Sotto l’azzurro fitto
del cielo
qualche uccello di mare se ne va

né sosta mai
perché tutte le immagini portano scritto

“più in là!”




.

"Io dichiaro la mia indipendenza. Io reclamo il mio diritto a scegliere tra tutti gli strumenti che l'universo offre e non permetterò che si dica che alcuni di questi strumenti sono logori solo perché sono già stati usati"

Gilbert Keith Chesterton



29 marzo 2011

Trentino BetClic Campione d'Europa

Bolzano, 26 marzo 2011

La Trentino BetClic non scende dal tetto d’Europa su cui si trovava già stabilmente da due stagioni. La squadra di Radostin Stoytchev ha centrato stasera, davanti al proprio pubblico trasferitosi in massa al PalaOnda di Bolzano (7.500 presenze solo per la finale), uno storico tris nella CEV Champions League, la manifestazione continentale di maggior tradizione e prestigio.
Le leggendarie Ravenna e Modena, uniche squadre italiane a centrare tre vittorie di fila in questa competizione, sono state così raggiunte al termine di una prova di forza con lo Zenit Kazan che magari avrà murato e battuto meglio, almeno a leggere le statistiche (undici block a cinque e 7-3 nel computo degli ace) ma nei momenti decisivi del terzo e quarto set non è mai riuscito a mettere il proprio timbro sul match.
La squadra di Stoytchev ha così raccolto l’ennesimo successo internazionale, il quinto complessivo tenendo conto anche di due Mondiali per Club, con un valore aggiunto notevole: l’aver piegato un Kazan che fino all’ultimo ha venduto carissima la pelle appoggiandosi sulla regia del grande Ball, sui muri di Abrosimov (8 block vincenti) e sulla vena dell’opposto Mikhailov fino a quando l’opposto russo ha retto. Tutto ciò non è bastato a fermare i gialloblu, autori di uno straordinario primo set firmato principalmente da Stokr e Kaziyski e poi in seguito caratterialmente impressionanti a risalire la china dopo aver perso il secondo ed essere stati più volte sotto nei parziali successivi. A spostare l’ago della bilancia sempre più verso il versante gialloblu ci hanno pensato ancora una volta Juantorena e Kaziyski. La coppia delle meraviglie di posto 4 si è confermata letale; a dimostrarlo i 19 punti di Matey col 61% a rete e i 15 palloni vincenti di Osmany, autore del 67% in attacco e di una incisività senza pari nei momenti  clou della gara. Fra i singoli da rilevare anche la prestazione in regia di Raphael, l’efficacia a muro di Birarelli (4 block) e la costante presenza in seconda linea di Bari, per il secondo anno miglior libero della manifestazione.
La cronaca del match racconta ancora prima che della partita, di un PalaOnda gremito in ogni ordine di posto e pronto a proiettare la propria squadra del cuore verso il successo con un’atmosfera ed un sostegno incredibile. L’inizio di Trento è quindi pressoché perfetto, visto che i gialloblu scattano sul 4-0 grazie ad un Kaziyski scatenato: cinque punti in fila del fenomeno bulgaro mandano poi la Trentino BetClic sull’8-3 al primo time out tecnico. Nella parte centrale il vantaggio aumenta a dismisura; stavolta è Stokr a fare la voce grossa e a condurre i propri compagni fino al 16-7 ben ispirato da un Raphael pirotecnico. Il Kazan prova a reagire con un paio di spunti personali di  Priddy e Apalikov (21-14) ma è troppo tardi perché ci pensano Juantorena ed un muro di Riad su Mikhailov a chiudere la frazione sul 25-17.
Nel secondo set il Kazan reagisce e si porta sul 2-4 sfruttando un ace di Tetiukhin; Kaziyski si vendica e realizza la battuta vincente su Babichev che vale l’immediata parità (4-4). I russi riguadagnano margine con un muro di Abrosimov su Kaziyski ed un ace di Mikhailov su Juantorena: 7-10. Un altro muro di Abrosimov sempre su Matey offre il massimo vantaggio ai russi (8-12). Trento risale la china (15-16) con Stokr ed ottiene la parità in corrispondenza del 17-17. Il finale di set è contraddistinto dalla rotazione al servizio di Tetiukhin che con due ace diretti ed un altro paio di buone battute porta la propria squadra sul 18-21, mettendo di fatto il sigillo alla frazione che si conclude sul 20-25 con Kaziyski in difficoltà in ricezione e i gialloblu molto fallosi al servizio (6 errori in tutto il periodo).
La lotta punto a punto torna a regnare nell’avvio del terzo set con le due squadre che procedono a braccetto fino all’8-8, sfruttando le rispettive buone vene di Juantorena e Priddy. E’ allora Mikhailov a sbloccare la situazione a suon di attacchi (8-11); la Trentino BetClic reagisce (13-13) ma è di nuovo l’opposto della nazionale russa a firmare l’allungo (14-16). La squadra di Stoytchev non ci sta e sempre con Juantorena ottiene prima la parità (21-21) e poi il vantaggio grazie all’attacco di Kaziyski e ad un ace proprio di Osmany (23-21). Un punto a testa della coppia di posto 4 gialloblu offre il vantaggio a Trento: 25-23 e 2-1.
Il quarto set regala un effimero spunto iniziale alla Trentino BetClic; il 2-0 viene infatti trasformato da Abrosimov in 3-5. Stoytchev chiama time out e i suoi impattano già sul 6-6 per mano di Stokr. Un errore di Sokolov, subentrato proprio a Stokr, manda il Kazan in fuga (8-11) ma sono ancora Juantorena con la sua battuta e Kaziyski in attacco a ribaltare la situazione (14-11) con un parziale di 6-0. E’ l’allungo decisivo perché il Kazan prova a reagire ma viene messo ai bordi del ring da un Juantorena sempre più decisivo e da un PalaOnda che esplode all’errore al servizio di Mikhailov (25-20).

Di seguito il tabellino della finale di 2011 CEV Champions League giocata stasera in Alto Adige.
Trentino BetClic-Zenit Kazan 3-1(25-17, 20-25, 25-23, 25-20)
TRENTINO BETCLIC: Raphael, Juantorena 15,  Birarelli 6, Stokr 15, Kaziyski 19, Riad 4, Bari (L); Sokolov 2, Della Lunga, Colaci (L), Sala 2, Zygadlo. All. Radostin Stoytchev.
ZENIT KAZAN: Ball 3, Priddy 10, Apalikov 7, Mikhailov 17, Tetiukhin 9, Abrosimov 13, Obmochaev (L); Babichev (L), Egorchev, Pantaleymonenko 1, Cheremisin.  N.e. Babichev. All. Vladimir Alekno.
ARBITRI: Deregnaucourt (Francia) e Mokry (Slovacchia).DURATA SET: 26’, 24’, 28’, 30’ ; tot 1h e 48’.
NOTE: 7.500 spettatori. Trentino BetClic: 5 muri, 3 ace, 22 errori in battuta, 3 errori azione,  57% in attacco, 45% (31%) in ricezione. Zenit Kazan: 11 muri, 7 ace, 15 errori in battuta,  errori azione, % in attacco, % (%) in ricezione. Cartellino giallo a Priddy sul 10-11 del quarto set.


Fonte



He come fa uno poi  a tifare Gabeca, quando la squadra che ha sempre visto e' questa?




Ovviamente non rivecendo sportitalia la partita quest'anno me la sogno, anche le repliche.

27 marzo 2011

La guerra d’interesse in Libia e il ruolo delle nazioni

I punti oscuri della crisi

Dinanzi alla crisi libica un fatto appare evidente: su quello che sta realmente accadendo non sappiamo molto. Alcune fonti sono di parte, altre sono necessariamente approssimative. In mancanza di informazioni sicure, può essere utile elencare un paio di punti oscuri. Prima di tutto i ribelli. Chi sono? La vulgata dei primi giorni tendeva ad accomunarli ai manifestanti tunisini ed egiziani. Con il passare del tempo è diventato più chiaro che ci siamo coinvolti in una guerra civile: Cirenaica contro Tripolitania (le due regioni storiche della Libia), divise secondo lealtà di tipo tribale. Ciò non toglie che gli insorti vogliano rompere con una dittatura soffocante e reclamino maggiori libertà, ma suggerisce un quadro un po’ più complesso di «giovani che chiedono la democrazia». La Libia, a differenza di Egitto o Tunisia, non è uno Stato-Nazione.

Non ha un passato comune di lunga data. Non ci sono partiti politici significativi, l’esercito, a differenza dei Paesi confinanti, vede una forte presenza di mercenari e l’islam stesso era finora veicolato dall’interpretazione di Gheddafi (fatta salva la presenza clandestina degli islamici militanti, non estranei alla rivolta). Da ultimo, non è chiara neppure la reale consistenza numerica degli insorti. Tanto poco si conoscono i ribelli quanto bene il colonnello Gheddafi. Negli anni scorsi gli si perdonava tutto. Ora si è deciso di presentargli il conto. O meglio, lo ha deciso la Francia, la Gran Bretagna ha acconsentito, gli Stati Uniti hanno lasciato fare, la Germania si è astenuta, l’Italia ha pensato che era un male minore stare dentro piuttosto che stare fuori e la Lega araba ha cercato di mediare tra posizioni contrastanti al suo interno, salvo poi esprimere il proprio stupore (e quello turco) di fronte al fatto che la no-fly zone venisse imposta con l’uso della forza e non con un grazioso schiocco di dita.

Conciliare le varie posizioni ha richiesto tempo e così si sono lasciati affondare i ribelli per poi lanciare con grande precipitazione un intervento militare dai contorni mal definiti. Ufficialmente lo scopo è evitare violenze di Gheddafi su «civili e aree popolati da civili minacciate di attacco nella Jamahiriyya araba libica, Bengasi inclusa». L’unico punto chiaro nella formulazione Onu è la protezione di Bengasi, che è già stata raggiunta. Da lì ci si può allargare al resto della Cirenaica in mano ai ribelli, obiettivo in corso di raggiungimento. Il testo però si presta anche a un’interpretazione più ampia in cui le aree minacciate di attacco vengono a coincidere con l’intera Libia. In altre parole, l’obiettivo diventa la cacciata di Gheddafi.

L’esperienza della Serbia dice che difficilmente si riesce a rovesciare un regime con una serie di raid aerei mirati. Come è già stato ampiamente ricordato, l’Iraq mostra che cosa significa intervenire sul terreno. A decidere l’interpretazione della risoluzione Onu sarà perciò la reale consistenza militare dei ribelli, sempre più armati e riforniti. Se avanzano, si parlerà di guerra per la democrazia. Se non progrediscono, sarà una guerra umanitaria. Una guerra e basta, una guerra d’interesse, sembra brutta al giorno d’oggi.

Che diversi Paesi europei, prima fra tutti la Francia, cercassero un maggiore spazio economico in Libia è cosa risaputa. Per Parigi c’era anche da riscattare la pessima gestione della rivoluzione tunisina e probabilmente si è pensato di approfittare dei movimenti che percorrono il mondo arabo per regolare la faccenda.

Ma Gheddafi si è dimostrato più radicato sul terreno di quanto si pensava. Il gioco è diventato pericoloso, Francia e Gran Bretagna hanno scelto di giocarlo lo stesso e gli altri hanno seguito. I risultati finora sono confusione negli obiettivi, spregiudicatezza nei mezzi, valutazioni strategiche errate e l’inevitabile coinvolgimento di civili, mentre si fa finta di non pensare all’intervento terrestre. Non sono buone premesse e renderanno un po’ più sospette le prossime dichiarazioni di appoggio ai movimenti democratici nei Paesi arabi.
fonte




Una mia personalissima idea sulla faccenda e' che ci sono persone che, pur di andare contro Gheddafi, legato a doppio, triplo, quadruplo filo con Berlusconi, e quindi attaccare indirettamente Berlusconi stesso, sono disposte a sacrificare il bene nazionale derivante dagli ingenti accordi economici esistenti tra Italia e Libia.
Quanto scommettiamo che dopo questa guerra la Total, che in libia oggi non conta nulla, prendera' il posto della Enel?
Poi tutti a rugare con la crisi economica, ma la zappa sui piedi spesso ce la tiriamo da soli.

23 marzo 2011

Meanwhile, in Egypt

Un primo passo verso una democrazia compiuta in Egitto: i leader della rivolta contro Mubarak valutano così il risultato del referendum per la riforma costituzionale. Il “sì” ha trionfato, con il 77,2% contro il 22,8% di “no”: loro, i leader della rivolta, erano per il “no”, volevano che si scrivesse una Costituzione completamente nuova. Ora fanno buon viso a cattivo gioco, accettano il risultato, purché il rinnovamento non si fermi alla riforma. C‘è stato anche qualche broglio, ininfluente sul risultato finale: il presidente del comitato giuridico assicura che si avrà piena giustizia: “sono state presentate tutte le denunce, le procedure legali sono state avviate e agiremo contro chi ha sbagliato”.
A favore del “sì”, e molto attivi nella campagna referendaria, erano i Fratelli Musulmani.
La riforma costituzionale prevede che il Presidente possa restare in carica per due soli mandati di quattro anni, ma non modifica l’articolo due, che stabilisce che l’islam è religione di Stato e riconosce alcuni principi della legge islamica come “fonte principale” della legislazione.

Fonte

Tutti buoni a fare il tifo contro Mubarak, improvvisamente diventato cattivo, e a soffiargli contro.
Adesso pero' chi controlla e si assicura che i cattivi, quelli per davvero, non prendano il suo posto?
Chi si prendera' cura delle minoranze e delle donne?

Che diventi un nuovo Iran?
In quell'Iran, quello monarchico, quello non "democratico", era possibile questo. Oggi no.
Ovvero, il gioco vale la candela?



Cammello!
[cit.]

22 marzo 2011

Non capisco,

Stiamo facendo rispettare la No-Fly zone?
Allora perche' attacchiamo carri e caserme?

Siamo in guerra?
Allora perche' ci lamentiamo se sequestrano una nostra nave?

Boh...

Ogni articolo che leggo mi sembra sempre piu' confusionario. Giornalisti che dicono tutto e il contrario di tutto con una leggerezza disarmante.
Servizi alla tele che si contraddicono l'un l'altro.
Il tutto condito dal sorriso immancabile del telegiornalista di turno.

Davvero, non capisco.





PS: il prossimo che da del razzista/islamofobo e cazzate varie a Maroni, al governo o all'Italia e' pregato di andare a farsi fottere, perche' parla con lingua doppia.
Il suo piano per risolvere la situazione migranti? Far saltar fuori 50.000 posti per ospitarne altrettanti.
Cercate cosa fanno la Francia o la Spagna. Ole'.

20 marzo 2011

Guerra!

Ole', siamo in guerra.
Questa volta pero' la guerra e' democratica, bipartisan, necessaria.
Nulla a che vedere con le guerre imperialiste e feroci in Iraq e Afganistan.
Quelle appartengono al passato, agli anni zero.
Oggi, che siamo negli anni dieci, e' tutta un'altra storia.
Il vento che soffia e' diverso.
Sa di giustizia e di pace. Un'aria nuova, che spazza via il dittatore oppressore.
Esaudita e' la richiesta accorata di Fo, che si chiedeva che diamine stessimo aspettando per entrare in guerra, che morissero tutti?
Mantenute le aspettative di chi, in virtu' dell'amicizia con il rais nostrano, che al posto del pannolino sulla testa, come si converrebbe ad un vero leader, porta un tupino di gommalacca, aveva riconosciuto in Gheddafi il cancro del nordafrica.

Certo che, alla luce di quanto avviene oggi, Bush e i suoi strateghi sono stati degli ingenui. Avrebbero sicuramente avuto dalla loro la pubblica opinione se avessero seguito due simplci accortezze.
Comprare un abbonamento per le lampade UV per il Mr. President e pubblicare una foto con Saddam e il Silvio.
Sai allora che festa, la guerra!



Detto questo, mi auguro soltanto che le strategie post bombardamento siano diverse da quelle in Iraq e che questa prima fase, fatta di bombe(le stesse che si usano da ogni altra parte del mondo) e incursioni aeree sia il piu' breve possibile.
Un solo colpo, forte e deciso, per decapitare l'Idra...




Ovviamente avrei preferito tenermi Gheddafi con il suo petrolio e gas e le vie preferenziali tra libia e italia con tutti i vantaggi che ne conseguivano. Quindi in definitiva non mi piace questa guerra.

18.761.532



Si, nel mondo reale anche i neri fanno la guerra.
Bensvegliati.

18 marzo 2011

Cash Cash

Il test in Malawi, dove un adulto su otto è sieropositivo, funzionava così: la Banca mondiale ha formato un campione di 3.800 ragazze fra i 13 e i 22 anni e le ha divise in due gruppi. Nel primo le ragazze ricevevano in media 10 dollari al mese e il pagamento della retta scolastica a patto che frequentessero le lezioni con regolarità. Nel secondo, il cosiddetto «gruppo di controllo», nessuna riceveva niente.
Un anno e mezzo dopo l’infezione da Hiv nel primo gruppo, quello delle ragazze pagate per andare a scuola, era più basso del 60%.

All’1,2% contro il 3% delle ragazze del gruppo di controllo.

La differenza si spiega alla luce delle risposte delle giovani donne coinvolte nell’esperimento. Una su quattro fra loro ha spiegato la propria vita sessuale con il «bisogno di assistenza» o il «desiderio di denaro o regali». Nove su dieci hanno riferito che il loro partner assicurava loro un pagamento mensile in media di 6,5 dollari.

È la dinamica di quelli che in Africa si definiscono i sugar daddy, ««dolci papà»: uomini più anziani, spesso molto più anziani, che comprano o affittano amanti-teenager. In Malawi questi maschi dai trent’anni in su sono sieropositivi nel 30% dei casi. È ovvio che l’industria dei sugar daddy sia una delle principali catene di trasmissione dell’Aids. Romperla attraverso incentivi monetari alle ragazze perché si creino un’istruzione e una vita diversa ha avuto da subito effetti dirompenti. Dieci dollari valgono più di medicinali spesso carissimi. Inevitabilmente «corrompere» una persona per indurre comportamenti virtuosi è controverso. Anche in Africa sub-sahariana, dove vivono i due terzi dei sieropositivi del pianeta, molti non sono d’accordo. Ma funziona così bene che a Harare, in Zimbabwe, la Banca Mondiale ha appena introdotto un programma innovativo: pagare le teenager a patto che licenzino i loro sugar daddy. In città sono già comparsi cartelli per pubblicizzarlo. Recitano: «Il tuo futuro è più luminoso senza un dolce papà»

Fonte


A parte la minchiata colossale sul "corrompere" per indurre comportamenti virtuosi, cosa che non sta ne in cielo ne in terra, dal momento che i soldi non sono dati "per NON andare a prostituirsi" ma per sopravvivere e andare a scuola. Se una avesse voluto guadagnare altri soldi avrebbe comunque potuto vendere il culo, ma evidentemente non devono apprezzare molto questa pratica, che  viene praticata solo da chi non ha proprio altri mezzi di sostentamento. Inspiegabile, vero?
Nienete corruzione quindi.
Ma comunque, anche se le si pagasse 10€ per NON prostituirsi, quindi a detta del giornalista, per "corromperle", dove sarebbe il male?
E se ne deduce che il comportamento non "corrotto" sia invece prostituirsi.
Bah...

Ma facciam finta che.

Questa e' comunque l'ennesima dimostrazione, come se ce ne fosse bisogno, che per per controllare l'epidemia di Hiv bisogna agire principalmente sui comportamenti, limitando i rapporti a rischio il piu' possibile.
Qui abbiamo un calo del 60% delle infezioni, senza spendere un € in farmaci o presidi medici, semplicemente fornendo alle ragazze uno stile di vita migliore e piu' morale (abbiamo infatti imparato dai recenti fatti di cronaca come prostituirsi sia terribilmente amorale e contro la dignita' della donna)
Capite perche' non va bene ?

17 marzo 2011

Italia

[...]
Amo la patria!
Amo molto la patria!
Anche con la sua tristezza di salice rugginoso.

[...] 



16 marzo 2011

I fantastici 50.

Si dice che abbiano alzato la mano per offrirsi volontari quando ieri mattina, dopo l'esplosione devastante al reattore numero 2, si è trattato di stabilire chi doveva rimanere e chi no. Cinquanta piccoli Ulisse davanti a un Polifemo che sbuffa senza sosta, da tre giorni, vapore e fumo radioattivo. La catastrofe che il mondo intero teme, loro la guardano da un passo, la captano dai rumori sinistri che arrivano dai sei reattori dell'impianto.

[...]

Nello spazio immenso dell'impianto, cinquanta uomini sono puntini che si confondono con il grigio scuro delle fotografie scattate dagli elicotteri, sono sagome minuscole perdute sotto i pennacchi di fumo dei reattori scoppiati o incendiati. Il panorama è spettrale, l'umore è quel che si può. «Che ne sarà di loro?» si chiedono i 750 compagni di lavoro evacuati ieri mattina. E che succederà al Fukushima I?

Fonte





Fanculo i referendum sul nucleare.
Fanculo le dichiarazioni non richieste e a mio avviso inopportune di Günther Oettinger.
Fanculo tutti i proclami dei grandi scienziatoni di casa nostra.

Dovremmo riempirci la bocca dei loro nomi.

I cuori del loro coraggio.
Gli occhi delle loro  piaghe.
I libri delle loro storie.


E magari pregare per questi eroi. 
Che in fondo, non sono nulla di piu' che uomini.
Ma nulla di meno che uomini.

13 marzo 2011

Tre volte fessi, noi.

Italia-Francia, la nuova cortina di ferro

I profughi tunisini sognano di proseguire per Parigi
ma i controlli della polizia creano un muro invalicabile



VENTIMIGLIA (IM) - C’è ancora una frontiera da superare. L’ultima, quella più difficile. I tunisini in fuga dal Maghreb, raggiunta l’Italia, puntano alla Francia. Parigi, Nizza, Marsiglia, Lione. E’ lì che hanno amici e parenti. Ma il sogno transalpino, dopo aver risalito lo Stivale da Lampedusa, si fa sempre più irraggiungibile. Da Ventimiglia non si passa. Quella che, in tempi normali, è una frontiera spalancata, negli ultimi giorni è diventato un muro invalicabile, sprangato ermeticamente. Un incubo ricorrente, per i tunisini. Il ministro dell’Interno francese, Claude Gueant, è stato chiaro: «Chiediamo agli italiani di trattenere le persone che si presentano sul territorio italiano e di riprendersi quelle che vengono rinviate». E’ arrivato fino alla dogana, lunedì scorso, per far sentire il peso delle sue dichiarazioni. Detto fatto: i diktat dell’Eliseo sono già operativi. I controlli doganali sono diventati massicci. La frontiera si è «militarizzata». Dove prima c’erano un paio di agenti, oggi ce ne sono venti. I poliziotti francesi sono ovunque. La caccia al clandestino imperversa lungo tutta la linea di frontiera: stazioni, caselli, autostrade, strade statali, boschi.




SPERANZE TRADITE - Partiamo con un gruppo di cinque ragazzi tunisini in piena notte. Alle 4.42, alla stazione di Ventimiglia, c’è il primo treno utile per la Francia. Nei paraggi, a quest’ora, nessuna traccia di poliziotti italiani. Saliamo a bordo senza problemi. Il capotreno fischia, il convoglio si mette in marcia. Il sogno francese è a un tiro di schioppo. Adel resta in disparte. E’ molto teso. Molti suoi connazionali hanno già affrontato il viaggio, ma senza successo. Tra le mani stringe un rosario. La paura corre nei suoi occhi, mentre il treno sfreccia in direzione la Costa Azzurra. Fuori, buio pesto. Dopo neanche dieci minuti di viaggio, arriviamo alla stazione di Menton Garavan. Territorio francese. Occhiate fugaci dal finestrino. Deserto spettrale. Meglio approfittarne, pensano i tunisini. Qualcuno scende. Scendiamo con loro. Il treno riparte, allontanandosi nel buio della notte. Nella piccola stazione di Menton Garavan cala un silenzio tombale. Sono le 5 del mattino. Nessun passeggero intorno. Vuoto e speranza. Adel accenna un sorriso. Esce dalla stazione, assaggiando scampoli di libertà. Sembra fatta. «La France!», sussurra a bassa voce. All’improvviso, la doccia gelata. Da dietro l’angolo, spunta una pattuglia della gendarmerie. Un appostamento. In un lampo, i giovani tunisini sono circondati dagli agenti francesi. Chiedono i documenti anche a noi, insospettiti da un’insolita presenza. I tunisini vengono perquisiti. Nessuno di loro ha il permesso di soggiorno. Soltanto la richiesta d’asilo politico, rilasciata nei centri d’accoglienza italiani. Non è sufficiente per passare la frontiera. I ragazzi vengono caricati in macchina. Dietro front, direzione Ventimiglia, dove ad accoglierli c’è la polizia di frontiera italiana. Hanno la richiesta d’asilo e non possono essere trattenuti.
Nuovi sbarchi a Lampedusa

VENTIMIGLIA AL COLLASSO - E’ diventato quasi impossibile valicare il confine. I controlli sono diventati capillari. Spesso gli agenti francesi salgono direttamente a bordo dei treni provenienti da Ventimiglia. Setacciano ogni scompartimento. Meticolosamente. Alla dogana automobilistica, viene fermato chiunque abbia i tratti nordafricani. Inevitabilmente. Si perlustrano anche i cofani posteriori. I migranti potrebbero annidarsi ovunque. Non sarebbe la prima volta. Nonostante le difficoltà, il flusso di tunisini è continuo. Decine ogni giorno. Soltanto nelle ultime due settimane, ci hanno provato almeno in mille. Falliscono quasi tutti. Ma non demordono. Ritentano il giorno successivo. E quello dopo ancora. Attendono speranzosi, ora dopo ora, in quella grande sala d’attesa chiamata Ventimiglia. Il risultato, in paese, è sotto gli occhi di tutti. La città è quasi al collasso. Ogni giorno, nei dintorni della stazione, si ammassano decine di tunisini. Qualcuno è appena arrivato. Altri sono qui da molti giorni. Dormono per terra, ricoperti di stracci e cartoni. Un fatto inusuale, per la maggior parte di loro. In Tunisia non fanno certo la fame. Alcuni lavorano.


FINITI I SOLDI - «Abbiamo soltanto voglia di democrazia» spiega Samir. «E di una vita più dignitosa, con meno povertà» aggiunge Fouad. Sono a Ventimiglia da due giorni. A Parigi hanno amici e cugini. Quando hanno saputo degli sbarchi a Lampedusa, hanno trovato il coraggio di partire. Si sono imbarcati a Zarzis, con una carretta di cinque metri per due. Erano in quindici. «Durante il viaggio si è spento il motore - racconta Samir - Per fortuna avevamo un meccanico a bordo». Dopo un paio di giorni a Lampedusa, sono volati col ponte aereo al Cara di Bari. Cinque giorni per riprendere le energie, poi via, liberamente, verso la Francia. Habib ha finito tutti i soldi che aveva in tasca. I biglietti del treno tra Bari e Ventimigila costano cari. Sperava di poter dormire in albergo, invece ha rimediato due cartoni dai bidoni della spazzatura. Per continuare a vivere, si fa spedire i risparmi dei genitori, via Western Union. Ha già provato a superare la frontiera in treno. Gli è andata male. E’ stanco di dormire come un barbone. «E’ la prima volta in vita mia che mi riduco in queste condizioni”. Sta pensando alla soluzione più insidiosa: quella dei passeur, i trafficanti di clandestini.
I TRAFFICANTI - Il fenomeno sta dilagando in tutta Ventimiglia. Quattro arresti soltanto a marzo. I trafficanti sono quasi sempre nordafricani. Chiedono 100 euro per portarti dall’altra parte. Di solito il viaggio si fa a piedi, lungo tortuosi viottoli collinari, tra fango e boschi. C’è chi osa di più, nascondendo i migranti nei rimorchi. Habib è ancora indeciso. Sulla banchina della stazione, mentre si adagia per la notte, si avvicina un poliziotto italiano. Habib non ha paura: «I poliziotti italiani ci lasciano stare – dice – Noi abbiamo paura dei francesi. Sono loro che non ci vogliono tra i piedi». E in città, qualcuno comincia a vociferare: «Questa è la solidarietà dei francesi: ci rispediscono indietro ogni immigrato, mentre in Italia ne accogliamo cento al giorno».



La prima perche' con tutto quello che sta succedendo in Libia, abbiamo perso importanti investimenti e i trattati fatti con Gheddafi, un porco, ok, ma che ci permettevano una certa indipendenza energetica da altri poteri.
Ovviamente da domani, con la missione di pace Usa-Uk-Francia saranno loro a beneficiare dei gasdotti e del petrolio Libico, ma a noi ci sta bene, anzi, plaudiamo tutti insieme l'intervento di Obama(oh, e' Nobel alla pace, puo' fare cio' che vuole) e degli USA (che ricordo sono  gli stessi che sono dipinti come assassini,mercanti di morte, etc... in Iraq e Afghanistan).

La seconda perche' se solo osiamo aprire bocca sulle ondate di immigrati veniamo tacciati di essere razzisti e xenofobi da mezza europa, salvo poi accorgerci che chi predica tanto bene( chi ricorda cosa disse Sarkozy due settimane fa? disse qualcosa del genere <L'Italia adesso e' in gioco e deve giocare la sua parte fino in fondo> )  non razzola poi mica bene.
Questo il ruolo dell'Italia prendersi tutti i migranti, tenerseli, venire tacciati come razzisti e non vedere un becco di quattrino quando gli altri si divideranno la torta. E noi zitti.
In pratica assistiamo ad una perfetta applicazione de "Son tutti froci cor culo dell'altri " Dove noi mettiamo il culo e l'europa tutta si diletta ad usarlo.

La terza perche' sembra che ci vada bene cosi'.



1

09 marzo 2011

Donna

Ieri s'è festeggiata la festa della donna.
Gia', ma che donna? Quale donna abbiamo festeggiato?
C'è chi ha fatto gli auguri alle donne che ce l'hanno fatta, che sono uscite vincitrici dal confronto con l'uomo.
Qualcuno ha fatto gli auguri alle donne libere, a quelle vive, vere, che non si lasciano soggiogare dal sesso "forte".
La donna che non mercifica il proprio corpo, che conosce il valore della dignita' di se stessa, che e' consapevole e conscia della propria bellezza e importanza.
La donna che fa carriera. La donna che fa famiglia. La donna che e' forte.
Quella che e' debole. La donna vincitrice. La donna sconfitta. La donna che cammina a testa alta con 12cm di tacco e quella che lo fa scalza su una via sterrata, tra fango e paglia. La donna che cammina con il capo chino sotto 50Kg di pietre che lei ha frantumato o chino sopra l'ultimo modello di reezig. Ce ne sarebbero a milioni di donne.

Pero' c'è una errore madornale in tutto questo.
Un errore che passa inosservato, oggi, che forse(ma ho i miei dubbi) era piu' chiaro 10o anni fa.
La donna non ha bisogno di nessuna aggettivazione per essere digitosa.
Una donna non deve dover fare qualcosa o non fare qualcosa per godere dei suoi diritti.

Ieri abbiamo ricordato la donna. Sonza aggettivi.
La donna che ha dignita' e diritti, per il solo fatto di essere tale.
Alle donne e' chiesto solo di essere donne.
E per questo c'è davvero da festeggiare.





Globalmente pero' l'aggettivo "bella" non stona affatto.

08 marzo 2011

3 storie meglio di un fiore.



FILIPPINE/CECILIA OEBANDA, UNA VITA CONSACRATA ALLA GIUSTIZIA: «MAI PIU' BAMBINI USATI E GETTATI»Per coincidenza, il 25° anniversario della rivoluzione "dei fiori e dei rosari" che il 25 febbraio 1986 portò le Filippine a liberarsi della dittatura Marcos, ha anticipato di pochi giorni la consegna di due premi, della Caritas svizzera e della svedese World Children’s Prize Foundation, alla filippina Visayan Forum Foundation. Ulteriori riconoscimenti alla dedizione della sua fondatrice, Cecilia Flores-Oebanda.

Coincidenze significative, ma non inusuali per una vita dedita alla causa della giustizia. Per la 51enne signora filippina si tratta soltanto di «una bellissima opportunità per far conoscere il traffico dei minori nelle Filippine». Un’occasione importante, dopo che a febbraio la sua organizzazione è riuscita ad ottenere la prima sentenza di condanna per sfruttamento del lavoro minorile nel suo paese.

Seconda di dodici figli, Cecilia Oebanda cominciò prestissimo a contribuire alle necessità della famiglia nella povertà assoluta delle campagne dell’isola di Negros, nella parte centrale dell’arcipelago filippino, funestate dal latifondo e silenziate dalla legge marziale imposta dalla dittatura. «A cinque anni andavo ogni giorno al mercato a vendere pesce». Carattere e necessità dovevano presto metterla in contatto con i movimenti contadini e sindacali costretti alla clandestinità nella sua provincia di Negros occidentale, ma anche con il coraggio della Chiesa locale, sovente perseguitata per la sua opposizione al regime. A 20 anni finì in carcere e in detenzione nacquero due dei suoi figli. Ne uscì con la vittoria delle forze anti-dittatura guidate da Corazon Aquino e sostenute dalla Chiesa.

Restava attiva però la sua carica sociale che non poteva avere uno sblocco nella politica locale, troppo legata agli interessi elitari da un lato, troppo ideologizzata dall’altra. Questo, unito «a un’esperienza personale che mi aveva lasciato con un forte desiderio di sostenere i miei connazionali che cercavano di ricostruire un’esistenza dignitosa dopo vent’anni di dittatura», la spinsero a fondare, nel 1991, Visayan Forum. Il suo impegno doveva cadere, tra le infinite necessità del paese, sui minori impiegati nel lavoro domestico, con esperienze simili a quelle della sua infanzia. «Desideravo che questi bambini avessero migliori opportunità, senza sacrificare le semplici gioie dei loro anni formativi e l’istruzione».

Il successo della sua organizzazione, che ha aiutato 35 mila filippini a liberarsi da sfruttamento e violenze, è andato oltre le aspettative sue e dei suoi primi collaboratori. Con una sorta di pudore vive anche la celebrità internazionale utile a evitare che le vicende di tanti minori sfruttati tornino nell’oblio e i loro aguzzini restino senza volto. Perché, racconta, «le difficoltà che ho vissuto nella mia vita, alla fine sono incomparabilmente inferiori a quelle di tante donne e bambini. Il loro pianto mentre comunicano incredibili storie di abusi bastano più di ogni riconoscimento a rafforzarci nel nostro impegno». Stefano Vecchia

EGITTO/ DINA E LE ALTRE: OGGI SAREMO ANCORA IN PIAZZA, LA RIVOLUZIONE È ANCHE NOSTRA
Nel timore che i cambiamenti politici sostenuti dal Consiglio supremo delle Forze armate rafforzino il sistema patriarcale di potere e facciano dimenticare all’opinione pubblica il ruolo centrale avuto dalle donne nell’organizzazione delle proteste popolari che hanno condotto alle dimissioni dell’ex presidente Hosni Mubarak, attiviste e attivisti egiziani hanno convocato per oggi, Giornata internazionale della Donna, un corteo per riportare l’attenzione sulla questione femminile nel Paese nordafricano.

L’iniziativa, tesa a condurre in piazza al Cairo almeno un milione di donne (ma non solo), è coordinata via Facebook, fra le altre, da Dina Abu el-Soud, 35enne blogger: «Stanno trascurando il ruolo delle donne nella rivoluzione», ha dichiarato al quotidiano britannico The Independent l’attivista politica, proprietaria di un ostello nella capitale. «Penso che sia a causa della cultura e delle usanze del posto», ha precisato. Dina è solo uno dei migliaia di volti femminili della rivoluzione egiziana, fin dal principio distintasi per la giovane età dei suoi protagonisti e per la presenza di entrambi i sessi alle 18 giornate anti-Mubarak.

Ma che cosa ha convinto le egiziane, musulmane e cristiane, velate e non, a partecipare come mai prima alle agitazioni di inizio 2011? Probabilmente la natura stessa delle manifestazioni, pacifica, e il mezzo con cui sono state coordinate, Facebook appunto, che garantiva sicurezza e anonimato fino al momento di scendere in piazza.

A sua volta, hanno commentato gli analisti, proprio la presenza delle donne ha dato forza alla rivoluzione, rendendola rappresentativa di tutta la società egiziana, non violenta, più "accettabile" anche agli occhi del mondo, quello che temeva una sollevazione di stampo islamico radicale. Ed è di nuovo in piazza Tahrir, nel cuore del Cairo, che si ritroveranno (dalle 15) giovani donne anche molto diverse fra di loro i cui nomi si rincorrono sul social network: come Nour El Refai, fotografa, o Yasmine Khalifa, studentessa dell’Università americana del Cairo, coordinatrici della marcia al pari di Aalam Wassef, fra gli attivisti maschi che intendono esserci.

I manifestanti ricorderanno Sally Zahran, deceduta il 28 gennaio a Sohag, nell’Alto Egitto, per le conseguenze delle percosse inflittele da alcuni agenti di sicurezza. Sally aveva 23 anni, stava manifestando pacificamente nella città in cui il padre insegnava da 4 anni presso l’università locale; non era legata a nessun partito né movimento specifico, era musulmana, non era velata e lavorava come traduttrice al Cairo, ma si trovava a Sohag dall’inizio delle sommosse, il 25 gennaio, perché le sembrava «un luogo più sicuro». «Non era un’idealista, ma riteneva, al pari di altri, che fossero necessarie riforme economiche e sociali», hanno detto familiari e conoscenti rifuggendo la retorica del "martirio". Federica Zoja

BRASILE/TEREZINHA «SINDACO» IN AMAZZONIA: DIFENDO GLI YANOMAMI DAI CERCATORI D'ORO
È fiera, rude e generosa. Come “Urihí”, la terra-foresta in cui vive il popolo yanomami, al confine tra Brasile e Venezuela. E proprio come Urihí, anche Terezinha si preoccupa di provvedere ai bisogni della comunità. Maria Zigna, alias Terezinha, è l’unica donna delle 24 malocas (collettività) yanomami di Catrimani – un lembo lussureggiante di Amazzonia nello Stato brasiliano di Roraima – ad essere stata nominata “tuxaua”. Molto più di un sindaco: il tuxaua è il portavoce delle esigenze degli altri, il collante della comunità. Ruolo che Terezinha, 44 anni e madre di 4 figli, esercita con profonda consapevolezza. Che la porta a chiedere, senza stancarsi. Perché domanda per gli altri e non per sé. Terezinha e gli altri Yanomani combattono una battaglia estrema e vitale, nel senso letterale del termine. Gli indigeni lottano infatti per la loro sopravvivenza. Minacciata dall’esercito dei “garimpeiros”, i cercatori d’oro – 50-60mila secondo stime locali – che, illegalmente, penetrano nel loro “pezzo di foresta” – un’area di quasi 10 milioni di ettari – a caccia del prezioso metallo.

Di cui il sottosuolo è ricco. Nella corsa all’oro, l’Amazzonia viene sventrata, i fiumi inquinati, gli indios esposti al rischio di contrarre malattie e subire violenze. Almeno 1.500 yanomami – su un totale di 12mila, tanti sono i superstiti – sono morti negli ultimi anni a causa dell’impatto dei “garimpeiros”. Lo sterminio si consuma nel silenzio. A cui si oppone, però, il grido di Terezinha e delle altre donne yanomami, supportate dai missionari della Consolata, da decenni, impegnati nel Roraima. «Ci eravamo appena conosciute. Mi ha guardato e mi ha chiesto: “Che cosa puoi fare per noi?” Loro sono, così, franchi, diretti, genuini», ha raccontato Emanuela Baio, senatrice e attivista per i diritti umani che ha descritto la sua esperienza tra gli Yanomami nel libro Lasciamoci educare dagli indios, presentato ieri a Milano al convegno dell’associazione “Impegnarsi serve”.

L’appello di Terezinha sta dando i primi risultati. In Senato, la Baio ha presentato una mozione perché anche l’Italia ratifichi la Convenzione 169 dell’Ilo, che riconosce il diritto alla terra dei popoli indigeni. Dal 1989, 20 Paesi hanno firmato il documento. Tra questi, però, ci sono pochi Paesi del Nord del mondo. «La sopravvivenza degli indios riguarda anche noi», ha detto padre Giordano Rigamonti, missionario della Consolata. Lucia Capuzzi


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C'è poco molto da festeggiare.

07 marzo 2011

Stati sovrani?


il ministero delle finanze ellenico: azione totalmente ingiustificata

Grecia: Moody's taglia il rating
al livello della Bolivia, Atene si infuria

L'agenzia ha portato la sua valutazione da Ba1 a B1, tre livelli di meno, perché teme il default dello Stato ellenico

il ministero delle finanze ellenico: azione totalmente ingiustificata
Grecia: Moody's taglia il rating
al livello della Bolivia, Atene si infuria
L'agenzia ha portato la sua valutazione da Ba1 a B1, tre livelli di meno, perché teme il default dello Stato ellenico

MILANO
- La crisi greca si sta riacutizzando? L'agenzia Moody's ha tagliato il rating della Grecia da Ba1 a B1 ponendo un outlook negativo sul debito del paese.
LA DECISIONE - Moody's ha tagliato il rating della Grecia di tre livelli motivando la decisione con l'aumento del rischio di un default del Paese ellenico. Il merito di credito attualmente assegnato ad Atene è ora uguale a quello attribuito a Bielorussia e Bolivia. «L'agenzia di rating - si legge in una nota di Moody's - ritiene che sono aumentate le probabilità di un default da quando a giugno il rating di Atene era stato abbassato». Moody's ha fatto riferimento alle preoccupazioni per le entrate fiscali e non esclude un ulteriore downgrade se l'azione del governo di Atene nel processo di risanamento dei conti dovesse rivelarsi più debole.
LA REAZIONE - Il declassamento del rating da parte di Moody's è «completamente ingiustificato» poichè «non riflette una valutazione obiettiva e bilanciata delle condizioni che la Grecia sta fronteggiando al momento». Lo sottolinea in una nota il ministero delle Finanze greco.


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Non so voi, ma se uno stato si deve cacare sotto per quello che fa un'azienda qualcosa non quadra.
Non capisco nulla di economia, non so nemmeno bene cosa comporti il "rating" e non ho la piu' pallida idea di cosa significhi B1 o Ba1, ma se il ministro delle finanze di uno stato deve apparire cosi' preoccupato sono abbastanza certo non si tratti di bruscolini.

Sono proprio una capra sul tema, ho piu' certezze in diritto sumero che in economia.

Pero' qualche domanda me la faccio.

E' veramente uno stato sovrano la Grecia, se deve preoccuparsi per cio' che fa un'azienza?
Quanti stati sono in questa situazione? E quante aziende, nel mondo della finanza e non, hanno cosi potere?

Non so darmi risposta, non ne ho i mezzi, pero' lo scenario sarebbe preoccupante, no?