Sotto l’azzurro fitto
del cielo
qualche uccello di mare se ne va

né sosta mai
perché tutte le immagini portano scritto

“più in là!”




.

"Io dichiaro la mia indipendenza. Io reclamo il mio diritto a scegliere tra tutti gli strumenti che l'universo offre e non permetterò che si dica che alcuni di questi strumenti sono logori solo perché sono già stati usati"

Gilbert Keith Chesterton



25 aprile 2011

25 Aprile

"(...)Non c'è coraggio nell'attaccare qualcosa di vecchio o antiquato, non più di quello che occorre per offrirsi di combattere contro la nonna di qualcuno. L'uomo davvero coraggioso è colui che sconfigge le tirannie nate al sorgere di questa giornata e le superstizioni appena sbocciate, come i fiori a primavera".

Gilbert Keith Chesterton




Il problema oggi non sono i fascisti.

24 aprile 2011

Pasqua



16- 1Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù. 2Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. 3Esse dicevano tra loro: "Chi ci rotolerà via il masso dall'ingresso del sepolcro?".4Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande. 5Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d'una veste bianca, ed ebbero paura. 6Ma egli disse loro: "Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano deposto. 7Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto". 8Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché

[questo e' l'...]

 1- 1Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio.

22 aprile 2011

Sono Gaia e scrivo perche' ho una tasiera davanti.

Anton, calciatore e gay  «In Italia non l'avrei detto»
«Anche in Svezia mi insultano, ma non volevo più nascondermi».

I compagni hanno reagito bene 




GÖTEBORG - Qui, nella bionda, civile, laica e tenacemente monarchica Svezia, il peggio che ogni weekend gli può capitare è qualche «finocchio!» che piove giù dagli spalti del campetto dell'Utsiktens Bk, berciato da uno dei duecento biondi, civili, laici e forse tenacemente monarchici tifosi avversari saliti fino a Göteborg per insultare lui, il primo calciatore professionista dichiaratamente gay dai tempi della favola nera di Justin Fashanu: coming out nel '90 e un suicidio per impiccagione otto anni dopo essere stato rigettato dal mondo del calcio come un organo trapiantato male.
Anton Hysen, 20 anni, figlio orgoglioso di uno degli atleti che negli anni 80 contribuirono ad alimentare il mito del calciatore-macho, Glenn Hysen (difensore di Fiorentina e Liverpool, un indimenticato tackle sulle caviglie di Gary Lineker a Wembley che è ancora tra i ricordi più cari della Kop), due orecchini, un piercing sulla lingua, otto tatuaggi destinati a crescere (Ynwa sul braccio: sta per You'll never walk alone, il coro-totem della curva del Liverpool, città dove è nato), uno zio omosessuale, una cugina lesbica, terza stagione nella divisione 2 svedese (più di una Lega dilettanti, meno di una serie C italiana), è il ragazzo finito in copertina sul Guardian e, a cascata, su tutti i quotidiani. «Sei la quinta giornalista che viene a intervistarmi. Ma la prima non inglese - dice, tirandosela un po', davanti a una carbonara fumante -. E perché, poi? Perché sono gay. Ma cosa avrò di così speciale...?».
Niente, in effetti. Più aderente alla delicata iconografia dei personaggi di E.M. Forster che a un certo burlesque da Gay Pride («Oh, quelle forme di esibizionismo della propria omosessualità non fanno per me, così come non sono attratto dai gay effemminati, che pure mi corteggiano»), Anton pur essendo ingenuo e a digiuno di cose della vita sa benissimo che una storia come la sua in Italia non avrebbe diritto di cittadinanza. «Non ho niente da nascondere, ho fatto coming out per poter vivere me stesso alla luce del sole. Certo vivo in Svezia, un Paese ateo e liberale, una scelta del genere in una nazione cattolica come l'Italia sarebbe stata più difficile. Ai tifosi dovrebbe interessare che sono un giocatore tecnico e non velocissimo, se mi schierano in difesa o esterno di centrocampo, e non con chi vado a letto». Ti insultano? «Certo che mi insultano». E cosa dicono? «Finocchio! Giochi come una femminuccia! Cose così...». E tu come reagisci? «Sento i cori, penso che provengono da gente ignorante e immatura, torno a concentrarmi sulla partita». E i tuoi compagni di squadra come hanno reagito? «Bene. Sono persone gentili e rispettose». Tuo padre Glenn è il coach dell'Utsiktens Bk. «Sì, ma non c'entra. Lui non viene sotto la doccia con noi». E sotto la doccia cosa succede? «Ma niente. I soliti scherzi, le solite battute... ». Tipo? «Tipo: c'è Anton, non lasciate cadere il sapone ragazzi!». È avvilente o divertente? «Non m'importa, a volte ci scherzo su anch'io, è normale. Io non sono religioso. Credo in me stesso, nella mia famiglia e nei miei amici. Vivo giorno per giorno. Il resto non mi preoccupa». Tutto qui? «Tutto qui».
È il perimetro di questo playground, campo di Vastra Frolunda, verde periferia di Göteborg, paesone socialdemocratico e liberale, mezzo milione di abitanti più interessati all'afflusso di immigrati dalla Danimarca che all'omosessualità di Anton, a definirne portata e dimensioni. Martina Navratilova, che con il suo coraggio incosciente perse fior di contratti, sfidò il mondo. Gareth Thomas si lanciò a mani nude dentro la mischia più furibonda dello sport, il rugby. Greg Louganis perse sangue dentro una piscina olimpica, non nella vasca da bagno di casa sua. E Nigel Owens, arbitro della palla ovale, disse la verità che Anton inghiotte insieme a un sorso di sidro, protagonista di una bega di condominio e, certo, non di una guerra mondiale come gli altri: «Se fossi un arbitro di calcio non avrei mai ammesso di essere gay». La sua vita, fin qui, sembra un reality di Mtv. «Avevo una fidanzata bellissima quando, due anni fa, mi resi conto di essere attratto dai ragazzi. Mi sono confidato con mia cugina, la lesbica. Poi l'ho detto a mia madre Helena. Infine a mio padre Glenn, la persona di cui più temevo il giudizio. Papà mi ha ascoltato e poi ha detto: non potrei essere più fiero di te, ti sosterrei anche se volessi fare la ballerina classica».
La scelta di Anton è stata raccontata da Offside, magazine svedese di calcio. Da lì è partito il traversone per l'Europa: Inghilterra, Francia, Spagna, Germania, Italia, le terre proibite dove questa mentalità, tra la gramigna del calcio omofobo e continentale, avrebbe attecchito meno. «Siamo nel 2011, basta ipocrisie, qualcuno doveva rompere il ghiaccio e io l'ho fatto» sorride Anton baldanzoso di giovinezza e inesperienza, senza sapere che una curva di San Siro o una frangia dell'Olimpico capace di fermare un derby sarebbero una psicoterapia sconsigliata da chiunque. Mamma Helena teme che, se in futuro passasse a una squadra più forte («Certo che giocherei in Italia, ma il sogno proibito è il Liverpool di Gerrard, il mio eroe»), con una tifoseria più ampia e agguerrita, Anton possa finire nei guai. E, magari, pentirsi dell'onestà di cui ha vestito questa piccola notorietà che in fondo lo lusinga («I miei parenti già lo sapevano: non ho fatto coming out per pubblicità, non me n'è venuto niente in tasca...»), anche se è chiaro che i fragili parastinchi dell'Utsiktens poco possono contro i tackle violenti dell'esistenza.
Ma Anton si fa forte dei valori che sente di rappresentare («Lealtà, verità, umiltà: non arrivi da nessuna parte con gli atteggiamenti di Balotelli, che pure è un attaccante straordinario...»), delle decisioni che ne stanno indirizzando le giornate, della vita che si è scelto. Lavora part time alla catena di montaggio della Volvo locale. Non è fidanzato. «Se uscirei con un calciatore? Se fosse carino, perché no?» ride, inconsciamente fedele allo stereotipo più duro da sradicare. Desidera uno stipendio migliore, un futuro luminoso, un amore vero. Come tutti, uomini e donne, gay e etero. Ecco perché alla fine, quando l'arbitro fischia il novantesimo e sotto la doccia ricominciano quegli scherzi infantili, la storia di Anton Hysen è uguale a quella degli altri dieci uomini in campo. Compresi quelli che fanno i disinvolti, e poi tengono davvero stretto in mano il sapone.
Fonte



Sara' che a me non piace la giornalista, Gaia Piccardi, sempre pronta a imbastire crociate contro mulini a vento, giusto per compiacersi un po'.
Sara' che io il calcio lo vivo dall'esterno (come la nostra Gaia, del resto).
Sara' che un articolo che prova a gettare fango sull'italia, sul calcio e su tutti, partendo da argomentazioni cosi' deboli non puo' fare altro che farmi girare un po' le palle.

Ma questo articolo mi pare, e dico mi pare, stia raccontandop di un mondo che non esiste.

Mi piacerebbe sapere quale sia il "peggio che gli puo' capitare qui" in italia. Rischia forse il linciaggio? Mah... Non mi pare ci sia questa moria di omosessuali, anzi, in TV sono normalmente invitati nelle trasmissioni.

Non capisco quando parla di Spagna, Inghilterra, Francia e Italia come territori del diavolo, dove i Gay sono male accolti, in contrapposizione alla Svezia, il loro paradiso. Dal momento che lei stessa ci dice che anche la viene insultato e che i suoi compagni di squadra in doccia ci ridono, ma stanno bene attenti a non far cadere la saponetta (ma che ne sa lei?).

E non capisco nemmeno perche' un giocatore di calcio Gay dovrebbe dichiarlo pubblicamente.
Mi sembra che della stragrande maggioranza dei calciatori si sappia poco o nulla della vita privata, e sinceramente, a me non interessa sapere se uno e' gay o meno. Si parla al massimo del matrimonio di quelli famosi, e se si mettono con una velina. Ma quanti sono calciatori che sono insieme ad una maestra di asilo e non hanno mai fatto outing? Razzismo verso di loro? Paura? No, semplicemente si fanno i cavoli loro, giustamente. A me non interessano queste cose. E penso a nessuno gliene freghi, sono cose che non dovrebbero uscire dallo spogliatoio.
Io da un calciatore mi aspetto che giochi bene, se e' milanista. Un po' meno bene se gioca in altre squadre. Il resto, no.

Non so perche' ho deciso di parlare di questo articolo. Probabilmente perche' mi ha dato un vivo fastidio questo parlare male un po' a caso dell'Italia, senza di fatto usare una argomentazione valida lodando e miticizzando la Svezia, che per carita' non ha nulla di male, ma mi pare che non sia poi questo paradiso assoluto.



PS: ma un giocatore professionista, non dovrebbe vivere dello sport che pratica? cosa va a farci alla Volvo?

PPS: E' davvero il primo calciatore gay dichiarato, in tutta europa, in tutte le serie, dal 98 ad oggi? Ho i miei dubbi... cioe', se vanno a pescarne uno che gioca nella II divisione svedese... statisticamente mi lascia perplesso

20 aprile 2011

Sottosviluppo arabo figlio della shari'a ?

Uno dei libri recenti più importanti per capire quanto sta succedendo in Medio Oriente è stato scritto prima che le rivolte scoppiassero. Ma le conclusioni sono profetiche.
«Con poche eccezioni – si legge nelle ultime pagine – i Paesi della regione non sono competitivi sui mercati globali dei prodotti e servizi industriali; le loro società civili sono troppo poco organizzate, e troppo represse, per fornire i contrappesi politici necessari a sostenere un regime democratico. Se i governi dittatoriali della regione dovessero magicamente cadere, lo sviluppo di un forte settore privato e di società civili potrebbe richiedere decenni». Così scrive l’economista statunitense di origine turca Timur Kuran, professore alla Duke University e uno dei maggiori studiosi mondiali di sociologia dell’economia, nel suo nuovo volume The Long Divergence. How Islamic Law Held Back the Middle East («La lunga divergenza. Come la legge islamica ha tenuto indietro il Medio Oriente», Princeton University Press, Princeton - Oxford 2011).
Kuran è noto ai sociologi per la sua teoria della falsificazione delle preferenze, secondo la quale il conformismo sociale spinge molti a esprimere un pubblico consenso a tesi di cui non sono intimamente convinti, creando illusioni ottiche che sono poi smentite da rivoluzioni impreviste – come quella iraniana del 1979, sorprendente per chi prendeva per buoni sondaggi sulla presunta popolarità dello scià – ovvero da risultati elettorali: quanti in Italia insistono che «nessuno dei loro amici vota Berlusconi», stupendosi poi dei voti che lo stesso Berlusconi raccoglie nelle elezioni? Il fenomeno di cui si occupa Kuran in questo volume è simmetrico alla falsificazione delle preferenze: il conformismo sociale spinge molti musulmani a ripetere la tesi secondo cui la legge islamica, la shari’a, sarebbe la soluzione di tutti i problemi dei loro Paesi, se solo i governi non fossero corrotti o poco islamici e la applicassero fedelmente. Ma – si chiede Kuran – se fosse il contrario? Se la shari’a non fosse la soluzione ma, precisamente, il problema?
Kuran è il contrario di un nemico dell’islam. Dal 1993 al 2007 è stato titolare all’Università della California del Sud della cattedra Re Feisal di studi islamici, finanziata dall’Arabia Saudita. Nel libro chiarisce infatti ripetutamente che non considera l’islam di per sé un fattore di sottosviluppo economico e culturale, e che la shari’a dei primi secoli islamici garantiva lo sviluppo dell’economia e del commercio in un quadro giuridico che non solo era superiore a quello dell’Arabia pre-islamica ma non sfigurava neppure al paragone con l’Europa del tempo. Cita gli studi dello storico dell’economia Angus Maddison (1926-2010) secondo cui nell’anno 1000 il Medio Oriente islamico contribuiva al Prodotto Interno Lordo (Pil) mondiale per il 10%, paragonato al 9% dell’Europa cristiana. Ma secondo lo stesso studioso nel 1700 la quota del Pil mondiale del Medio Oriente era scesa al 2%, meno di un decimo dell’Europa, che era arrivata al 22%.
Che cosa era successo nel frattempo? È nota la domanda dello storico Bernard Lewis sulle sconfitte militari islamiche che iniziano alla fine del secolo XVII e che nessuno nel mondo musulmano aveva previsto: «Che cosa è andato storto?». Kuran riformula la stessa domanda per l’economia. Le due risposte che Lewis rileva nel mondo islamico per la politica, applicate all’economia, sono per Kuran entrambe insoddisfacenti. La prima postula – appunto – che la decadenza dell’islam derivi dal suo allontanamento dalla shari’a. Ma la «divergenza» sfavorevole, il gap con l’Europa si manifesta prima che alcuni Paesi islamici – anzitutto l’Impero Ottomano – comincino ad adottare soluzioni giuridiche diverse dalla shari’a, non dopo. La seconda, al contrario, considera l’islam come particolarmente avverso al commercio e alla finanza, e cita come prova il divieto dell’usura. Al contrario, argomenta Kuran, lo stesso Muhammad (570 o 571-632) era un mercante, il Corano loda il commercio e il divieto dell’usura c’era anche nell’Europa cristiana del Medioevo. Né convince Kuran la terza spiegazione, terzomondista o marxista, secondo cui sono stati i colonialisti europei la causa del sottosviluppo mediorientale. I dati di Maddison non lasciano scampo: l’economia europea batteva dieci a uno quella del Medio Oriente già nell’anno 1700, prima del colonialismo e quando l’arretramento militare e territoriale dell’islam successivo al fallito assedio di Vienna del 1683 era appena iniziato. Queste sconfitte militari sono del resto – o così pensa Kuran – l’effetto e non la causa del ritardo economico.
Il problema principale che Kuran identifica è quello del diritto commerciale. La shari’a si occupa anche dei contratti di società, e le forme societarie che conosce per imprese commerciali sono varianti o analogie di quella che in Europa è la società in accomandita, in cui si associano soci accomandanti – che conferiscono capitale, ma non interferiscono nell’amministrazione della società – e soci accomandatari, che gestiscono di fatto la società. A seconda che gli accomandatari – cioè i mercanti – contribuiscano o meno anche loro capitale, e non solo lavoro, al pari degli accomandanti – cioè dei meri finanziatori – la shari’a parla di musharaka o di mudaraba.
Non si devono sottovalutare, insiste Kuran, i pregi di queste accomandite musulmane, che hanno funzionato egregiamente per diversi secoli. Tuttavia nella shari’a erano insiti fin dall’origine anche i loro problemi, irrilevanti in sistemi commerciali relativamente semplici, drammatici quando il commercio diventa internazionale e complesso. L’accomandita islamica può essere sciolta su richiesta di uno qualsiasi dei soci. Cosa più grave ancora, si scioglie quando muore un socio. Non gli subentrano automaticamente gli eredi, e anche se c’è l’accordo di questi ultimi per continuare – o meglio rifondare – la società le difficoltà pratiche sono enormi, perché un musulmano ricco ha diverse mogli e molti figli, e la shari’a impone – prima che questo avvenga in Europa – una distribuzione egualitaria delle quote ereditarie. È vero che la shari’a si applica necessariamente solo ai musulmani. I non musulmani che vivono in un Paese islamico possono sceglierla per i loro contratti, ma non sono obbligati a farlo. La pena di morte per l’apostasia, e i sospetti che gravano su chi si associa a un non musulmano come potenziale apostata, sconsigliano però le società fra i mercanti musulmani e i cristiani e gli ebrei che pure, liberi dai vincoli della shari’a, operano con grande successo nei Paesi islamici – un successo che è anche alla radice di secolari invidie e ostilità.
L’accomandita è una società di persone, non di capitali. La shari’a è di per sé ostile alla personalità giuridica concessa a entità che – per usare la formula, ripresa da Kuran, del giurista e uomo politico settecentesco britannico Edward Thurlow (1731-1806) – «non hanno corpi che possano essere puniti né anime che possano essere condannate». Con grande fatica sulla tradizionale base dell’accomandita s’inserisce nel mondo islamico l’idea di una responsabilità limitata dei soci, che è però cosa diversa da una responsabilità limitata della società. Questa non ha personalità giuridica e può sempre essere attaccata per i debiti di un singolo socio. Perfino quando nel 1851 il sultano turco Abdulmecit (1823-1861) fonda la prima società per azioni del mondo islamico, di cui egli stesso è il principale azionista, la società di trasporto marittimo Sirket-i Hayriye, questa presenta sì la grande innovazione delle azioni liberamente commerciabili, ma non ha personalità giuridica. I soci sono responsabili per i debiti della società solo nei limiti delle loro quote, ma la società resta responsabile senza limiti per i debiti dei soci.
Secondo Kuran è nel momento in cui gli affari si fanno internazionali e complessi, con la nascita della modernità, che un sistema di diritto commerciale che prevede soltanto variazioni dell’accomandita non può reggere. Prima le banche italiane, poi le compagnie coloniali inglesi e olandesi permettono a migliaia di imprenditori e investitori di mettersi insieme non per la durata della loro vita ma – vendendo e trasferendo quote e azioni – per secoli, realizzando progetti commerciali e industriali di lungo periodo che hanno bisogno della responsabilità limitata delle società e della forma della moderna società per azioni. Questa forma in Medio Oriente non si sviluppa fino al secolo XX: non per caso, ma perché la shari’a non la permette. E se su altri punti la shari’a è interpretata e aggirata – secondo Kuran l’efficacia del divieto dell’usura è sopravvalutata – la personalità giuridica delle società cozza contro il suo carattere individualistico e i suoi stessi principi fondamentali.
Per la verità, aggiunge Kuran, esistono in Medio Oriente istituzioni permanenti: nella forma del waqf, la fondazione pia costituita da un donatore per rendere servizi di pubblica utilità e di cui può nominare amministratore uno solo dei suoi discendenti, aggirando il principio dell’uguaglianza fra gli eredi. Ma il waqf, tuttora pilastro dell’economia dei Paesi islamici, dovrebbe servire in teoria a fini caritativi o pubblici, non di commercio privato. E – se dura nel tempo – è però rigido, perché le norme stabilite da chi lo ha costituito non possono essere cambiate dai successivi amministratori, che non ne sono i proprietari.
Nel secolo XX, naturalmente, le cose sono cambiate. Oggi in quasi tutti i Paesi del Medio Oriente ci sono società di capitali a responsabilità limitata, azioni, borse e grandi capitalisti. Gli stessi fondamentalisti islamici non protestano troppo, concentrando i loro strali sull’usura e sulle banche, le quali devono adottare misure cosmetiche per presentarsi come «banche islamiche» senza essere però nella sostanza troppo diverse dalle banche occidentali. In alcuni Paesi il lungo ritardo sembra essere in via di recupero. Il tasso di crescita dell’economia turca è più alto di quello di molti Paesi dell’Unione Europea.
Eppure, sostiene Kuran, la shari’a non ha smesso di fare danni. Anche se ci sono le società per azioni e le borse, rimane una mentalità ostile alla crescita di una società civile distinta dallo Stato, e una diffidenza nei confronti di istituzioni private di grandi dimensioni che sole possono opporsi a uno statalismo che ingenera fatalmente inefficienza e corruzione. La buona notizia per Kuran è che si può mantenere un’identità islamica – come proprio l’attuale Turchia dimostrerebbe – cambiando mentalità e marcia in campo economico e politico. La cattiva notizia, secondo l’economista, è che per uscire da questa mentalità ci vorranno decenni, e che non si comincerà neppure a venirne fuori se non si diffonderà la consapevolezza del «ruolo che la classica legge islamica ha avuto nell’impedire la modernizzazione organizzativa e nell’instupidire le imprese musulmane del Medio Oriente». Al contrario, nel mondo arabo «l’idea che responsabili del sottosviluppo siano gli stranieri continua a essere condivisa dalla maggioranza della popolazione, compresi gli stessi laicisti che pure considerano la legge islamica arretrata e obsoleta».
Con le rivolte mediorientali del 2011, scoppiate dopo che Kuran aveva finito di scrivere il suo libro – dove forse mancano una riflessione sul rapporto fra la la shari’a e la teologia che la sostiene, e un’analisi di quanto la legge islamica sia stata davvero rispettata nei comportamenti individuali e sociali (è questa la critica che, dal versante di un islam conservatore, rivolge a Kuran l’economista dell’Università di Brunei Shamin Ahmad Siddiqi) – i giovani di molti Paesi si sono ribellati contro gli effetti. Ma, finché manca un’identificazione delle cause, si può dubitare che le rivolte impostino davvero una soluzione del problema di un secolare sottosviluppo.

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19 aprile 2011

Intoccabile.

Obama come una scimmietta, è polemica 

Il fotomontaggio diffuso da una conservatrice dei Tea Party. Le organizzazioni per i diritti umani: è razzismo



MILANO - Barack Obama come un piccolo scimpanzè. Ha scatenato accese polemiche negli Stati Uniti il fotomontaggio che ritrae l'inquilino della Casa Bianca come una scimmia. E in molti hanno chiesto le dimissioni della repubblicana Marylin Davenport: membro degli ultraconservatori del Tea Party, è stata lei a far circolare via email il fotomontaggio. Più che esplicita la didascalia: «Ora si capisce perché non esiste certificato di nascita». Già da prima dell'elezione, esiste, infatti, una larga frangia di conservatori che mette in dubbio l'origine americana di Obama.
«È RAZZISMO» - La presidente della principale organizzazione per la difesa dei diritti dei neri americani, Alice Huffman ha condannato il fotomontaggio, ha chiesto le dimissioni della Davenport e ha affermato che «rappresentare il presidente degli Stati Uniti in modo diverso da un essere umano non può essere considerato che razzista». Investita dalle polemiche, lunedì sera la Davenport si è scusata, ma non ha rassegnato le dimissioni.

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Non so  voi, ma io ricordo decine e decine di queste:

Etc..
E basta andare su google e cercare per rendersi conto chi dei due e' piu' vittima di paragoni con le scimmie.
Ma non ricordo denuncie per razzismo a difesa di Bush.
Si sta forse intendendo che chi e' bianco e' piu' affine alle scimmie quindi e' legittimo sottolineare questa cosa? Si sta intendendo che se uno fa una vignetta su Bush la fa in virtu' di somiglianze mentali, mentre per Obama e' solo questione di colore? Oppure i repubblicani subiscono un trattamento i democratici un altro? Oppure un nobel per la pace non si puo' contestare in alcun modo?

Davvero, continuo a trovare assolutamente improbabile questa aura di intoccabilita' che sembra circondare Obama e ogni sua decisione.

18 aprile 2011

«In un buco nel terreno viveva uno Hobbit…»

In principio era lo Hobbit 

E così Peter Jackson ha deciso di tornare nella Terra di Mezzo. È stata un’avventura anche per lui, che di avventure se ne intende. Solo che in questo caso non si è trattato di affrontare draghi, stregoni e malefici, come nei romanzi di Tolkien, quanto piuttosto di vedersela con una più prosaica congiura di contenziosi sindacali, acciacchi di salute e imprevisti hollywoodiani assortiti. A ben vedere, tuttavia, un tocco squisitamente tolkieniano c’è, ed è quello dell’eroe in lotta con le proprie paure. Sì, perché dopo lo straordinario successo dei tre film tratti dal Signore degli Anelli, arrivati nelle sale fra il 2001 e 2003, il regista neozelandese proprio non se la sentiva di tornare a misurarsi con l’epica visionaria di Tolkien. Certo, c’era la possibilità di portare sullo schermo Lo Hobbit, che del Signore degli Anelli costituisce l’antefatto, ma Jackson avrebbe preferito riservarsi il ruolo del padre nobile, sovrintendendo alla produzione e lasciando al messicano Guillermo del Toro il compito di dirigere film.

Ma del Toro ha rinunciato e a quel punto Jackson ha deciso di rimettersi dietro la macchina da presa, nonostante un intervento chirurgico per ulcera perforata e a dispetto dei grattacapi causati dalle rivendicazioni delle maestranze neozelandesi. Come già Il Signore degli Anelli, infatti, anche Lo Hobbit sarà girato nel Paese natale di Jackson. E anche in questo caso le riprese avverranno in un’unica soluzione, portando però alla realizzazione di due film che arriveranno nei cinema a un anno di distanza l’uno dall’altro, rispettivamente nel 2012 e nel 2013.

Attenzione, però, perché Lo Hobbit non è affatto il prequel del Signore degli Anelli, come si sente ripetere da quando, lo scorso 21 marzo, è scattato il primo ciak. Un prequel ci racconta che cosa è successo prima di una storia che già conosciamo. È un’operazione che si svolge, paradossalmente, a posteriori e che ha ben poco di originario (il che non le impedisce di essere originale). Lo Hobbit, invece, è un inizio. Un vero inizio. Al punto che Il Signore degli Anelli fu considerato per un certo periodo dagli editori, e dall’autore stesso, come «il nuovo Hobbit». La storia comincia nel 1937, quando John Ronald Reuel Tolkien, stimato filologo di Oxford, dà alle stampe un libro in cui le sue ricerche sulle antiche mitologie nordiche si intrecciano con i racconti destinati alla cerchia domestica.

Il protagonista è, appunto, uno Hobbit, un "mezzuomo", creatura caratteristica dell’immaginaria Contea che l’autore sceglie come sfondo della sua creazione. Il piccolo eroe si chiama Bilbo Baggins e, se fosse per lui, non avrebbe alcuna intenzione di girare il mondo. Ma un bel giorno si mette al seguito del mago Gandalf ed ecco che arrivano i draghi, gli incantesimi e, più che altro, l’Unico Anello, di cui il buon Bilbo entra in possesso in modo che sembrerebbe casuale e che invece, secondo alcuni critici, chiama in causa direttamente la Provvidenza, la protagonista innominata dell’intera opera di Tolkien.

È la convinzione espressa, per esempio, da Giovanni Cucci e Andrea Monda nell’interessante L’arazzo rovesciato (Cittadella, pagine 182, euro 12,80), un saggio sull’«enigma del male» che dedica molta attenzione al mondo immaginario del Signore degli Anelli. A differenza degli altri "custodi" che si susseguono nel possesso del monile magico, infatti, Bilbo è l’unico che accetta di disfarsene volontariamente, affidandolo al nipote Frodo e rendendo così possibile il percorso di redenzione che dalla Compagnia dell’Anello giunge fino al Ritorno del Re, passando per Le due torri.

Nei film già diretti da Jackson il ruolo di Bilbo anziano era stato affidato a Ian Holm, l’attore britannico che in precedenza aveva interpretato Frodo in una fortunata riduzione radiofonica dei romanzi di Tolkien. Ora, invece, la parte del giovane Bilbo sarà ricoperta da Martin Freeman, finora conosciuto per alcune serie televisive targate Bbc, come The Office e la recente rivisitazione ipertecnologica dei classici di Conan Doyle, Sherlock, dove Freeman impersona il proverbiale dottor Watson.

Anche nel nuovo Hobbit cinematografico (esiste già un cartone animato degli anni Settanta e anche in Italia circola da tempo una bella versione a fumetti, edita da Bompiani) la tecnologia avrà una funzione fondamentale, che culminerà nell’utilizzo del 3D. Eppure la vera meraviglia che la storia riserva è un’altra e sta tutta nella frase che Tolkien scrisse, un po’ per gioco, nella pagina lasciata in bianco da un suo studente: «In un buco nel terreno viveva uno Hobbit…».



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In ogni caso, non andro' a vederlo. Io ho gia' il mio.

16 aprile 2011

Inventarsi disturbi per vendere piu' farmaci. Etico.

1) Gb: i preadolescenti incerti sulla loro identità potranno scegliersi il sesso.  Una clinica autorizzata dal servizio sanitario a somministrare una cura chimica a 12enni

MILANO - Che sesso preferisci? Questa domanda potrà essere rivolta ai bambini e alle bambine britanniche incerte sulla loro identità sessuale. In Gran Bretagna una clinica del servizio sanitario nazionale è infatti stata autorizzata a somministrare iniezioni mensili a bambini di 12 anni per bloccare la pubertà.
LA CURA - A ricevere la cura saranno ragazzini confusi sulla loro identità sessuale di modo che possano fare una scelta oculata prima che nel loro organismo compaiano tratti spiccatamente maschili o femminili. La decisione del National Research Ethics Service di dare luce verde alla terapia presso l'unico centro del Regno specializzato nella cura dei «disordini di identità di genere» è stata presa nei giorni scorsi e oggi nè dà notizia il quotidiano britannico Daily Telegraph. La clinica presso cui verrà applicata è il Tavistock and Portman NHS Trust di London, l'unica che accetta i casi di ragazzi nati con organi sessuali di un sesso ma che si identificano con l'altro. Il «disco verde» alle iniezioni, legali in altri paesi, ad esempio gli Stati Uniti, ha provocato polemiche: a favore chi sostiene che il blocco dell'età adulta aiuterà a prevenire la montagna di problemi psicologici che deve affrontare un maschietto che si «sente» femmina quando ad esempio comincia a cambiare voce; contrari invece quanti pensano che la terapia impedisce ad adolescenti e preadolescenti di superare il senso di confusione senza doversi sottoporre a cure chimiche.

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2) Quest'età è differente dall'adolescenza vera e propria, poiché in teoria i cambiamenti fisici (dovuti agli ormoni risvegliati nel corpo) cominciano appena ad accennarsi. L'adolescenza è l'età in bilico tra l'infanzia e l'età adulta, invece la preadolescenza è l'eta in bilico tra l'infanzia e l'adolescenza.
Il preadolescente è poco più di un bambino, caratterialmente pensa come un bambino, le caratteristiche che lo differenziano da esso fisicamente sono l'altezza un po' più sviluppata dei suoi coetanei e un leggerissimo accenno del seno nelle femmine.
Egli si rende conto che sta cambiando e cerca di ignorare finché può questi cambiamenti che lo possono angosciare brevemente se sono improvvisi.
Quest'età comunque è molto breve, poiché dopo questi piccoli cambiamenti il corpo continua a cambiare sempre più velocemente e l'arrivo del menarca nelle femmine e dello spermarca nei maschi segnano la fine della preadolescenza e l'inizio dell'adolescenza vera e propria.

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Sara' che mi sono sorbito fior di serate e di incontri sull'educazione degli adolescenti e dei pre-adolescenti, ma mi sembra surreale.
Impedire artificialmente lo sviluppo sessuale di un bambino, usando come scusa la sua ovvia confusione mi pare che non sia la mossa migliore per aiutarlo a crescere.

Quanto volete che ne capisca un preadolescente in fatto di sessualita'? Si sta preparando ad un bombardamento di androgeni/estrogeni come (quasi)mai prima.
Mi pare piu' che normale che si faccia delle domande. Piu' che normale che abbia paura. Piu' che normale che sia confuso. Piu' che normale che abbia dei dubbi.
E tu, ad un preadolescente confuso che non sa cosa fara' da qui a tre ore, gli metti in mano la sua vita e ti aspetti che scelga la cosa giusta?
Gli metti in mano il suo futuro e ti aspetti che non si caghi in mano?

Non si puo' essere cosi' idioti da credere di agire per il suo bene in questo modo.
Si puo' ragionare cosi' per lucrarci e il discorso fila.
Si puo' ragionare cosi' per avere un qualunque altro scopo, e la cosa puo' stare in piedi.
Ma se mi si dice che lo si fa per il loro bene e per aiutarli, e non si e' idioti, si sta mentendo spudoratamente  e sfacciatamente.
E si sta giocando con la vita di altre persone. Di bambini.


Questi hanno 6 anni in meno di Ruby...

Si sostiene che una piu' che diciassettenne non possa decidere con chi fare sesso.
Ma si sostiene che un dodicenne possa coscientemente prendere una decisione sulla propra sessualita'.

Delle due una.

Non so voi, ma la cosa mi lascia perplesso.
Io ovviamente sono piu' propenso a sostenere la prima delle due.






PS: Un dodicenne e' un 99. Avete in mente un ragazzino del 99 ? Avete in mente voi stessi in prima media?

PPS: Ruby era per fare un esempio. Metteteci chi volete.

PPPS: Si, quello nella foto e' un dodicenne.

15 aprile 2011

Son tutti froci cor culo dell'artri - Parte II

Nimby, gli italiani
si scoprono anti-rinnovabili


Aumento delle proteste soprattutto per le centrali a biomasse: «Vengono scambiate per inceneritori»




MILANO – E a pensare che sono nate da un'idea di Carlo Rubbia, premio Nobel per la Fisica, che da sempre è un fervente sostenitore delle centrali a biomasse, perché producono energia da materiali di origine organica senza aumentare l'anidride carbonica presente nell'aria. Ma ad essere guardati con sospetto, scontando gli effetti perversi provocati dalla cultura Nimby (not in my back yard, «non nel mio giardino») ora sono anche gli impianti eolici (sono 29 le contestazioni riscontrate nel 2010) e fotovoltaici (nove manifestazioni di protesta da parte di comitati di varia estrazione nell'anno passato). L'INDAGINE – A rivelarlo l'Osservatorio Nimby, il termometro delle contestazioni ambientali in Italia, promosso dall'istituto di ricerca Aris. Che mette subito in risalto come la nascita di fenomeni spontanei, la creazione di comitati in seno alla società civile, spesso la sponda dei partiti politici, stia aumentando anno per anno la massa critica (e la capillarità sul territorio) delle contestazioni in materia ambientale. Nell'occhio del ciclone soprattutto il settore elettrico (il 58% del monte complessivo dei fenomeni di agitazione provengono da qui), a seguire i rifiuti (nel 32,5% dei casi) e molto di meno – e questo è un paradosso – le infrastrutture (5,3%) e gli impianti industriali (4,1%), quelli che teoricamente presentano un maggiore impatto ambientale.
LE RAGIONI – Popolo disinformato o semplicemente animato da una smania di rivalsa nei confronti di una classe politica che percepisce distante? Oppure una patria di sobillatori pronti a contestare ogni progetto sul territorio? Dice Alessandro Beulcke, presidente Aris, che il tutto è frutto di una serie di concause: «poca comunicazione, media disinformati, aziende reticenti, scarsa partecipazione ai progetti e soprattutto politica del consenso a breve termine». Se i corpi intermedi non svolgono il ruolo di depositari delle richieste dal basso e finiscono per canalizzare il dissenso, colpa è anche della poca conoscenza riguardo all'impatto ambientale degli impianti. Scrive il report di Aris che «le centrali a biomasse vengono confuse con gli inceneritori e la logica della contestazione tout court colpisce soprattutto i progetti ancora da realizzare (nel 62,8% dei casi, ndr.), spesso in attesa di ricevere le autorizzazioni necessarie o addirittura al mero stato di ipotesi».
LA POLITICA – Il termine chiave qui è Nimto (Not in my term of office, «non durante il mio mandato elettorale»), il trionfo del consenso a breve termine: sono sempre più i movimenti politici sul territorio a strumentalizzare la sindrome Nimby per fini elettorali. Ingolfando così la macchina amministrativa e provocando una serie di veti incrociati tra gli enti pubblici interessati alla realizzazione di un'opera in una determinata comunità. E se nella percezione dell'opinione pubblica i campioni del dissenso sono da sempre movimenti ambientalisti e no-global (culturalmente più vicini alla sinistra, per questo definita antagonista) la ricerca Aris finisce per smentire anche quest'ultimo luogo comune: le giunte comunali di centro-destra sono contrarie percentualmente quasi come quelle di centro-sinistra (19,1% contro 20,8%). Ma i campioni del Nimby sono soprattutto le liste civiche, che nascono trasversalmente agli schieramenti e alle ideologie e finiscono per polarizzare la protesta, sedimentando le spinte carsiche provenienti dalla società civile.


Fonte


Siamo pieni di soluzioni che restan tali solo se le osserviamo da lontano.
Quando si avvicinano di tot kilometri ecco la metamorfosi. Problemi.
Salvo poi compiere la metamorfosi in senso inverso appena raggiungono una adeguata distanza.



Un fenomeno che ha del magico.

13 aprile 2011

Una storia triste.


Tenta il suicidio e perde la bambina
Ora dovrà rispondere di omicidio 

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Fermiamoci al titolo. Ci immaginimo una donna che prova a suicidarsi. Per sua fortuna non ci riesce ma nel fare questo la piccola che porta in grembo muore.



Riprendiamo a leggere...
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L'America si divide sulla storia di Bei Bei Shuai. «Persecuzione». «No, contano di più i diritti del feto»

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Si parla anche qui di feto. Scopriremo solo piu' avanti che invece...
Continuamo la lettura.

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dal nostro inviato  MASSIMO GAGGI





NEW YORK – Sopravvissuta a un tentativo di suicidio, persa la bimba che aveva in grembo*, depressa, dopo un mese di cure in clinica, Bei Bei Shuai, 34enne proprietaria di un ristorante cinese di Indianapolis, a metà marzo ha tentato di tornare ad una vita normale. Ma, arrivata al suo ristorante, ha trovato ad accoglierla non un assistente sociale ma la polizia. Che l’ha arrestata con una doppia imputazione: omicidio e tentativo di sopprimere un feto. In carcere da quasi un mese, Bei Bei è diventata l’oggetto di una lotta furibonda tra, da un lato, leghe per i diritti civili e organizzazioni femminili** che considerano quella in atto un’ingiusta persecuzione, visto che in Indiana il tentato suicidio non è perseguito come reato, e, dall’altro, il tribunale che, invece, ha concentrato la sua attenzione sui diritti del feto. Violati dalla Shuai secondo i giudici. La Corte di Indianapolis si è riunita per decidere se rilasciare su cauzione la donna dopo una settimana di testimonianze dalle quali è emerso il quadro di un dramma umano che, però, non ha commosso gli arcigni magistrati.  
IL TENTATO SUICIDIO - Alla vigilia di Natale Bei Bei, alla 33esima settimana di gravidanza***, si sente dire dal fidanzato (e futuro padre) che tutto quello che gli ha raccontato fin lì è falso: non la sposerà e non riconoscerà il bambino. Lui è già sposato e non ha alcuna intenzione di abbandonare la sua famiglia. Fatta la sua confessione in un parcheggio, l’ormai ex partner se ne va, lasciandola da sola, in ginocchio, in lacrime. Quando alza gli occhi, la donna disperata vede un davanti a sé un negozio di ferramenta. Entra, compra del veleno per topi e si avvelena. Ma, con sua sorpresa, non muore. All’inizio non si sente nemmeno male. Qualche ora dopo incontra amici ai quali confessa quella che ha fatto, mentre il veleno comincia a fare effetto.
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Attenzione adesso arriva la parte interessante...

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Viene ricoverata: le salvano la vita ma il feto soffre. Alla vigilia di Capodanno i medici la fanno partorire. La neonata viene battezzata. Ma Angel sopravvive a fatica, deve essere intubata.
IL DECESSO DELLA BIMBA - Il due gennaio Bei Bei la tiene con sè, fuori dall’incubatrice, per cinque ore. La piccola muore. E’ questa parte della storia, probabilmente******, che ha ispirato la durezza dei giudici*******. Ma con la donna cinese si sono schierate anche le organizzazioni dei medici per le quali i diritti del feto**** non possono cancellare i diritti civili dei genitori ai quali, in condizioni estreme, tocca decidere se «staccare la spina»*****. Un giudizio assurdamente severo, avvertono i medici, rischia di allontanare dagli ospedali le donne che vivono gravidanze problematiche.

Fonte

Allora, procediamo con calma...

*La bambina non era in grembo. Era stata fatta nascere ed e' stata prelevata dall'incubatrice dove lottava contro la morte dalla mamma che soffriva di depressione.


**Ovviamente del fatto che la piccolA erA unA bambinA, e quindi FEMMINA fottesega a nessuno. Diciamocelo, alle femministe interessano solo le donne emancipate e forti. Quelle deboli, cazzi loro...


*** praticamente all'8 mese. Wiki ci dice che nascere alla 33esima settimana puo' succedere. L'ostetrica di famiglia conferma. Ovvio, non va bene, ma si sopravvive senza troppe complicazioni se seguiti in ospedale. Sempre da wiki apprendo che:  >26 settimane: prognosi molto buona.

**** e ridaje. E' nata, nemmeno troppo prematuramente. Non e' piu' un feto. E' una bambina! Era. Forse sarebbe morta comunque. Forse sarebbe sopravvissuta.

***** genitori un cazzo, staccare la spina un cazzo. Se secondo voi una donna talmente depressa da tentare il suicidio, che esce da una storia non serena e' in grado di intendere e di volere, e' in pieno possesso delle proprie facolta'... bah... io ho i miei dubbi.

******ma solo probabilmente, non si sa mai cosa gli passa nella testa a questi giudici un po' pazzerelli...

*******pazzerelli e duri. Molto duri. Quasi dispotici. Sicuramente chissa' che lavaggio della testa hanno subito. In ogni caso hanno torto. E puzzano.

Detto questo, mi pare evidente che della donna e della bambina interessi poco o nulla ai sedicenti enti per i diritti umani. Si sta cercando di abbassare ancora un po' l'astina "etica" giusto per rosicchiare qualcosa ancora.

Detto questo, mi pare che questo articolo sia stato scritto da una angolatura ben precisa e un po' con il culo. E il titolo ancora peggio.





PS:Tra l'altro, il titolo che appare nella home e' diverso da quello poi dell'articolo.
Indovinate un po' che titolo sara' mai?
Eh... immancabile il corrierone. Che sia per avere piu' clik? Io in effetti ho abboccato come un pollo.

PPS: ma i polli perche' abboccano?

Fantacalcio 2011

Mexico 201446
LA SUPER NEO-PROMOSSA43
Mugiwara41
F.C. Vergate sul Membro40
F.C.SPONGEBOB40
A.C. Flynet38
Muppets36
KakàOkaka17


Ed e' podio.
Muguwara Team riesce nel disperato tentativo non perdere altre posizioni in classifica dopo essere scivolato dal gradino piu' alto in zona di piu' che pericolo.

Grande festa nella casa del presidente che ai microfoni di sky ha risposto così, pungolato dai giornalisti : < Per noi e' una gioia immensa. Certo, rimane il rammarico di aver guidato la classifica per parecchio tempo ma va bene cosi', l'importante e' qualificarsi per l'europa. Speriamo di fare meglio l'anno prossimo.>
Grande festa anche dei tifosi che dopo anni di vacche magre hanno ritrovato la fiducia nel club e nella dirigenza.

Sul sito ufficiale della squadra e' apparsa questa nota, a firma dell'allenatore:

< Ringrazio tutti i miei giocatori, uno a uno. In particolare voglio ringraziare Ibrahimovic per i cartellini, Maccarone per i rigori non segnati. Palacio per i gol fatti dalla panchina. La difesa tutta per aver evitato con cura di segnare quando schierata. Il centrocampo per le prestazioni magre e al limite della carita'. Hernandez ed Eder per aver mantenuto le promesse. Binho per l'inizio di stagione. Boriello per la fine di stagione. Tutti i giornalisti per i voti.  >

Grande soddisfazione quindi, ma piedi ben piantati a terra e lo sguardo rivolto gia' alla prossima stagione.






12 aprile 2011

La biblioteca di Babele

Da "Finzioni" di Jorge Luis Borges

L'universo (che altri chiama la Biblioteca) si compone d'un numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, bordati di basse ringhiere. Da qualsiasi esagono si vedono i piani superiori e inferiori, interminabilmente. La distribuzione degli oggetti nelle gallerie è invariabile. Venticinque vasti scaffali, in ragione di cinque per lato', coprono tutti i lati meno uno; la loro altezza, che è quella stessa di ciascun piano, non supera di molto quella d'una biblioteca normale. Il lato libero dà su un angusto corridoio che porta a un'altra galleria, identica alla prima e a tutte. A destra e a sinistra del corridoio vi sono due gabinetti minuscoli. Uno permette di dormire in piedi; l'altro di soddisfare le necessità fecali. Di qui passa la scala spirale, che s'inabissa e s'innalza nel remoto. Nel corridoio è uno specchio, che fedelmente duplica le apparenze. Gli uomini sogliono inferire da questo specchio che la Biblioteca non è infinita (se realmente fosse tale, perché questa duplicazione illusoria?), io preferisco sognare che queste superfici argentate figurino e promettano l'infinito... La luce procede da frutti sferici che hanno il nome d lampade. Ve ne sono due per esagono, su una traversa. La luce che emettono è insufficiente, incessante. Come tutti gli uomini della Biblioteca, in gioventú io ho viaggiato; ho peregrinato in cerca di un libro, forse del catalogo dei cataloghi; ora che i miei occhi quasi non posso decifrare ciò che scrivo, mi preparo a morire a poche leghe dall'esagono in cui nacqui. Morto, non mancheranno pietosi che mi gettino fuori della ringhiera; mia sepoltura sarà l'aria insondabile; il mio corpo affonderà lungamente e si corromperà e dissolverà nel vento generato dalla caduta, che è infinita. Io affermo che la Biblioteca è interminabile. Gli idealisti argomentano che le sale esagonali sono una forma necessaria dello spazio assoluto o' per lo meno della nostra intuizione dello spazio. Ragionano che è inconcepibile una sala triangolare o pentagonale. (i mistici tendono di avere, nell'estasi, la rivelazione d'una camera circolare con un gran libro circolare dalla costola continua che fa il giro completo delle pareti; ma la loro testimonianza è sospetta; le loro parole, oscure. Questo libro ciclico è Dio). Mi basti, per ora, ripetere la sentenza classica: " La Biblioteca è una sfera il cui centro esatto è qualsiasi esagono, e la cui circonferenza è inaccessibile". A ciascuna parete di ciascun esagono corrispondono cinque scaffali; ciascuno scaffale contiene trentadue libri di formato uniforme; ciascun libro è di quattrocentodieci pagine; ciascuna pagina, di quaranta righe; ciascuna riga, quaranta lettere di colore nero. Vi sono anche delle lettere sulla costola di ciascun libro; non, però, che indichino o prefigurino ciò che diranno le pagine. So che questa incoerenza, un tempo, parve misteriosa. Prima d'accennare soluzione (la cui scoperta, a prescindere dalle sue tragiche proiezioni, è forse il fatto capitale della storia) voglio rammentare alcuni assiomi. Primo: La Biblioteca esiste ab aeterno. Di questa verità, il cui corollario immediato è l'eternità futura del mondo, nessuna mente ragionevole puo' dubitare. L'uomo, questo imperfetto bibliotecario, può essere opera del caso o di demiurghi malevoli; l'universo, con la sua elegante dotazione di scaffali, di tomi enigmatici, di infaticabili scale per il viaggiatore e di latrine per il bibliotecario seduto, non può essere che l'opera di un dio. Per avvertire la distanza che c'è tra il divino e l'umano, basta paragonare questi rozzi, tremuli simboli che la mia fallibile mano sgorbia sulla copertina d'un libro, con le lettere organiche dell'interno: puntuali, delicate, nerissime, inimitabilmente simmetriche. Secondo: Il numero dei simboli ortografici è di venticinque. Questa constatazione permise, or sono tre secoli, di formulare una teoria generale della Biblioteca e di risolvere soddisfacentemente il problema che nessuna congettura aveva permesso di decifrare: la natura informe e caotica di quasi tutti i libri. Uno di questi, che mio padre vide in esagono del circuito quindici novantaquattro, constava le lettere M C V, perversamente ripetute dalla prima all'ultima riga. Un altro (molto consultato in questa zona) è mero labirinto di lettere, ma l'ultima pagina dice Ah tempo le tue piramidi. E' ormai risaputo: per una riga ragionevole, per una notizia corretta, vi sono leghe di insensate cacofonie, di farragini verbali e di incoerenze. (So d'una regione barbarica i cui bibliotecari ripudiano la superstiziosa e vana abitudine di cercare un senso nei libri, e la paragonano a quella di cercare un senso nei sogni o nelle linee caotiche della mano... Ammettono che gli inventori della scrittura imitarono i venticinque simboli naturali, ma sostengono che questa applicazione è casuale, e che i libri non significano nulla di per sé. Questa affermazione, lo vedremo, non è del tutto erronea). Per molto tempo si credette che questi libri impenetrabili corrispondessero a lingue preterite o remote. 0ra è vero che gli uomini piú antichi, i primi bibliotecari, parlavano una lingua molto diversa da quella che noi parliamo oggi: è vero che poche miglia a destra la lingua è già dialettale, e novanta piani piú sopra è incomprensibile. Tutto questo, lo ripeto, è vero, ma quattrocentodieci pagine di inalterabili M C V non possono corrispondere ad alcun idioma, per dialettale o rudimentale che sia. Altri insinuarono che ogni lettera poteva influire sulla seguente, e che il valore di MCV nella terza riga della pagina 71 non era lo stesso di quello che la medesima serie poteva avere in altra riga di altra pagina; ma questa vaga tesi non prosperò. Altri pensarono ad una crittografia; quest'ipotesi è stata universalmente accettata, ma non nel senso in cui la formularono i suoi inventori. Cinquecento anni fa, il capo d'un esagono superiore trovò un libro tanto confuso come gli altri, ma in no quasi due pagine di scrittura omogenea, verosimilmente leggibile. Mostrò la sua scoperta a un decifratore ambulante, e questo gli disse che erano scritte in portoghese; altri dissero che erano scritte in yiddish. Poté infine dire dopo ricerche che durarono quasi un secolo, che si trattava d'un dialetto samoiedo-lituano del guaraní, con inflessioni di arabo classico. Si decifrò anche il contenuto; nozioni di analisi combinatoria, illustrate con esempi di permutazioni a ripetizione illimitata. Questi esempi permisero a un bibliotecario di genio di scoprire la legge fondamentale della Biblioteca. Questo pensatore osservò che tutti i libri, per diversi che fossero, constavano di elementi eguali: lo spazio il punto, la virgola, le ventidue lettere dell'alfabeto. Stabilí inoltre, un fatto che tutti i viaggiatori hanno confermato: non vi sono, nella vasta Biblioteca, due soli libri identici. Da queste premesse incontrovertibili dedusse che la Biblioteca è totale, e che i suoi scaffali registrano tutte le possibili combinazioni dei venticinque simboli ortografici (numero anche se vastissimo, non infinito) cioè tutto ciò che è dato esprimere, in tutte le lingue. Tutto: la storia minuziosa dell'avvenire, le autobiografie degli arcangeli, il catalogo fede della Biblioteca, migliaia e migliaia di cataloghi falsi, la dimostrazione della falsità di questi cataloghi, la dimostrazione della falsità del catalogo autentico, l'evangelo gnostico di Basilide, il commento di questo evangelo, il commento del commento di questo evangelo, il resoconto veridico della tua morte, la traduzione di ogni libro in tutte le lingue, le interpolazioni di ogni libro in tutti i libri. Quando si proclamò che la Biblioteca comprendeva tutti i libri, la prima impressione fu di straordinaria felicità. Tutti gli uomini si sentirono padroni di un tesoro intatto e segreto. Non v'era problema personale o mondiale la cui eloquente soluzione non esistesse: in un qualche esagono. L'universo era giustificato, l'universo attingeva bruscamente le dimensioni illimitate della speranza. A quel tempo si parlò molto delle Vendicazioni: libri di apologia e di profezia che giustificavano per sempre gli atti di ciascun uomo dell'universo e serbavano arcani prodigiosi per il suo futuro. Migliaia di ambiziosi abbandonarono il dolce esagono natale e si lanciarono su per le scale, spinti dal vano proposito di trovare la propria Vendicazione. Questi pellegrini s'accapigliavano negli stretti corridoi, proferivano oscure minacce, si strangolavano per le scale divine, scagliavano i libri ingannevoli nei pozzi senza fondo, vi morivano essi stessi, precipitativi dagli uomini di regioni remote. Molti impazzirono... Le Vendicazioni esistono (io ne ho viste due, che si riferiscono a persone da venire, e forse non immaginarie), ma quei ricercatori dimenticavano che la possibilità che un uomo trovi la sua, o qualche perfida variante della sua, è sostanzialmente zero. Anche si sperò, a quel tempo, nella spiegazione dei misteri fondamentali dell'umanità: l'origine della Biblioteca e del tempo. È verosimile che di questi gravi misteri possa darsi una spiegazione in parole: se il linguaggio dei filosofi non basta, la multiforme Biblioteca avrà prodotto essa stessa l'inaudito idioma necessario, e i vocabolari e la grammatica di questa lingua. Già da quattro secoli gli uomini affaticano gli esagoni... Vi sono cercatori ufficiali, inquisitori. Li ho visti nell'esercizio della loro funzione: arrivano sempre scoraggiati; parlano di scale senza un gradino, dove per poco non s'ammazzarono; parlano di scale e di gallerie con il bibliotecario; ogni tanto, prendono il libro piú vicino e lo sfogliano, in cerca di parole infami. Nessuno, visibilmente, s'aspetta di trovare nulla. Alla speranza smodata, com'è naturale, successe una eccessiva depressione. La certezza che un qualche scaffale d'un qualche esagono celava libri preziosi e che questi libri preziosi erano inaccessibili, parve quasi intollerabile. Una setta blasfema suggerí che s'interrompessero le ricerche e che tutti gli uomini si dessero a mescolare lettere e simboli, fino a costruire, per un improbabile dono del caso, questi libri canonici. Le autorità si videro obbligate a promulgare ordinanze severe. La setta sparí, ma nella mia fanciullezza ho visto vecchi uomini che lungamente s'occultavano nelle latrine, con dischetti di metallo in un bossolo proibito, e debolmente rimediavano al divino disordine. Altri, per contro, credettero che l'importante fosse di sbarazzarsi delle opere inutili. Invadevano gli esagoni, esibivano credenziali non sempre false, sfogliavano stizzosamente un volume e condannavano scaffali interi: al loro furore igienico, ascetico, si deve l'insensata distruzione di milioni di libri. Il loro nome è esecrato, ma chi si dispera per i "tesori" che la frenesia di coloro distrusse, trascura due fatti evidenti. Primo: la Biblioteca è cosí enorme che ogni riduzione d'origine umana risulta infinitesima. Secondo: ogni esemplare è unico, insostituibile, ma (poiché la Biblioteca è totale) restano sempre varie centinaia di migliaia di facsimili imperfetti, cioè di opere che non differiscono che per una lettera o per una virgola. Contrariamente all'opinione generale, credo dunque che le conseguenze delle depredazioni commesse dai Purificatori siano state esagerate a causa dell'orrore che quei fanatici ispirarono. Li sospingeva l'idea delirante di conquistare i libri defl'Esagono Cremisi: libri di formato minore dei normali; onnipotenti, illustrati e magici. Sappiamo anche d'un'altra superstizione di quel tempo: quella dell'Uomo del Libro. In un certo scaffale d'un certo esagono (ragionarono gli uomini) deve esistere un libro che sia la chiave e il compendio perfetto di tutti gli altri: un bibliotecario l'ha letto, ed è simile a un dio. Nel linguaggio di questa zona si conservano tracce del culto di quel funzionario remoto. Molti peregrinarono in cerca di Lui, si spinsero invano nelle piú lontane gallerie. Come localizzare il venerando esagono segreto che l'ospitava? Qualcuno propose un metodo regressivo: per localizzare il libro A, consultare previamente il libro B; per localizzare il libro B, consultare previamente il libro C; e cosí all'infiníto... In avventure come queste ho prodigato e consumato i miei anni. Non mi sembra inverosimile che in un certo scaffale dell'universo esista un libro totale; prego gli dèi ignoti che un uomo - uno solo, e sia pure da migliaia d'anni! - l'abbia trovato e l'abbia letto. Se l'onore e la sapienza e la felícità non sono per me, che siano per altri. Che il cielo esista, anche se il mio posto è all'inferno. Ch'io sia oltraggiato e annientato, ma che per un istante, in un essere, la Tua enorme Biblioteca si giustifichi. Affermano gli empi che il nonsenso è normale nella Biblioteca, e che il ragionevole (come anche l'umile e semplice coerenza) è una quasi miracolosa eccezione. Parlano (lo so) della "Biblioteca febbrile' i cui casuali volumi corrono il rischio incessante di mutarsi in altri, e tutto affermano, negano e confondono come una divinità in delirio". Queste parole, che non solo denunciano il disordine, ma lo illustra. no, testimoniano generalmente del pessimo gusto e della di sperata ignoranza di chi le pronuncia. In realtà, la Biblioteca include tutte le strutture verbali, tutte le variazioni permesse dai venticinque simboli ortografici, ma non un solo nonsenso assoluto. Inutile osservarmi che il miglior volume dei molti esagoni che amministro s'intitola Tuono pettinato, un altro Il crampo di gesso e un altro Axaxaxas mló. Queste proposizioni, a prima vista incoerenti, sono indubbiamente suscettibili d'una giustificazione crittografica o allegorica; questa giustificazione è verbale, e però, ex hypothesi, già figura nella Biblioteca. Non posso immaginare alcuna combinazione di caratteri

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che la divina Biblioteca non abbia previsto, e che in alcuna delle sue lingue segrete non racchiuda un terribile significato. Nessuno può articolare una sillaba che non sia piena di tenerezze e di terrori; che non sia, in alcuno di quei linguaggi, il nome poderoso di un dio. Parlare è incorrere in tauto-logie. Questa epistola inutile e verbosa già esiste in uno dei trenta volumi dei cinque scaffali di uno degli innumerabili esagoni - e cosí pure la sua confutazione. (Un numero n di lingue possibili usa lo stesso vocabolario; in alcune, fl simbolo biblioteca ammette la definizione corretta di sistema duraturo e ubiquitario di gallerie esagonali, ma biblioteca sta qui per pane, o per piramide, o per qualsiasi altra cosa, e per altre cose stanno le sette parole che la definiscono. Tu che mi leggi, sei sicuro d'intendere la mia lingua?) Lo scrivere metodico mi distrae dalla presente condizione degli uomini, cui la certezza di ciò, che tutto sta scritto, annienta o istupidisce. So di distretti in cui i giovani si prosternano dinanzi ai libri e ne baciano con barbarie le pagine, ma non sanno decifrare una sola lettera. Le epidemie, le discordie eretiche, le peregrinazioni che inevitabilmente degenerano in banditismo, hanno decimato la popolazione. Credo di aver già accennato ai suicidi, ogni anno piú frequenti. M'inganneranno, forse, la vecchiezza e il timore, ma sospetto che la specie umana - l'unica - stia per estinguersi, e che la Biblioteca perdurerà: illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile, incorruttibile, segreta. Aggiungo: infinita. Non introduco quest'aggettivo per un abitudine retorica; dico che non è illogico pensare che il mondo sia infinito. Chi lo giudica limitato, suppone che in qualche luogo remoto i corridoi e le scale e gli esagoni possano inconcepibilmente cessare; ciò che è assurdo. Chi lo immagina senza limiti, dimentica che è limitato il numero possibile dei libri. lo m'arrischio a insinuare questa soluzione: La Biblioteca è illimitata e periodica. Se un eterno viaggiatore la traversasse in una direzione qualsiasi, constaterebbe alla fine dei secoli che gli stessi volumi si ripetono nello stesso disordine (che, ripetuto, sarebbe un ordine: l'Ordine). Questa elegante speranza rallegra la mia solitudine.









Certe coincidenze mi affascinano.
E non posso fare a meno che assecondarle.

11 aprile 2011

La «terza via» inglese parla cristiano
La stampa britannica l’ha soprannominato il «re filosofo» di David Cameron, il guru al quale il primo ministro deve la sua ideologia di Big society, ma Phillip Blond sostiene che la sua proposta andava oltre la divisione fra destra e sinistra. «Ci troviamo nel mezzo di un cambiamento di paradigma – dice –, assistiamo alla fine del progetto neoliberale come trent’anni fa abbiamo visto la fine delle teorie keynesiane». Quello che seguirà, spera l’ideologo di Cameron, sarà un nuovo conservatorismo comunitario e civico. Anglicano praticante e seguace del movimento di ortodossia radicale, che vuole riportare il cristianesimo dentro la società britannica, troppo individualista e secolarizzata, Blond è un grande ammiratore di Chesterton e Belloc e nel suo pensiero si respira la dottrina sociale cattolica, della quale si dice grande ammiratore: «Penso che il protestantesimo abbia reso la religione un fatto privato da vivere individualmente e che ciò abbia avuto un effetto negativo sulla nostra società». Nel suo volume-manifesto Red Tory, pubblicato nei mesi scorsi, questo ex professore di filosofia e teologia dell’Università di Lancaster sostiene che la destra, con la fede cieca nel libero mercato, e la sinistra, con la promozione del welfare come soluzione a tutti i mali sociali, hanno finito per minare la società britannica. Divisa tra una minoranza molto ricca e una sottoclasse che non riesce a uscire dalla trappola dei sussidi di Stato. Oggi soltanto il 30% dei cittadini britannici ha fiducia negli altri e nella società, a paragone del 56% del 1959, uno dei tassi più bassi in Europa.
Professor Blond, il Times ha ripreso un articolo nel quale lei esprime dubbi sul fatto che la proposta della "Big society" (sostenuta da Cameron), cioè una società dove il ruolo dello Stato viene ridotto a favore della società civile, possa realizzarsi, perché i tagli fatti in queste settimane dal governo rischiano di impedirlo…<+tondo>«Il ministero del Tesoro e delle Finanze non è abbastanza innovativo nella sua politica economica da pensare alla riduzione del deficit come a una possibilità per introdurre la sussidiarietà e dare un nuovo ruolo ai cittadini. In realtà le due cose – i tagli che sono necessari per ridurre l’inefficienza e una maggiore partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica – potrebbero sincronizzarsi, ma in questo momento non succede».
Perché? E cosa ne pensa?
«Penso che questo progetto non sia ancora stato accettato da tutti i settori del governo e alcuni non lo approvano ancora; il che mi preoccupa. Ma penso anche che la "Big Society" abbia un forte impatto e continuerà a diffondersi».
In che cosa consiste esattamente quest’idea, che giornalisti inglesi hanno definito troppo vaga?«La "Big Society" non consiste soltanto nel volontariato, come banalmente è stato detto, ma nell’idea che i servizi che vengono gestiti dallo Stato possano essere organizzati con meno costi e maggiore efficienza da associazioni, centri, charities gestite dai cittadini. È la rottura della concentrazione di potere nello Stato e nell’economia per ridistribuire il capitale e le capacità nella nostra società, così da generare tanti centri di ricchezza, innovazione e proprietà. Esistono molti costi legati alla burocrazia che possono essere tagliati. Lo Stato tassa troppo ed è troppo inefficiente».
Può fare un esempio pratico di come la "Big Society" può sostituire lo Stato?«Il Sandwell Community Caring Trust, nel nord dell’Inghilterra: una charity che si occupava di assistere portatori di handicap e anziani a casa loro e in strutture d’accoglienza e che nel 1997 ha assorbito diversi ruoli svolti fin allora dall’autorità locale. I costi di amministrazione sono calati enormemente: in passato la cura degli anziani costava all’autorità locale 657 sterline a persona per settimana; la nuova gestione ha ridotto il costo a 328 sterline e gli anziani sono più contenti di prima. Un altro esempio è il progetto di Charlie Elphicke per far gestire il porto di Dover a un trust controllato dagli abitanti anziché privatizzarlo».
Lei è un anglicano praticante. Quanto è importante la religione nella sua vita? «È molto importante nello spingermi a combattere le ingiustizie sociali e in particolare le condizioni di quella sottoclasse che, nel Regno Unito, dipende dai sussidi dello Stato per vivere e non ha possibilità di lavoro e di migliorare la propria condizione».
Ritiene che anche le Chiese rivestano un ruolo importante nel progetto della «Big Society»?«Sì, certamente. Penso che le Chiese non debbano essere estranee alla sfera pubblica, anzi che possano e debbano indicare ai cittadini come si può vivere una vita buona in tutti i settori dell’esistenza».
Eppure nella società britannica di oggi è in un atto uno scontro tra i valori religiosi e quelli del politicamente corretto, che vogliono confinare le Chiese in un ambito privato.«È vero, ma questo non significa che la religione non sia importante. In un recente sondaggio il 70% degli inglesi ha detto di essere credente. E a livello globale la religione è in aumento in tutto il mondo».

Fonte






Interessante articolo.

Eh, ma per gli italiani voi cosa fate?

Stop, calma, riavvolgiamo un attimo il nastro e riviviamo la scena dall'inizio.

Piazza della Chiesa, Concorezzo, ore 10 e qualcosa, quasi 10:30.
Si stanno vendendo colombe su un banchetto sgangherato.
Due cartelli scritti male spiegano in parole povere il perche':

Raccogliere fondi da mandare in Myanmar, all'orfanotrofio di Myitkyina, dove sono stati ordinati preti i nostri amici birmani Agostin e Vincent e dove un allegro gruppo di Concorezzesi si e' recato in viaggio due anni fa, e raccogliere fondi per aiutare i 50 scapestrati nostrani a raggiungere Madrid 2011.

Un duplice fine, in rapporto di 4:1. In pratica la gran parte dei fondi andra' in Birmania, noi tratterremo solo lo stretto necessario per pagare la benzina del furgone di appoggio.

Si stava, dicevamo, vendendo qualche colomba quando ecco arrivare il nostro soggetto.
Si avvicina con sguardo altero e saputo e domanda con un filo di voce, cosa facciamo. Iniziamo a spiegargli e ci interrompe con una osservazione acuta, -furbi, andate in Spagna a vedere il Papa quando lo abbiamo qui ?- eh, ma signore, e' Lui che ci chiama a Madrid - ... - ci osserva squadrandoci da dietro le sue gayssime lenti da sole azzurre. - poi, sa, in realta' la maggior parte dei fondi li mandiamo in Myanmar- ? - La Birmania - ? - In Asia... - Ah... in asia... eh... bravi voi... ma per gli italiani voi cosa fate? ... - probabilmente poi ha aggiunto qualcos'altro di altrettanto intelligente, non ricordo di preciso, o meglio, ho smesso proprio di ascoltarlo.

Dopo  poco si allontana borbottando qualcosa, forse non ha preso bene il mio invito a mettere giu' lui un banchetto con le colombe per aiutare lui gli italiani, nessuno glielo vieta, anzi.

Sparisce, non v'è traccia piu' dell'individuo. Puff...

Dopo meno di due ore nemmeno delle quasi 200 colombe c'è piu' traccia. Tutte vendute.



Il nervoso m'è durato fin troppo. Colpa mia, me la prendo per davvero quando incontro questi soggetti un po' tristi ma molto saccenti.

09 aprile 2011

Iehud !

Libia, l'antisemitismo
(senza ebrei) dei rivoluzionari

I ribelli: «I carri armati di Gheddafi sono costruiti in Israele». E «Iehud» è l'offesa che si fa a Gheddafi

Dal nostro inviato AJDABYA - La Nato sbaglia obbiettivi e colpisce le camionette del rivoluzionari? Niente paura, loro hanno una spiegazione. «Sono piloti ebrei. Il Mossad aiuta Gheddafi», affermano quasi fosse un fatto assodato, indiscutibile. Come del resto è evidente che Gheddafi sia figlio di una donna ebrea e per giunta prostituta, elemento questo che in se stesso spiegherebbe la sua perfidia, il suo desiderio di derubare il popolo libico, la sua doppiezza. I più fantasiosi aggiungono che il padre sarebbe stato un «fascista italiano».
Sulla linea del fronte tra la cittadina petrolifera di Brega e quella sul nodo stradale di Ajdabya quando le bombe nemiche cadono più fitte e il rischio di una nuova ritirata si fa imminente, i soldatini in erba giustificano la superiorità avversaria dicendosi a vicenda che «i carri armati di Gheddafi sono costruiti in Israele, persino le tavolette di cioccolato dei suoi carristi vengono da Tel Aviv». Ma non si scoraggiano. «Dopo Brega, Sirte e Tripoli libereremo Gaza e Gerusalemme», sostenevano venerdì tra i gipponi fermi ai lati della strada, una decina di chilometri dalle pattuglie avanzate di Gheddafi.

ANITSEMITISMO SENZA EBREI - Curioso questo antisemitismo senza ebrei. Gli slogan della rivoluzione libica ne sono uno specchio fedele. Sui muri di Bengasi la parola “Iehud”, ebreo in arabo, si spreca. I bambini disegnano dovunque la matematica del disprezzo: stella di Davide più croce uncinata uguale Gheddafi. Oppure una sola, grande stella, con nel cuore marcata di odio la parola “Mohammar”. Al Cairo l’immagine di Mubarak era stata distorta con corna e denti aguzzi in quella di diavolo sovrastato dall’immancabile “Iehud”. Qui lo stesso avviene con quella del Colonnello. Troneggia nella vie del centro di Bengasi, di fronte alle vecchie basi militari, sui muraglioni attorno al porto, soprattutto nei corridoi del tribunale, diventato uno delle sedi del governo rivoluzionario temporaneo. E’ talmente diffusa che occorre uno sforzo di concentrazione per farci caso. “Iehud” sta sugli edifici-simbolo più odiati della dittatura: la sede della polizia, le celle dove si torturava, le ville di Gheddafi, le abitazioni dei suoi fedelissimi. Nelle librerie “Mein Kampf” resta il testo più diffuso. Ma sin qui nulla di nuovo. E’ dall’epoca di Nasser che il libello hitleriano accompagna nel mondo arabo la vulgata composta da antisionismo laico, pregiudizio razziale e odio religioso.
LA CONVIVENZA - Da molti decenni ormai l’antica tradizione di convivenza tollerante tra ebraismo sefardita e civiltà islamica ha cessato di esistere in Medio Oriente. La novità è che il tradizionale atteggiamento anti-sionista, in voga sin dagli anni Trenta ed esploso dopo il 1948, resta invariato anche tra i ranghi della rivolta che chiede libertà, democrazia e guarda ai modelli di vita occidentali come obiettivi da raggiungere. «E’ tutta colpa della propaganda anti-isrealiana che è stata martellante durante i 42 anni della dittatura», minimizzano all’università di Bengasi. In realtà il fenomeno appare fortemente radicato nella cultura e nei modi di pensare del Paese. Molto più profondo degli slogan di Gheddafi. Vi si trova un misto di pregiudizio religioso anti-giudaico e odio per Israele che proprio la nuova libertà imperante nelle regioni della rivoluzione fa proliferare ulteriormente. «E’ il Mossad che con la Cia detta gli equilibri del Medio Oriente. Lo stesso Gheddafi venne sostenuto da loro ai tempi del golpe contro re Idris nel 1969», afferma sicuro tra i tanti e in perfetto italiano Sadik al Ghallal, noto commerciante locale i cui figli hanno ruoli dirigenziali nel nuovo governo a Bengasi. Curioso, perché la pur antichissima comunità ebraica libica (se ne trovano le prime tracce tra le Pentapolis nella Cirenaica del terzo secolo Avanti Cristo) iniziò a lasciare il Paese appena dopo la Seconda Guerra Mondiale. Tra il 1948 e il 1951, circa 31.000 ebrei libici immigrarono in Israele sotto la minaccia dei pogrom. Appena dopo la guerra del 1967 ne partirono altri 7.000, con l’assenso di re Idris e la collaborazione della marina militare italiana. Due anni dopo, appena salito al potere Gheddafi ordinò la confisca dei beni ebraici. Nel 1974 solo 20 ebrei erano segnalati a Tripoli. Dal 2003 sembra non se sia rimasto neppure uno.


Fonte


Mi raccomando, e' importante armare i ribelli.

Yeah.


Son cose che non si possono leggere.




PS: Per chi si chiedesse con che diritto Israele esiste, la sottolineatura potrebbe essere un indizio.

Interpretazioni diverse del trattato di Schengen. Primi rimpatri, disordini a Lampedusa.
Italia-Francia, intesa sui pattugliamenti.
Maroni: «Azione comune per fermare il flusso». Napolitano critica la Ue: «Le regole servivano da tempo»



MILANO - «Per sollecitare la Ue a contrastare l'immigrazione clandestina abbiamo concordemente deciso un pattugliamento comune sulle coste tunisine fra Italia e Francia per bloccare le partenze dalla Tunisia». Lo ha annunciato il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, al termine dell'incontro bilaterale nella prefettura di Milano con l'omologo transalpino Claude Guéant, preceduto alla vigilia da dichiarazioni tutt'altro che concilianti tra i due Paesi. Il governo francese aveva minacciato di rimandare in Italia tutti gli immigrati che valicheranno la frontiera in possesso del solo permesso temporaneo di soggiorno che le autorità italiane hanno deciso di rilasciare agli immigrati sbarcati nelle ultime settimane a seguito delle crisi nord-africane. E Maroni aveva replicato spiegando che «mettere le truppe, come a Risiko, alla frontiera tra noi e la Francia è la cosa più sbagliata» e che c'è un solo modo per i francesi di impedire che i migranti circolino liberamente anche nel loro territorio: «Che la Francia esca da Schengen o sospenda il trattato». Dopo il faccia a faccia milanese sembra invece profilarsi un clima di collaborazione, anche se sull'applicazione delle norme europee in materia di accoglienza le posizioni restano distanti.
DIVERGENZE SU SCHENGEN - La disputa maggiore era proprio sull'interpretazione del trattato di Schengen, che prevede la libera circolazione entro i confini dei Paesi che vi aderiscono. La Francia aveva fin dall'inizio sostenuto che il solo permesso di soggiorno temporaneo non sarebbe stato sufficiente e che i migranti avrebbero dovuto avere con sè quantomeno un passaporto valido e le risorse economiche necessarie al proprio sostentamento. «I permessi temporanei di soggiorno rilasciati dal governo italiano - ha precisato Guéant al termine dell'incontro con Maroni - aprono la possibilità di libera circolazione ma nel rispetto dell'articolo 5 di Schengen, che prevede il possesso di risorse finanziarie e documenti». Il ministro di Sarkozy ha poi sottolineato che «spetta ad ogni paese verificare queste condizioni». Non sembra dunque essere passata la linea italiana che con i permessi temporanei riteneva di avere trovato la chiave per far sì che anche altre nazioni facessero la propria parte nell'accoglienza ai migranti. Molti dei quali, tra l'altro, hanno dichiarato di essere sbarcati in Italia per questioni di vicinanza ma di essere in realtà interessati a raggiungere altri Paesi, in primis proprio la Francia, punto di riferimento naturale (a causa del suo passato coloniale) per tutte le popolazioni dell'area maghrebina. Ma proprio per questo il governo di Sarkozy teme una vera e propria invasione e di conseguenza ha stabilito ulteriori restrizioni per l'ingresso di stranieri sul proprio territorio. «Sulla questione che ha determinato polemiche sulla libera circolazione si applicano le regole di Schengen e gli accordi bilaterali Italia-Francia secondo le regole che ci sono» ha invece ribadito Maroni lasciando intendere che l'interpretazione delle norme, da parte italiana, è differente. «Le autorità francesi - ha aggiunto Maroni - sono libere di verificare, in rapporto di leale collaborazione. Tutte le questioni potranno essere risolte».
GERMANIA CRITICA - Non c'è soltanto Parigi che mantiene la linea dura sugli ingressi degli immigrati provvisti del permesso temporaneo per motivi umanitari (via libera soltanto se hanno anche documenti e soldi); fa sentire la propria critica anche la Germania. E promette di intervenire per bloccare l'iniziativa italiana per far passare le frontiere italiane ai migranti verso altri Paesi Ue. Il portavoce del ministro dell'Interno tedesco, infatti, fa sapere che Berlino infatti considera la decisione dell'Italia di accordare permessi temporanei per motivi umanitari ai migranti tunisini «contraria allo spirito di Schengen» e che il governo tedesco solleverà la questione lunedì alla riunione ministeriale Ue di Lussemburgo. Sull'argomento l'interpretazione del ministero dell'Interno italiano e del governo Berlusconi è diversa da quella che fin qui la Francia ( e ora la Germania ) hanno dato. La norma italiana che prevede i «permessi temporanei per motivi umanitari» è stata recepita al momento dell'adesione al trattato di Schengen. Per questo il ministro Maroni ha già sostenuto, nei riguardi della Francia, che per non rispettarla un Paese aderente al patto ha solo due possibilità: sospendere il l'applicazione del trattato o uscirne definitivamente. Ma bisognerà vedere se questa posizione di «diritto» reggerà all'opposizione politica di altri Paesi, specie se importanti come Francia e Germania.
I PERMESSI - L'Italia ha comunque stabilito con un Decreto del Presidente del Consiglio che il permesso di soggiorno temporaneo di 6 mesi per i cittadini nordafricani, giunti in Italia fra il primo gennaio ed il 5 aprile, da richiedere entro il 16 aprile, consentirà «all'interessato, titolare di un documento di viaggio, la libera circolazione nei Paesi Ue, conformemente alle previsioni dell'Accordo di Schengen e della normativa comunitaria». Lo si legge nel Dpcm, pubblicato venerdì sera sulla Gazzetta Ufficiale. Secondo l'Italia, una volta ottenuto il permesso di soggiorno temporaneo, l'unico limite per poter accedere negli altri Paesi Ue sarà la titolarità di un documento di viaggio.
INCONTRO MARONI-BOSSI - Maroni si è anche incontrato con il leader della Lega Umberto Bossi che gli ha manifestato «Piena intesa sull'immigrazione». Al colloquio era presente anche il ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli. Sempre a quanto si è appreso, Bossi, Maroni e Calderoli hanno fatto il punto sulle soluzioni individuate per affrontare l'emergenza migranti e su quanto resta da fare. In questi giorni è stata proprio la difficile gestione dell'emergenza immigrazione a far salire la tensione all'interno della Lega. Oggi il colloquio tra i tre leghisti da cui sarebbe emersa appunto la «piena intesa» sul percorso fin qui seguito e sulle prossime mosse da fare.

Immigrati, tra rimpatri e tensioni
NAPOLITANO - Sul tema immigrazione è intervenuto anche il Presidente della Repubblica, che ha criticato la Ue e ha rivolto un invito: «C'è bisogno di scelte più coese da molto tempo». Il Capo dello Stato anche detto che si è fatta fatica a rendere efficaci delle regole comuni in materia sia di immigrazione, sia di asilo che sono due fenomeni che spesso si confondono ma restano diversi», ha spiegato il capo dello Stato. «L'immigrazione è un processo di lungo periodo al di là dell'emergenza - ha sottolineato Napolitano - i dati dimostrano che continua il processo di invecchiamento della popolazione europea mentre prosegue l'iniezione di forza lavoro giovane dal di fuori dei Paesi dell'Unione».
PATTUGLIAMENTO- Intanto lo Stato maggiore della Difesa rende noto che «In applicazione dell'intessa italo-tunisina relativa all'emergenza immigrazione, la Marina militare, nella serata odierna, avvierà le operazioni di sorveglianza e monitorizzazione in prossimità delle acque territoriali tunisine mediante l'impiego della corvetta Minerva. All'attività prenderà anche parte un aereo da pattugliamento marittimo Atlantic».
LA RICERCA DEI DISPERSI - Nel frattempo, sul fronte del soccorso ai migranti che hanno affrontato il viaggio attraverso il Canale di Sicilia, va registrato che restano purtroppo senza esito le ricerche di dispersi del naufragio avvenuto martedì notte a 39 miglia ad sud di Lampedusa. Sarebbero almeno 250 le persone che ancora mancano all'appello. Le operazioni sono andate avanti per tutta la giornata di giovedì e proseguiranno anche venerdì. L'area del mare Mediterraneo, dove si è verificata la tragedia, è stata battuta da elicotteri, aerei e navi di ogni reparto. La Guardia di finanza e la Capitaneria di porto si sono avvicendate nelle operazioni ma l'impeto del mare non ha dato loro alcuna speranza. I corpi dei dispersi sono quasi sicuramente sul fondo del mare e non riaffioreranno fino a quando le condizioni meteo non saranno migliorate e le forti correnti sparite.
IL PRIMO RIMPATRIO - È invece salpata attorno alle 7,30 fa dal molo di Cala Pisana, a Lampedusa, la nave «Flaminia» della Tirrenia, con a bordo diverse centinaia di migranti. La nave, secondo quanto di apprende, dovrebbe approdare oggi prima a Catania e poi a Livorno. Con il trasferimento di questa notte, nel centro di accoglienza dell'isola rimangono ormai soltanto alcune decine di migranti. Giovedì notte, invece, è decollato dall'aeroporto dell'isola un aereo con una trentina di migranti diretti a Tunisi: si tratta del primo rimpatrio dopo la firma dell'accordo italo-tunisino di martedì scorso. I tunisini rimpatriati avrebbero tutti dei precedenti penali, secondo quanto riferito da alcune fonti all'Ansa. Secondo le stesse fonti sarebbero state le stesse autorità tunisine a fornire l'elenco di chi aveva precedenti con la giustizia. Ci sono stati però momenti di tensione al centro di accoglienza di contrada Imbriacola dopo la diffusione della notizia del rimpatrio forzato. Nel timore di essere rimpatriati anche loro, i 74 tunisini che erano arrivati mercoledì assieme a quelli adesso espulsi, hanno protestato animatamente e solo a tarda notte le forze dell'ordine hanno riportato la calma. L'ultimo sbarco di tunisini è avvenuto nell'isola alle 0.30 della notte di mercoledì, quando sono arrivati 104 migranti su un barcone soccorso dalla Guardia costiera.
TUNISINI GETTATI IN MARE - In mattinata è poi arrivata la notizia di quaranta tunisini gettati in mare dagli scafisti che pilotavano il loro barcone, nel tentativo di fuggire alla Guardia costiera che aveva intercettato il natante a poca distanza dall'isola di Pantelleria (Trapani). I migranti sono stati soccorsi, mentre due motovedette si sono messe all'inseguimento del barcone che è stato raggiunto dopo tre miglia. Arrestati i tre scafisti.
ARRIVATO BARCONE CON 600 PERSONE - In serata una vecchia nave, con a bordo centinaia di migranti che secondo una prima stima sarebbero circa 600, è appena attraccata al molo di Lampedusa. L'imbarcazione era stata avvistata a una ventina di miglia dall'isola ed è poi stata scortata in porto dalle motovedette della Capitaneria di Porto e della Guardia di Finanza. La nave proverrebbe dalla Libia.
Fonte



Eccoli, pronti a pontificare sull'accoglienza, e anche a riprendere con vigore chi non accoglie, ma quando poi si bussa alle loro porte... Nah...
Finche' son laureati, tecnici e professionisti va bene, porte aperte. Quando arrivano col gommone meglio lasciarli in Italia.

Possiamo anche tenerli, non e' questo il punto.

Il nocciolo della questione e' che siamo presi per il culo da tutta europa, e questo a me non piace.

Poi oh, tutti in piazza per l'Unita' d'Italia con bandiere e coccarde al petto.