro minuti, non ogni cinque. La linea di tendenza rimane comunque spaventosa. Se non si gridano al mondo le cifre della persecuzione dei cristiani, se non si ferma la strage, se non si riconosce che la persecuzione dei cristiani è la prima emergenza mondiale in materia di violenza e discriminazione religiosa, il dialogo tra le religioni e le culture produrrà solo bellissimi convegni, ma nessun risultato concreto. Chi nasconde le cifre forse semplicemente preferisce non fare nulla per fermare il massacro.

Fonte






"L'uomo a cui Dio ha confidato la buona gestione della natura non può essere dominato dalla tecnica e diventare suo soggetto. Una tale presa di coscienza deve condurre gli Stati a riflettere insieme sull'avvenire a breve termine del pianeta, riguardo alle loro responsabilità verso la nostra vita e le tecnologie".

"in questo senso è divenuto necessario rivedere completamente il nostro approccio con la natura"

"Occorre inoltre interrogarsi sul giusto posto che deve occupare la tecnica. I prodigi di cui è capace vanno di pari passo con disastri sociali ed ecologici. Estendendo l'aspetto relazionale del lavoro al pianeta, la tecnica imprime alla globalizzazione un ritmo particolarmente accelerato. Ora, il fondamento del dinamismo del progresso corrisponde all'uomo che lavora e non alla tecnica, che non è altro che una creazione umana. Puntare tutto su di essa o credere che sia l'agente esclusivo del progresso o della felicità comporta una reificazione dell'uomo, che sfocia nell'accecamento e nell'infelicità quando quest'ultimo le attribuisce e le delega poteri che essa non ha. Basta constatare i "danni" del progresso e i pericoli che una tecnica onnipotente e in ultimo non controllata fa correre all'umanità."
"l'ecologia umana è un imperativo"

"Adottare stili di vita rispettosi dell'ambiente e sostenere la ricerca e lo sfruttamento di energie che in grado di salvaguardare il patrimonio del creato ed essere senza pericolo per l'uomo, devono costituire priorità politiche ed economiche".


Benedetto XVI




Un despota retrogrado, ignorante e logicamente oscurantista.

06 giugno 2011

Un bel posto da ri visitare.




Basta chiudere gli occhi un attimo che le immagini di questi posti riaffiorano alla mente come se li avessi visitati poche ore prima.
Nitide e chiare. Con il rumore del vento sull'erba e le note acri del fumo di un camino nascosto. Qualche scintillio lontano. Lo sciabordio delle onde. Come se  fossi ancora nel bel mezzo.
Come se ci fossi mai stato.


L'ho sempre detto, non c'è agenzia di viaggi migliore che una biblioteca ben fornita.


PS: A ben pensarci pero' io li ci sono stato per davvero.

04 giugno 2011

Pappapparaparapappappara...

La Corea del nord? Un luogo idilliaco:
nell'«Indice della felicità» stilato dal governo di Pyongyang è al secondo posto al mondo dopo la Cina



MILANO - Come nella migliore delle tradizioni, quando si parla di Corea del Nord, le informazioni sono sempre poco chiare. La propaganda ufficiale ha talmente modificato le vicende del «Caro leader» Kim Jong-il e dei 24 milioni di cittadini che vivono in quello che è uno dei regimi dittatoriali più isolati, chiusi e repressivi al mondo, da rendere oramai impossibile distinguere realtà e leggenda. La televisione di stato nordcorena ha pubblicato ora i risultati dell’«indice di felicità delle nazioni». Al primo posto? La Cina. Ultimi: gli Stati Uniti. LA CLASSIFICA - Qual è la nazione più felice del mondo? L’emittente nordcoreana Chosun Central TV ha presentato i risultati del «Happiness Indexes», un nuovo indice legato alla misurazione della felicità di ogni Paese, elaborato dai funzionari governativi del regime di Pyongyang. Ebbene, il primo posto è occupato dalla Cina con il massimo del punteggio (100). La Corea del Nord è seconda con 98 punti. A seguire: Cuba, Iran e Venezuela. In fondo alla graduatoria che elenca i Paesi in base alla soddisfazione delle persone ci sono le nazioni arcinemiche: Corea del Sud (152°) con 18 punti, e gli Usa (definiti «Impero americano»), ultimi al 203esimo posto. Nella sintesi ripresa dal «Global Post» non c’è traccia dei parametri utilizzati, nè a quale posizione si piazzano le nazioni europee. Ciò nonostante, le conclusioni della ricerca sono state analizzate con un misto di scetticismo e ironia da blog e forum, anche in Cina. «Vi prego, mandatemi negli Stati Uniti così che possa soffrire un po’ anch’io», recita sarcastico uno dei commenti sul popolare forum di discussione cinese, Mop.
REALTÀ E LEGGENDA - Il sondaggio oltremodo fazioso fa parte della nota campagna di disinformazione messa in atto dal «Caro leader», il dittatore che guida il Paese dal 1994. Sono diventate culto infatti le tante fotografie di Kim Jong-il diffuse con una certa frequenza dall'agenzia di stampa nordcoreana Kcna. Ritraggono il «presidente perpetuo» in visita alle fabbriche nordcoreane e lo vedono intento a toccare i più svariati prodotti: pasticcini, stivali, reggiseni, vasi, apparecchi scientifici. Hanno due scopi: trasmettere un Paese normale e prospero ed evidenziare la buona salute del dittatore. La realtà però è ben diversa: l'«indagine sulla felicità delle nazioni» stilato dalla Corea del Nord ha presumibilmente escluso la povertà estrema in cui versano milioni di cittadini e le centinaia di migliaia di persone rinchiuse nei campi di detenzione. Amnesty International ha recentemente pubblicato un rapporto sulle condizioni «spaventose» in cui si trovano i detenuti: si stima che il numero di questi centri sia notevolmente aumentato negli ultimi anni, fino a contenere almeno duecentomila persone.

Fonte

Non so voi, ma io mi terrei alla larga da questi paesi troppo felici.
Non sia mai che ti capiti una giornata no e si debba essere felici per legge, perche' il partito lo vuole.
Suppongo non sia una cosa piacevole.
O no...

Ah, gia'... se sei triste, soma per tutti!




PS: mai tag di un post fu piu' indovinata!

PPS: c'è da dire che non sono nuovi a questi metodi di lavaggio del cervello. Pare sia un vizietto di partito.

03 giugno 2011

Referendum e monossido di diidrogeno II

I prossimi 12 e 13 giugno gli italiani saranno chiamati a votare quattro referendum: sul legittimo impedimento, sul nucleare e (due) sull’acqua. Ieri è arrivato dalla Cassazione il via libera definitivo al quesito sull’atomo, dopo che il governo aveva già abrogato tutte le norme investite dalla formulazione precedente. Adesso gli italiani dovranno decidere se cancellare l’articolo 5, commi 1 e 8 della legge Omnibus: l’uno non fa altro che dichiarare le ragioni per cui il governo intende abbandonare l’atomo, l’altro impegna alla redazione della strategia energetica nazionale. Una scelta, dunque, assai singolare, che se da un lato mina la portata pratica del quesito, dall’altra lo mette in rotta di collisione con una delle principali accuse che l’opposizione rivolge all’esecutivo in materia di politica energetica (appunto, non aver mai prodotto una strategia energetica).
Sull’acqua, invece, gli italiani dovranno rispondere a due quesiti. Il primo, che riguarda anche altri servizi pubblici locali quali la gestione dei rifiuti e il trasporto pubblico, chiede di abolire l’obbligo di affidamento del servizio, in via ordinaria, tramite gara. Contemporaneamente cadrebbe anche l’altra possibilità offerta ai comuni, prevista sempre dalla legge Ronchi-Fitto, quella di scendere gradualmente nel capitale degli attuali gestori, trovando un socio industriale “con specifici compiti operativi” selezionato anch’esso attraverso una procedura a evidenza pubblica. La legge Ronchi è il logico, anche se insufficiente, punto di arrivo di un percorso (bipartisan) iniziato con la legge Galli e proseguito con la legge Napolitano-Vigneri e il ddl Lanzillotta.
Il secondo quesito, che invece è specifico del settore idrico, cancellerebbe le parole “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito” dalle voci di costo che possono essere trasferite in tariffa. In sostanza, poichè i capitali costano, gli investimenti nell’intero ciclo dell’acqua (dalla captazione alla depurazione) sarebbero coperti solo parzialmente dalla tariffa, e per il resto dalle finanze pubbliche locali (tasse o debito pubblico).
Nella pratica, i referendum imporrebbero una rivoluzione copernicana all’attuale organizzazione del servizio idrico, riportandolo – concettualmente – a prima del 1994. Eppure, secondo Federutility sono necessari investimenti nell’ordine di almeno 64 miliardi di euro per raggiungere gli standard europei, tappare le falle (i nostri acquedotti perdono il 37 per cento dell’acqua trasportata) e realizzare i depuratori dove non esistono o sono obsoleti. La campagna referendaria ha trascurato due aspetti importanti dell’intera impalcatura normativa, e ne ha lasciato in ombra un terzo. Anzitutto, l’acqua e le reti sono e restano di proprietà pubblica – il privato può (se vince una gara alla quale possono partecipare pure soggetti pubblici) aggiudicarsene la mera gestione.
Secondariamente, le tariffe italiane sono tra le più basse in Europa (la spesa media pro capite per la bolletta dell’acqua è attorno ai 100 euro all’anno). Peraltro, anche per razionalizzare gli usi, è importante che la tariffa rifletta tutti i costi relativi al consumo idrico. Terzo, i referendum non intaccano – e i referendari raramente ne parlano – l’aspetto regolatorio. Il potenziamento della Commissione nazionale di vigilanza sulle risorse idriche, che dovrebbe diventare un’autorità indipendente, può essere una buona notizia, se avrà risorse e competenze appropriate. Ma finché non si sottrae la politica tariffaria dalle mani degli uomini politici, che hanno interesse a usarla o come strumento clientelare, o come leva elettorale, difficilmente i problemi verranno risolti.
Rifiutarsi di risolvere i problemi equivale o a spostare il costo sulle generazioni future, o accettare un costo ambientale (sotto forma di stress idrico o di inquinamento) in luogo di uno economico. Che tutto questo nasca da un movimento che si dichiara ecologista è solo la parte più folkloristica del paradosso. La parte più ingombrante, invece, è che si continui a parlare del colore del gatto, mentre quasi nessuno s’interessa ai topi.

Fonte

"...la quantità di acqua immessa nel sistema idrico nel 2008, riferita a 36,5 milioni di abitanti, è di 5,308 miliardi di m3. Questo dato parametrato sugli attuali 60 milioni di abitanti, così come indicato dallo stesso Co.Vi.Ri, implica una valore di 8,72 miliardi di m3 del prezioso liquido immessi nei tubi. Tenuto conto che la percentuale media di perdite del sistema idrico italiano è del 30% ecco, allora, che si giunge al valore di 2,61 miliardi di m3..." 

"Al di là degli sprechi c'è un altro dato che fa riflettere. La media degli investimenti europea per garantire un sistema efficiente è di 274 euro al metro cubo di H2O. Ebbene, in Italia, questo valore si aggira, secondo Kpmg, sui 107 euro."

Fonte

Sottolineo ancora una delle ultime frasi del primo articolo, "accettare un costo ambientale in luogo di uno economico".
Cioe' siamo disposti, pur di non spendere qualche euro in piu' in bolletta, a lasciare le cose come stanno. Cioe' male. Alla fine, se dobbiamo rifare le tubature perche' perdono, o costruire un nuovo depuratore, e' giusto che lo paghino gli utenti che direttamente ne fanno uso.
E' anche un buon sistema di controllo. Se io utente mi trovo a pagare 400€ in piu' all'anno di bollette senza che vengano costruite infrastrutture, vado dritto dritto in comune. Immagino che non saro' il solo, ma che sia una condizione di tutti. Forse manca uno strumento di controllo, o forse c'è gia', con la facolta' di ritirare l'asegnazione del bando e indire una causa contro l'ex vincitore che ha disatteso il bando stesso.
Sarebbe sicuramente un metodo piu' sicuro e chiaro che non finanziare gli stessi lavori, o la stessa Ferrari del vincitore dell'appalto, con soldi che arrivano comunque da noi, ma tramite giri piu' complessi e sicuramente meno limpidi. Chi va a sapere quanto soldi si intasca quella tale azienda sotto forma di contributi statali?Dovresti proprio andartelo a cercare, mentre la bolletta, e' lei che cerca te.

Mi pare evidente che se servono davvero quei 64.000.000€ di investimenti (e servono per prevenire le perdite di acqua, il termine oro blu non l'ho coniato io; c'è chi fa la guerra per averne, e noi la buttiamo via? Oppure per depurare i nostri scarichi che vanno in mare e alterano l'ecosistema danneggiandolo; si, e' vero, niente panda in pericolo e nessun cucciolo di orso bianco da salvare, ma la questione e' la stessa. Ma evidentemente sono cose che non ci interessano. Salvo poi fare slogan e pagliacciate sul risparmiare l'acqua in casa... ), che sia lo Stato a pagare o che siamo noi non fa nessuna differenza, in quanto semplicemente, lo stato Siamo noi.
Solo, preferisco sapere precisamente quanto do e a chi, cosa che, se dovessimo votare Si, sarebbe piu' difficile, e andrebbe quindi ad avvantaggiare chi, nel pubblico, si arricchisce alle nostre spalle (che e' un infame quanto il privato che lo farebbe al suo posto, non cambia nulla).


Per quanto riguarda il secondo articolo, e' del 2009, in tempi assolutamente non sospetti. Il quadro descritto non e' certo roseo. Se vogliamo addirittura fare un passo indietro, prego.

E quindi?
E quindi No No No Si.

02 giugno 2011

"Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede" I

Cari amici,
ripenso spesso alla Giornata Mondiale della Gioventù di Sydney del 2008. Là abbiamo vissuto una grande festa della fede, durante la quale lo Spirito di Dio ha agito con forza, creando un’intensa comunione tra i partecipanti, venuti da ogni parte del mondo. Quel raduno, come i precedenti, ha portato frutti abbondanti nella vita di numerosi giovani e della Chiesa intera. Ora, il nostro sguardo si rivolge alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù, che avrà luogo a Madrid nell’agosto 2011. Già nel 1989, qualche mese prima della storica caduta del Muro di Berlino, il pellegrinaggio dei giovani fece tappa in Spagna, a Santiago de Compostela. Adesso, in un momento in cui l’Europa ha grande bisogno di ritrovare le sue radici cristiane, ci siamo dati appuntamento a Madrid, con il tema: “Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede” (cfr Col 2,7). Vi invito pertanto a questo evento così importante per la Chiesa in Europa e per la Chiesa universale. E vorrei che tutti i giovani, sia coloro che condividono la nostra fede in Gesù Cristo, sia quanti esitano, sono dubbiosi o non credono in Lui, potessero vivere questa esperienza, che può essere decisiva per la vita: l’esperienza del Signore Gesù risorto e vivo e del suo amore per ciascuno di noi.

1. Alle sorgenti delle vostre più grandi aspirazioni
In ogni epoca, anche ai nostri giorni, numerosi giovani sentono il profondo desiderio che le relazioni tra le persone siano vissute nella verità e nella solidarietà. Molti manifestano l’aspirazione a costruire rapporti autentici di amicizia, a conoscere il vero amore, a fondare una famiglia unita, a raggiungere una stabilità personale e una reale sicurezza, che possano garantire un futuro sereno e felice. Certamente, ricordando la mia giovinezza, so che stabilità e sicurezza non sono le questioni che occupano di più la mente dei giovani. Sì, la domanda del posto di lavoro e con ciò quella di avere un terreno sicuro sotto i piedi è un problema grande e pressante, ma allo stesso tempo la gioventù rimane comunque l’età in cui si è alla ricerca della vita più grande. Se penso ai miei anni di allora: semplicemente non volevamo perderci nella normalità della vita borghese. Volevamo ciò che è grande, nuovo. Volevamo trovare la vita stessa nella sua vastità e bellezza. Certamente, ciò dipendeva anche dalla nostra situazione. Durante la dittatura nazionalsocialista e nella guerra noi siamo stati, per così dire, “rinchiusi” dal potere dominante. Quindi, volevamo uscire all’aperto per entrare nell’ampiezza delle possibilità dell’essere uomo. Ma credo che, in un certo senso, questo impulso di andare oltre all’abituale ci sia in ogni generazione. È parte dell’essere giovane desiderare qualcosa di più della quotidianità regolare di un impiego sicuro e sentire l’anelito per ciò che è
realmente grande. Si tratta solo di un sogno vuoto che svanisce quando si diventa adulti? No, l’uomo è veramente creato per ciò che è grande, per l’infinito. Qualsiasi altra cosa è insufficiente. Sant’Agostino aveva ragione: il nostro cuore è inquieto sino a quando non riposa in Te. Il desiderio della vita più grande è un segno del fatto che ci ha creati Lui, che portiamo la sua “impronta”. Dio è vita, e per questo ogni creatura tende alla vita; in modo unico e speciale la persona umana, fatta ad immagine di Dio, aspira all’amore, alla gioia e alla pace. Allora comprendiamo che è un controsenso pretendere di eliminare Dio per far vivere l’uomo! Dio è la sorgente della vita; eliminarlo equivale a separarsi da questa fonte e, inevitabilmente, privarsi della pienezza e della
gioia: “la creatura, infatti, senza il Creatore svanisce” (Con. Ecum. Vat. II, Cost. Gaudium et spes, 36). La cultura attuale, in alcune aree del mondo, soprattutto in Occidente, tende ad escludere Dio, o a considerare la fede come un fatto privato, senza alcuna rilevanza nella vita sociale. Mentre l’insieme dei valori che sono alla base della società proviene dal Vangelo – come il senso della dignità della persona, della solidarietà, del lavoro e della famiglia –, si constata una sorta di “eclissi di Dio”, una certa amnesia, se non un vero rifiuto del Cristianesimo e una negazione del tesoro della fede ricevuta, col rischio di perdere la propria identità profonda. Per questo motivo, cari amici, vi invito a intensificare il vostro cammino di fede in Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo. Voi siete il futuro della società e della Chiesa! Come scriveva l’apostolo Paolo ai cristiani della città di Colossi, è vitale avere delle radici, delle basi solide! E questo è particolarmente vero oggi, quando molti non hanno punti di riferimento stabili per costruire la loro vita, diventando così profondamente insicuri. Il relativismo diffuso, secondo il quale tutto si equivale e non esiste alcuna verità, né alcun punto di riferimento assoluto, non genera la vera libertà, ma instabilità, smarrimento, conformismo alle mode del momento. Voi giovani avete il diritto di ricevere dalle generazioni che vi precedono punti fermi per fare le vostre scelte e costruire la vostra vita, come una giovane pianta ha bisogno di un solido sostegno finché crescono le radici, per diventare, poi, un albero robusto, capace di portare frutto.


Quanto mi piace quest'uomo!