Sotto l’azzurro fitto
del cielo
qualche uccello di mare se ne va

né sosta mai
perché tutte le immagini portano scritto

“più in là!”




.

"Io dichiaro la mia indipendenza. Io reclamo il mio diritto a scegliere tra tutti gli strumenti che l'universo offre e non permetterò che si dica che alcuni di questi strumenti sono logori solo perché sono già stati usati"

Gilbert Keith Chesterton



19 febbraio 2011

A chi fosse sfuggito..

Ma l'Italia è davvero berlusconiana?
Da quando nella politica italiana è entrato Silvio Berlusconi, ossia dal 1994, la cultura di sinistra ha sviluppato un suo peculiare racconto dell'Italia. Secondo questo racconto chi vota a sinistra sarebbe «la parte migliore del Paese», mentre la parte che sceglie il centrodestra sarebbe la parte peggiore, evidentemente maggioritaria.

La teoria delle due Italie scattò subito, nel 1994, allorché la «gioiosa macchina da guerra» di Occhetto fu inaspettatamente sconfitta dal neonato partito di Silvio Berlusconi.

E da allora mise radici, costruendo pezzo dopo pezzo una narrazione della storia nazionale al centro della quale vi è l'idea di una vera e propria mutazione antropologica degli italiani, traviati fin dagli anni 80 dal consumismo e dalla tv commerciale. Una narrazione che, nel 2001, si arricchirà di un nuovo importante tassello, con la teoria di Umberto Eco secondo cui gli elettori di centrodestra rientrerebbero in due categorie: l'Elettorato Motivato, che vota in base ai propri interessi egoistici e a propri pregiudizi contro stranieri e meridionali, e l'Elettorato Affascinato, «che ha fondato il proprio sistema di valori sull'educazione strisciante impartita da decenni dalle televisioni, e non solo da quelle di Berlusconi». Due elettorati cui non avrebbe neppure senso parlare, visto che non si informano leggendo i giornali seri e «salendo in treno comperano indifferentemente una rivista di destra o di sinistra purché ci sia un sedere in copertina».

Vista da questa prospettiva, la vittoria del 1994, come tutte quelle successive, non sarebbe un incidente di percorso, ma l'amaro sbocco di processi di degenerazione del tessuto civile dell'Italia iniziati molti anni prima. Uno schema, quello dell'Italia traviata dal consumismo e dai media, apparentemente nuovo ma in realtà già allora vecchio di trent'anni. Era stato infatti Pasolini, molti anni fa, a denunciare - ma senza disprezzo, e con ben altra umanità - la «scomparsa delle lucciole», immagine con cui soleva descrivere la dissoluzione dell'umile Italia fin dai primi anni 60, con l'estinzione delle culture popolari sotto l'incalzare del benessere e delle migrazioni interne.

Insomma, voglio dire che è mezzo secolo che «alla sinistra non piacciono gli italiani», per riprendere il titolo del saggio con cui, fin dal 1994, lo storico Giovanni Belardelli (sulla rivista «il Mulino») fissò la sindrome della cultura di sinistra, incapace di darsi una ragione politica dei propri insuccessi, e perciò incline a dipingere l'Italia come un Paese abitato da una maggioranza di opportunisti, di malfattori, o di ignavi. E tuttavia ora, forse per la prima volta, qualcosa si sta muovendo. Qualcosa, molto lentamente, sta cambiando. Non già nei piani alti della politica, nelle segreterie dei partiti, nei palazzi del potere, bensì fra la gente comune, e fra le energie più giovani del Paese. Roberto Saviano, ad esempio, l'altro giorno al Palasharp, alla manifestazione per chiedere le dimissioni del premier, ha sentito il bisogno di dire: «Smettiamo di sentirci una minoranza in un Paese criminale, siamo un Paese per bene con una minoranza criminale». Se Saviano ha sentito il bisogno di esortare il popolo di sinistra a «smettere di credere» di essere una minoranza, vuol dire che quella credenza ancora c'è, sopravvive, nelle menti e nei cuori: una sorta di «pochi ma buoni», una rabbiosa riedizione del «molti nemici, molto onore» di mussoliniana memoria.

La sindrome della «minoranza virtuosa» è tuttora molto radicata nella cultura politica della sinistra. Ma anche qui, persino fra i politici di professione, qualcosa si sta muovendo. L'alibi dell'indegnità degli italiani comincia a scricchiolare. Matteo Renzi, sindaco di Firenze, rimproverato da un po' tutti i suoi compagni di partito (compreso il giovane «rottamatore» Pippo Civati) per essersi contaminato incontrando Berlusconi ad Arcore, ha risposto ai suoi critici più o meno così: se vogliamo vincere non possiamo partire dall'assunto che l'altra metà degli italiani, quella che non ci vota, sia costituita da cittadini irrecuperabili, dobbiamo rispettarli e conquistarli.

Saviano e Renzi hanno ragione. Così come hanno ragione quanti, in piazza o non in piazza, non si stancano di ripetere che l'Italia non è quella che emerge dai festini di Arcore e dalle intercettazioni, o quella che la cultura di sinistra si figura ogni volta che l'esito del voto punisce i progressisti. L'Italia non è berlusconiana quanto si pensa sul piano del costume (un recente sondaggio di Mannheimer certifica che il sogno di una carriera nel mondo dello spettacolo attira effettivamente solo 1 ragazza su 100). Ma non lo è neppure sul piano del consenso elettorale. Contrariamente a quanto molti credono, il berlusconismo - inteso come fiducia incondizionata nei confronti di Berlusconi - è sempre stato un fenomeno marginale. Fatto 100 il corpo elettorale, il voto al partito di Berlusconi non è mai andato oltre il 20%, e il sostegno esplicito al leader, espresso in un voto di preferenza (come alle ultime Europee), si aggira intorno al 6%. Per non parlare del trend più recente, che mostra un Pdl che attira circa il 18% del corpo elettorale, e un premier che ottiene la sufficienza da meno di un cittadino su tre.

Se questa è la realtà, occorre che la sinistra faccia un serio esame di coscienza. Che provi a inventare un altro racconto degli ultimi trent'anni. Un racconto senza alibi e autoindulgenze, un po' più rispettoso degli italiani e un po' più abrasivo su sé stessa. Perché se l'Italia non è, né è mai stata, il Paese moralmente degradato tante volte descritto in questi anni. Se il consenso al leader Berlusconi non è mai stato plebiscitario. Se i suoi fan non sono mai stati tantissimi. Se oggi 2 italiani su 3 non danno la sufficienza a Berlusconi, e appena 1 su 20 lo promuove a pieni voti. Se, a dispetto di tutto ciò, i sondaggi rivelano che il giudizio dei cittadini sull'opposizione è ancora più negativo - molto più negativo - di quello sul governo. Beh, se tutto questo è vero, allora vuol dire che i problemi politici dell'Italia non stanno solo nei comportamenti del premier e nelle insufficienze del suo governo, ma anche nella difficoltà dell'opposizione di trovare, finalmente, un'idea, un programma e un volto che convincano quella metà dell'Italia che non è berlusconiana ma, per ora, non se la sente di votare a sinistra.




































Fonte



Questa sindrome da "popolo eletto" in effetti si e' sempre respirata.
Ogni discussione similpoloitica vede spendere buona parte del tempo nel tentativo di convincere l'altro che, anche se non sei di sinistra, hai comunque una tua dignita' in quanto essere senziente.
Poi devi convincerlo di essere senziente e in quanto tale in grado di esprimere e vivere la tua liberta'.
Poi devi dimostrare di essere libero, non schiavo del padrone e, da cattolico, nemmeno del Vaticano e che anche a te sta a cuore il bene comune almeno tanto quanto a lui.

In pratica devi dimostrargli di essere un normale interlocutore, degno del suo ascolto, prima di poter parlare. E non sempre riesci a convincerlo.

E' normale questo?

18 febbraio 2011

...ciò che è sbagliato è proprio questo... Siamo dei brontoloni.

Cosa c'è di sbagliato nel mondo, secondo Chesterton? Come mai trova qualcosa di sbagliato, lui che era così inguaribilmente positivo rispetto al mondo?
Teggi: A dire il vero Chesterton ebbe da ridire sul titolo, che, a quanto pare, fu modificato dall'editore e lui non ebbe l'accortezza di controllare prima che il testo venisse mandato a stampa. L'idea originale del titolo doveva essere meno lapidaria, qualcosa tipo Quel che è sbagliato. Per questo, pochi mesi dopo l'uscita di Cosa c'è di sbagliato nel mondo, Chesterton fu felice di accogliere la proposta di un altro editore che gli chiese di scrivere Cosa c'è di giusto nel mondo. In quest'ultimo testo Chesterton dichiara che non c'è proprio nulla di sbagliato nel mondo. Paradossalmente, ciò che è sbagliato è proprio questo: noi, nel nostro vivere quotidiano, non siamo così sicuri che il mondo sia una cosa bella e buona e che l'uomo sia una cosa bella e buona. Siamo dei brontoloni, tutti perfettamente d'accordo nel rovesciarci addosso l'un l'altro quanto vanno male le cose. Anche con gente che non conosciamo; siamo in fila al supermercato e di cosa parliamo? La crisi, il guazzabuglio della politica, e così via. Contro questo modo di pensare interviene Chesterton: non è una vera comunità umana quella che, semplicemente, si basa sul fatto che concordiamo su quanto l'uomo sia capace di sbagliare. Proviamo, dice Chesterton, a mettere a tema cosa per noi è giusto. Cominceremmo a scannarci l'un l'altro e, afferma sempre Chesterton, sarebbe anche ora! È scomparso il coraggio di partire da un ideale umano che sia vigorosamente radicato sulle nostre attese più grandi e vere, ecco un passaggio significativo: "Nessun uomo domanda più ciò che desidera, ogni uomo chiede quello che si figura di poter ottenere. E rapidamente la gente si dimentica ciò che l’uomo voleva davvero in principio; […]. Il tutto diventa uno stravagante tumulto di seconde scelte, un pandemonio di ripieghi". Ecco quel che c'è di sbagliato, non nel mondo, ma nella vista dell'uomo che si è appannata.
Spesso si attribuiscono virtù "profetiche" a Chesterton: pare che molte sue opere abbiano non solo colto nel segno i problemi che poi il trascorrere del tempo ha rivelato in tutta la sua interezza. Questa raccolta di saggi è su questo filone?
Teggi: Appena ho cominciato a tradurre i primi paragrafi di questo testo ho avuto proprio questa impressione. Mi dicevo: "Ma guarda, ha scritto queste cose nel 1910 e adesso è tutto esattamente come lui aveva previsto". Poi, nel corso della traduzione, ci ho pensato sopra e non credo che Chesterton avesse quelle che noi in modo semplicistico definiamo 'virtù profetiche'. Noi guardiamo al futuro, pensiamo tutto in termini di progresso e per questo, quando constatiamo che certe cose scritte nel passato, in qualche modo, trovano risposta negli eventi futuri, parliamo di profezia. Nel caso di Chesterton forse è vero, ma nel senso più autentico possibile; la profezia che si può attribuire a lui non è certo quella di vedere le cose in una sfera di cristallo. Penso che, se vogliamo definirlo profeta, dobbiamo intendere questa parola come sinonimo di rivoluzionario: la sua vista era così chiara sul presente (e di conseguenza sul futuro) perché egli teneva l'occhio fisso sull'Origine, su cosa da sempre e per sempre significa la presenza viva e creativa dell'uomo dentro il mondo. Per rivoluzionario intendo non un semplice sovversivo, ma quello che lui spiega benissimo così: "Per qualche strana ragione l’uomo deve sempre piantare i suoi alberi da frutto in un cimitero. L’uomo può trovare la vita solo tra i morti. L’uomo è un mostro deforme, con i piedi rivolti in avanti e il volto girato all’indietro. Può costruire un futuro lussureggiante e maestoso fintanto che continua a pensare al passato. […]. Il nostro moderno idealismo profetico è meschino perché ha subìto un incessante processo di eliminazione. Dobbiamo andare in cerca di cose nuove perché non ci è permesso indagare le cose antiche. Ciò di cui abbiamo bisogno è una libertà assoluta di restaurazione così come di rivoluzione".
Il distributista Chesterton dove voleva arrivare?
Teggi: Mi verrebbe da dire, con ironia, che voleva finalmente svelarci la soluzione di quell'annoso dilemma sull'uovo e la gallina. Da questo esempio comincia l'intero saggio Cosa c'è di sbagliato nel mondo. La risposta è tanto evidente, quanto il fatto che a nessuno è mai venuto in mente di vedere le cose in questo modo: Chesterton osserva che, a differenza dell'uovo (che serve solo a dar vita alla gallina), la gallina non serve solo a fare un altro uovo. La gallina esiste per fare tantissime cose, anche per divertirsi e godersi l'aria del campo in cui becca. L'ideale di Chesterton è quello di difendere l'immagine di un uomo che sia tutto intero e questa idea di uomo non è vera solo nei romanzi o nelle fiction televisive; ogni disegno politico, economico e sociale dovrebbe partire dalla semplice, quanto evidente, constatazione che la gallina (cioè l'uomo), non è solo una "fabbrica-uova". Chesterton attacca la mera idolatria dell'«efficienza», quella per cui tutto l'indaffarato sistema sociale ed economico si regge sull'idea che il progresso sia frutto del «meglio» di ogni uomo. Se sei eccellente nel suonare il violino, al mondo servi solo come violinista. Se, poi, sai anche giocare discretamente a carte e non te la cavi male a fare il giardiniere, queste tue capacità meno eccellenti non «sono utili» all'economia e alla politica. È questo l'errore, secondo Chesterton. Il più intraprendente, aggiornato, visionario manager o capo di Stato non avrà mai quell'audace spregiudicatezza e serietà che ha il bambino quando, giocando, dà tutto se stesso. L'idea di distributismo credo abbia il senso di dar credito a quella capacità creativa che è propria del bambino e che l'uomo adulto deve dimenticarsi il meno possibile: "Un uomo nel suo pezzo di terra si gusta l’eternità o, in altre parole, lavora dieci minuti in più di quello che gli sarebbe richiesto". L'uomo è creativo, cioè spontaneamente partecipa a modo suo della bellezza che vede in un tramonto, in un campo di fiori; forse non saprà tradurla nella bellezza di cui era capace Van Gogh nei suoi dipinti, ma ci prova con tutto se stesso, quando è indaffarato a dipingere le pareti di casa sua o a sistemare le piante nel suo giardino. L'idea di proprietà che Chesterton aveva in mente partiva da questo spinta creativa che mette l'uomo all'opera, al lavoro. È una visione democratica, fondata però non sull'appiattimento di tutti gli individui in una massa indistinta di esseri che per definizione hanno gli stessi diritti; ecco un altro passaggio bellissimo: "La proprietà è semplicemente l’arte della democrazia. Significa che ogni uomo dovrebbe avere qualcosa a cui dar forma a sua immagine, come egli è fatto a immagine del cielo. […] Un uomo che ama il suo piccolo campo triangolare, lo ama perché è di forma triangolare; chiunque distrugge quella forma, dando più terra a quell’uomo, è un ladro che ha rubato un triangolo. […] Egli non può vedere la forma della sua terra finché non vede le siepi del vicino".
Ritiene ancora utili oggi gli insegnamenti chestertoniani su famiglia, economia e società?
Teggi: Mi è impossibile non citare a rovescio uno slogan che sentiamo in questi giorni. Si grida alle donne di uscire di casa, di scendere in piazza per far vedere di cosa sono capaci. Quando Chesterton scrisse questo saggio era l'epoca delle Suffragette: le donne scendevano in piazza e reclamavano il diritto di voto. A loro Chesterton suggeriva che, forse, era meglio stare a casa; penso lo direbbe anche alle donne di oggi. Una cosa del genere può far venire i brividi all'avanzato XXI secolo, in cui la donna, dopo una lotta secolare, ha guadagnato a caro prezzo una presunta libertà ed uguaglianza di diritti. Il senso della provocazione di Chesterton, anche in questo caso, era quello di cominciare ogni discussione sempre a partire dall'ideale giusto e ultimo, senza escluderlo a prescindere solo perché sappiamo che non sarà raggiungibile. La famiglia come luogo di vera libertà è l'ideale, la rivoluzione di sguardo che Chesterton riteneva fosse la necessità più urgente per il nostro mondo. Lo è ancora.
I tragici fatti di cronaca che ascoltiamo quotidianamente sono un grido che noi stessi continuiamo a fraintendere: non abbiamo bisogno di criminologi, psicologi o di qualsiasi altro tipo di specialisti per renderci conto che siamo capaci di commettere il male. Abbiamo bisogno di non dimenticare che l'uomo, per quanto male possa commettere, è in origine una cosa buona. La donna, per Chesterton, doveva essere la combattente paladina di questo spazio libero per l'uomo, regina dell'impero domestico e non casalinga disperata. Non si tratta qui di azzerare l'intoccabile verità che una donna può essere capo d'azienda tanto quanto un uomo, ma di spostare lo sguardo su un orizzonte più complessivo, in cui uomo e donna e bambino sono davvero la radice viva che regge il mondo. Ma mi spiego meglio, ricordando l'esempio più commovente che Chesterton fa nel libro di cui stiamo parlando: se in un asilo si verificava un'epidemia di pidocchi, la legge imponeva che si tagliassero subito i capelli ai bambini. Una madre, invece e istintivamente, ama i capelli di sua figlia e si metterebbe a toglierle i pidocchi, non a tagliarle i capelli. La famiglia è quella roccaforte chiamata a difendere l'uomo libero e tutto intero, a non ridurlo al peso delle sue colpe o all'uso delle sue qualità migliori: "Quella piccola monella con i capelli ramati, che ho appena visto trotterellare davanti a casa mia, non dovrà essere rasata o azzoppata o alterata in qualche modo; i suoi capelli non dovranno essere tagliati corti come quelli di un carcerato; no, tutti i regni della terra dovranno essere modellati e mutilati per adattarsi a lei. Lei è la sacra immagine dell’uomo; attorno a lei la fabbrica sociale vacillerà, si spaccherà e crollerà; le colonne della società tremeranno e le volte della storia si sgretoleranno, e non uno dei suoi capelli sarà toccato".
Lei è la traduttrice del volume. Che mondo apre Chesterton agli occhi di un traduttore?
Teggi: Mi è stato insegnato che tradurre è una questione di ospitalità: è un po' come quando un amico entra in casa tua; tu lo accogli, cerchi di farlo accomodare al meglio e lui, contemporaneamente, abita i tuoi spazi, si mette a suo agio. Chesterton è uno di quegli ospiti che entra in casa e mette a soqquadro tutto, al punto che non riconosci più casa tua. O meglio, la guardi con occhi nuovi e la trovi decisamente più bella di come credevi di conoscerla. Io ho avuto il privilegio di tradurre questo libro mentre aspettavo il mio secondo figlio; posso dire che Chesterton mi ha accompagnato a farlo nascere. Vedevo le altre future mamme leggere i classici manuali sulla maternità, mentre aspettavamo di cominciare il corso pre-parto. Io avevo in mano i miei fogli intitolati Cosa c'è di sbagliato nel mondo. Non c'era una differenza sostanziale tra questi due tipi di letture: tutte ci preoccupavamo di essere pronte ad accogliere una nuova vita, ma io avevo un compagno di viaggio che non mi ha dato regole. Mi ha preparato a non perdermi quella spaventosa meraviglia che è 'venire al mondo'. E mi ha insegnato che è questa spaventosa meraviglia ciò che rende l'essere umano un presenza davvero portentosa: "Questa è la sola ed eterna educazione: essere così sicuri che qualcosa è vero da avere il coraggio di dirlo a un bambino".




Ecco perche' mi piace Chesterton. Per questo e molto altro.
Mi piace mi piace mi piace.

17 febbraio 2011

Li dovreste odiare. Sono infedeli, miscredenti.

Un giornalista della Bbc infiltrato nell'istituto di Birmingham che forma la classe dirigente musulmana. L'estremismo tra i banchi. "Voi non siete come la gente lì fuori. Dovete rifiutare i loro costumi per non perire all'inferno".
L’uomo è magro, di un pallore vagamente spettrale e si accarezza la barba curata e lunga. Ha un’età indefinibile, che potrebbe essere compresa tra i venticinque e i cinquant’anni. Cammina in mezzo alla stanza silenziosa vestito con una tunica chiara che arriva fino a piedi. Un piccolo cappello di lana bianca. La sua voce ha il suono dell’acciao contro la parete di una caverna profondissima e i ragazzi intorno a lui, circa venti, hanno l’attenzione nervosa di chi si sente a disagio. Hanno undici anni e sono seduti nei banchi della Darul Uloom Islamic High School di Birmingham, West Midlands, Inghilterra centrale. «Voi non siete come i non musulmani che vedete lì fuori». Indica un punto indefinito oltre la finestra. «Quanto male c’è nelle strade. Persone che non portano correttamente l’hijab, gente che fuma. Li dovreste odiare. Odiare quelli come loro. Sono infedeli, miscredenti». La parola che usa con disprezzo è «Kuffar». Una telecamera nascosta da un giornalista della Bbc che si è infiltrato nella scuola per quattro mesi registra tutto. Il filmato integrale andrà in onda su Channel 4 questa sera. Il titolo sarà: lezioni di odio e di violenza.
Sono passati esattamente nove giorni da quando il primo ministro David Cameron ha spiegato che in Gran Bretagna «il multiculturalismo di Stato ha fallito lasciando i giovani musulmani vulnerabili al radicalismo».
La Darul Uloom fa parte di un gruppo di istituti noti nel mondo come le «Eton dell’Islam» che hanno l’obiettivo di formare la prossima generazione di leader musulmani. Il regolamento della scuola secondaria, sottoposto anche alle autorità inglesi, prevede che all’interno delle mura si insegnino la tolleranza e l’integrazione. Nel 2009 gli ispettori governativi hanno certificato che ogni cosa è in ordine.
L’uomo non si ferma. Parla con calma. Attacca gli ebrei, i cristiani, gli atei. Dice che «gli hindu sono senza intelletto e bevono la piscia delle mucche». Ha pupille vaghe come quelle di un cieco. Insegna che «i miscredenti sono le peggiori creature del mondo. Bevono, ascoltano musica. I musulmani che non adottano costumi islamici saranno torturati con un forcone rovente nell’aldilà». La lezione è finita.
I responsabili della scuola, a cui è stato sottoposto il filmato, giurano che l’uomo non era un insegnate, ma uno studente anziano. E che tra l’altro è già stato espulso. «La sue idee non rappresentano la politica dell’istituto». Il reporter della Bbc si chiama Osman, è musulmano e racconta che da bambino, nella madrassa che frequentava, lo riempivano di botte. «Hanno distrutto la fiducia in me. Ma io so che l’Islam è un’altra cosa».
La tv inglese stasera manderà in onda un secondo filmato. Anche questo girato di nascosto. Stavolta da una giornalista del Daily Mail dentro una madrassa all’interno della moschea Jamia di Keighley, West Yorkshire. La scena è simile. Solo che i bambini questa volta sono seduti per terra. E sono più piccoli. Hanno sei anni. L’uomo che cammina in mezzo a loro - barba e tunica - sembra un falò attorno al quale ci si raduna in cerca di saggezza e di calore, ma la scena cambia all’improvviso. L’insegnante si avvicna senza motivo a un ragazzino paralizzato dal terrore. Lì per lì non si capisce perché abbia paura. E’a scuola. Un posto apparentemente sicuro. Ma l’insegnate lo colpisce con uno schiaffo, con l’indifferenza creata dall’abitudine. Si sposta, prende a calci un altro bambino. Un terzo lo strattona per la maglia. Le immagini sono sfuocate e inequivocabili. D’istinto si prova una pietà opprimente che si concentra sul corpo magro e debole dei ragazzi. La loro smorfia d’angoscia non è di paura o di schifo, piuttosto di vergogna. Come se a sbagliare fossero loro. Il comitato direttivo della Jamia messo di fronte alle immagini ha reagito spiegando che «sarà intrapresa ogni azione per tutelare l’incolumità dei bambini, la nostra disponibilità a cooperare è totale». La reporter del Daily Mail si chiama Tazeen Ahmad, è musulmana, ha lunghi capelli neri, e racconta che sua madre l’ha educata leggendo il Corano e insegnandole la tolleranza. «Le scuole dovrebbero essere sottoposte a una maggiore sicurezza, ma io lo so che l’Islam è un’altra cosa».


Fonte



14 febbraio 2011

What's Wrong with the World



«Che cosa non va nel mondo?», si domanda Chesterton, aprendo questo libro scritto nel 1910, ma di sorprendente attualità. I problemi sono tanti: si va dalla solitudine dell'uomo e dalla sua alienazione indotta sia dal capitalismo sia dal socialismo (il primo la giustifica considerandola il prezzo da pagare per assicurare la produzione; il secondo pretende di ridefinire ciò che è umano nel tentativo di dare vita all'homo novus) al rifiuto delle leggi divine, sostituite da arroganti e a volte patetiche leggi sociologiche; dal femminismo, criticato perché reclama il diritto di applicare alla donna categorie maschili ottenendo come risultato non la sua emancipazione ma il suo snaturamento, ai sistemi educativi che, escludendo i genitori, tendono sempre più a irreggimentare i bambini trasformandoli in proprietà dello Stato.
Ma secondo l'autore, ciò che realmente non va nel mondo è che si tende a cambiare l'uomo per adattarlo alla società piuttosto che adattare la società alle esigenze dell'uomo (errore in cui perseverano sia i conservatori sia i progressisti). Le uniche vie di uscita sono il ritorno alla famiglia tradizionale, il solo ambito in cui sia possibile un'esistenza libera e felice, e l'adozione di un sistema economico (il distributismo, di cui Chesterton fu un grande sostenitore) in cui la proprietà dei mezzi di produzione possa essere ripartita nel modo più ampio possibile fra la popolazione.




   AUTORE: Chesterton G.K.  Ciò che non va nel mondo
   COLLANA: I Pellicani
   PAGINE: pp. 312
   ILLUSTRAZIONIN° No
   FORMATO: cm. 14x21 
   PREZZO: euro 22,00 € 







13 febbraio 2011

Harvard: sbagliate le critiche al Papa


Contro l'Aids più che il condom può la fedeltà

Gli attacchi al Papa sull’uso del preservativo in Africa per combattere l’Aids dovrebbero essere radicalmente rivisti. Merito di un nuovo studio appena pubblicato dallo studioso di sanità pubblica Daniel Halperin, docente alla Harvard University. Come rilanciato dal sito www.missionline.org, tale ricerca, in pratica, dà ragione a Benedetto XVI e alla sua sottolineatura dell’educazione (e non dello strumento «tecnico» del condom) per sconfiggere la diffusione dell’Aids.

Il dato non indifferente - prosegue l'articolo pubblicato su missionline.org - è che la notizia è stata diffusa dall'agenzia Irin, promossa dalle Nazioni Unite, i cui organismi sanitari e di sviluppo - Oms, Unfpa, ... - sostengono abitualmente la soluzione-preservativo rispetto a quella educativa, promossa e appoggiata da missionari ed enti cristiani.

In uno studio recentissimo, Halperin ha preso in esame il caso dello Zimbabwe per capire qualcosa sulla prevenzione della diffusione dell’Aids. In sintesi, il ricercatori di Harvard ha riscontrato che «una riduzione nei partner sessuali conduce a una decrescita delle nuove infezioni da Aids». Il caso Zimbabwe lo dimostra: la prevalenza del virus è caduta del 13% dal 1997 al 2007, un crollo troppo evidente per attribuirlo a motivazioni naturali ma la cui ragione risiede altrove, ha sottolineato lo studioso Usa. «Il modello esaminato ha dimostrato che non si tratta di una curva naturale – ha spiegato Halperin -. Il calo è stato troppo forte. Questo suggerisce che ciò è dovuto a cambiamenti di comportamento e anche i dati empirici derivanti dai comportamenti suggeriscono un cambio».

Secondo il ricercatore la storia di successo dello Zimbabwe avvicina il Paese di Mugabe alla vicenda dell’Uganda, la prima a promuovere una riduzione dei partner sessuali per sconfiggere l’Aids, come visto negli anni Novanta a Kampala e dintorni.

I numeri sono lì a dimostrarlo: il crollo dell’incidenza dei sieropositivi (- 13% in 10 anni) viene dimostrato nella provincia di Manicaland dove dal 1998 al 2003 sono diminuiti del 40% gli uomini che hanno ammesso di avere partner sessuali multipli: lo stesso periodo in cui – segnala Halperin – è diminuita l’incidenza del virus.

Fonte
Di sicuro le industrie farmaceutiche non si rammaricheranno per questo studio.
Dopotutto a loro non interessano i proventi della vendita di milioni e milioni di profilattici, a loro sta profondamente a cuore la salute degli africani, piu' che il loro stesso profitto.
E di sicuro, adesso, osserveremo un cambiamento anche nelle posizioni e nelle parole dei governi, che di certo non sono affatto influenzati nelle loro decisioni dal peso economico di queste potenti industrie, come abbiamo gia' potuto osservare in occasione dell'acquisto del vaccino per la pericolossissima aviaria.
E di sicuro dalla Merkel a Zapatero, passando anche per tutti gli altri, sentiremo parole di scusa nei confronti del Papa, reo, qualche anno fa, di aver detto all'incirca che non bastano i profilattici per curare l'aids e che anzi, affidarsi solo a loro potrebbe peggiorare il problema, mentre occorre, per risolverlo, insistere su un cambiamento comportamentale della popolazione, per esempio riducendo la promisquita' dei propri rapporti sessuali e per questo tacciato da questi governanti e da altri di essere un criminale internazionale, un mostro, un assassino, un essere privo di scrupoli che fa uso del suo potere per tenere le popolazioni africane sotto il giogo di malattie mortali (immagino che tutto questo lo faccia per poter vendere loro i farmaci che il vaticano stesso produce negli impianti sotto San Pietro). Milioni gli africani, infatti, che dopo aver ascoltato il Santo Padre, hanno contratto il virus facendo all'amore senza profilattico e con partner vari. Discorso non molto diverso da quello che fa Halperin, per non dire identico. 
Di sicuro questa notizia non sara' relegata ad il solo Avvenire, ma verra' pubblicata ovunque e avra' una grandissima esposizione sui media che, come abbiamo visto due anni fa in occasione del discorso del Papa, si sono mostrati estremamente sensibili ed attenti sul tema. Non penserete mica che hanno fatto tutto quel trambusto solo per aggredire la Chiesa. Loro hanno veramente a cuore il problema dell'AIDS e la vita di quelle popolazioni, per questo adesso, dopo questa notizia, ne sentiremo parlare ancora molto, esattamente come gia' successo.
Di sicuro.




12 febbraio 2011

Quelle domande che pesano

Alle donne che scenderanno in piazza domani, in una sorta di sollevazione contro l’immagine di donna che esce da un mese di cronache di feste e confessioni di escort, vorrei porre qualche domanda. Il “manifesto” della iniziativa parla di «baratro culturale», di «Italia ridotta a un bordello» – ci scusino i lettori, ma questo è lo “spirito del tempo”. Qualcuno, qualcuna si è accorta ora delle code davanti agli studi dove si scelgono le future vallette, o del diffuso sogno di entrare nella “scuderia” di Lele Mora, sogno per cui alcune sono disposte a tutto. «Se non ora, quando», è il grido della manifestazione di domani. E sembra l’esclamazione di chi tardivamente si sia guardato attorno, scoprendo che l’aria che tira non gli piace.

La prima domanda è dunque dove erano tante di quelle che sfileranno domani, in questi vent’anni. La maggior parte di loro proviene da quella cultura che è il lascito tardivo di femminismo e Sessantotto: la cultura del «Io sono mia», che predicava la piena autonomia di una donna finalmente liberata da condizionamenti del passato, maschilisti o – peggio – religiosi. La ricordiamo l’ebbrezza di questa liberazione, trent’anni fa: libera, si proclamava quella generazione di ventenni, di fare politica, di studiare e lavorare; libere nel rifiuto orgoglioso di essere “donne oggetto”; libere dal matrimonio come destino obbligato; libere, grazie alla pillola e all’aborto legale, dall’antico giogo di maternità non volute.
La seconda domanda allora è che cosa è stato ereditato, di queste vere o presunte libertà, dalle figlie. Qualcosa deve essersi inceppato nella trasmissione generazionale, se non poche, e soprattutto nelle classi sociali più modeste, declinano questa libertà come totale disponibilità di se stesse, anche di farsi guardare come cose, se occorre, e se ne vale la pena. È il “sistema” che sfrutta e usa le donne, si griderà in piazza – in quella piazza in cui io non andrò. Però quelle sono figlie nostre; cresciute davanti alla tv forse, ma educate da noi. Avete letto il sondaggio di Ilvo Diamanti che chiede agli italiani se considerano gli atteggiamenti di Berlusconi «offensivi contro le donne»? Solo il 37 per cento delle ragazze risponde di sì, e solo il 28 per cento delle trentenni. Insomma, la prospettiva di farsi meteorine in feste di vip, o di usare la bellezza per “arrivare” in fretta non è poi così riprovata. Plagiate da vent’anni di veline? Ma le famiglie, e le madri, dov’erano? Scoprire all’improvviso che le bambine di dodici anni, nelle famiglie più abbandonate ma non solo in quelle, sognano davanti allo specchio “quel” successo; e non sanno, ma ancora per poco, cosa si fa per agguantarlo. Ve ne accorgete oggi? Noi cattolici retrogradi eravamo dunque all’avanguardia?

Su Repubblica però una docente universitaria pone questa distinzione: «Una cosa è che uno scelga i valori del sedere, come la cosa migliore di sé e più preziosa; tutt’altra cosa è che glielo imponga un altro». Tipica declinazione di quel relativismo etico che è da anni il pensiero unico obbligatorio. Secondo il quale nulla è oggettivamente negativo; se una liberamente decide di vendersi, niente da dire. Ma allora cosa si scende in piazza a contestare domani? Le fanciulle, stelline, vallette, meteore che abbiamo visto sfilare sui giornali sono – per lo più – maggiorenni e capaci di intendere. E dunque? Forse il problema è più grande: ma davvero vendersi, o accettare di mostrarsi come un bell’oggetto – libera o no che sia la scelta – non è avvilente in sé, non è contrario alla dignità di una donna, o di un uomo? Non c’era forse qualcosa di primario, di oggettivo che si è buttato via insieme al resto trent’anni fa, quando si gridava «L’utero è mio e lo gestisco io»?. L’ultima domanda, la più importante, è: che cosa trasmettere a una figlia, perché non sogni, sotto sotto, di incontrare Lele Mora? Basterà parlare di “decenza”? (strano ritrovare in bocche laiche questo vecchio termine “bigotto”). Ciò che, crediamo, scrive su un figlio l’orgoglio di non essere in vendita mai è che si senta fin dal primo giorno unico, e amato, e non nato per caso, ma dentro un destino comune e buono; che sappia che quel destino è un compito che lo lega agli altri, e non è risolvibile nell’arbitrio del gioco più comodo o veloce. È la certezza dei cristiani autentici, e forse quella dei laici migliori – le cui speranze, però, sembrano oggi perse o sconfitte. Senza questa certezza del valore assoluto di ognuno, non stupisce che si concepisca di vendersi – e i modi poi, per donne e uomini, sono tanti. Se nessuno ti ha detto che tu non hai prezzo, e il tuo valore è infinito. (qui aggiungo io: perche' sei fatto/a a immagine e somiglianza di Dio)
Marina Corradi

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Mi piace arrivarci 24 ore prima...

11 febbraio 2011

L'utero è mio e lo gestisco io,

...basta che non la dai a silvio.
Senno' sei puttana, balrdacca, feccia di donna, insulto alla dignita' delle donne.

Il tutto e' riassumibile in  "puoi far quello che vuoi, ma con chi diciamo noi".




Sono davvero l'unico a trovare tutto questo teatrino profondamente ridicolo?
Questa improvvisa ondata di puritanismo degli stessi che "sessuofobi, oscurantisti" non se lo sono mai fatto mancare dalla bocca non e' tollerabile, se non pescando a piene mani nel proprio sense of humor.

10 febbraio 2011

Bufale sull’e-book

Per inquadrare il fenomeno eBook è forse il caso di partire dall’esperienza personale. Quanti tra voi lettori hanno letto finora un libro elettronico? A sentire gli annunci dei giganti del settore (a cominciare dal boss di AmazonJeff Bezos) e profezie varie sulla morte delle librerie, sembra che la carta si sia già incamminata sul viale del tramonto, con giusto un nostalgismo per i bei tempi andati ad arginare, ancora per poco, la rivoluzione dell’eBook.

In realtà, facendo dei semplici sondaggi casalinghi – ovvero chiedendo ad amici e conoscenti – la risposta alla domanda di cui sopra è spesso simile: nessuno. Anche i pochi fortunati dotati di un lettore digitale, iPad o Kindle che dir si voglia, raramente si sono cimentati con un romanzo su inchiostro elettronico. I numeri ufficiali, d’altronde, parlano da soli. Secondo le stime rese note a gennaio al DigitalBook World 2011 uno dei più importanti appuntamenti mondiali per per l’editoria digitale, gli eBook in Italia sono sotto la quota dello 0,5 per cento del mercato librario. Vuol dire che ogni 200 libri cartacei, viene venduto un solo eBook.

Negli Usa le cifre salgono: nel mercato librario statunitense (che offre oltre 800mila titoli) gli eBook occupano circa il 10 per cento del mercato; ma i numeri crollano nuovamente in Europa (dove, va detto, il numero di titoli disponibili è inferiore): se a ‘svettare’ è il Regno Unito con una quota tra il 2 il 3 per cento del mercato, il giro d’affari in Germania e Francia è inchiodato all’uno per cento (la Spagna è come noi allo 0,5). Data questa situazione, è tutt’altra la ‘verità’ che domina su giornali e siti specializzati.

Capofila – interessato – degli entusiasti è appunto Jeff Bezos, presidente e amministratore delegato di Amazon, il portale (da poco sbarcato anche in Italia) leader mondiale dell’e-commerce. Amazon, vende di tutto, dalle stampanti ai frullatori, ma nasce nel 1995 come libreria online e ancora oggi non ha rivali nella vendita di libri per corrispondenza.

Amazon salta nell’e-mondo nel 2007 con il lancio di Kindle, lettore digitale dotato di particolare inchiostro elettronico che permette anche la lettura sotto il sole (quest’estate è arrivato il Kindle3). Da quando il suo gioiellino è sul mercato, il patron Bezos non si è fatto mancare neanche un’occasione per esaltare le magnifiche sorti e progressive dei suoi prodotti. Nel Natale del 2009 Amazon fa sapere ai quattro angoli del globo: “A Natale abbiamo venduto più copie di libri in formato digitale per Kindle che in quello cartaceo”. “Il Natale 2009 passerà alla storia come il momento del sorpasso degli eBook ai danni dei vecchi cugini cartacei?” si chiese ai tempi l’italiano bookblog. Diradato il fumo, fu chiaro che il 25 dicembre a pochi viene in mente di ordinare un libro via posta, mentre decine di migliaia erano coloro che, ricevuto un Kindle in regalo, lo avevano testato scaricando due-tre eBook. Più recente l’annuncio dello “storico sorpasso”. Lo scorso luglio dall’azienda di Bezos fanno sapere che ormai “ogni 100 libri cartacei ‘hardback’ sono stati venduti 143 eBook”.

Finisce così la società di Gutemberg? Non proprio. Anche in questo caso andrebbe specificato che per “hard book” si intendono i libri cartacei in edizione rigida, spesso costosi e rivolti ad un pubblico di nicchia (e, a differenza dell’Italia, ormai desueti sul mercato Usa). Ma anche questa volta l’annuncio dei geni dell’e-comunicazioni ha funzionato: i titoli dei giornali del mondo non mancano e, buon per Bezos, si torna a parlare della sua azienda appena sta cominciando a scemare l’ubriacatura per l’iPad Apple lanciata il mese prima e diretta concorrente di Kindle. Basta aspettare solo qualche mese, infine, arrivando ai giorni nostri, perchè il portale che prende il nome dal Rio delle Amazzoni torni di nuova alla carica.

Lo scorso 27 gennaio un ulteriore comunicato viene sfornato dall’azienda di Seattle. “Amazon.com ora vende più libri elettronici per Kindle che paperback. Per ogni cento paperback venduti, abbiamo venduto 115 eBook”. In questo caso la notizia sembra reale. I ‘paperback’ sono i volumi che leggiamo tutti, i tascabili, quelli con copertina morbida. Si è compiuto davvero il sorpasso? Siamo sbarcati, senza batter ciglio, nell’era della lettura digitale? In realtà anche in questo caso i dati andrebbero presi con le molle. Amazon può contare sull’80 percento del mercato degli eBook negli Usa. Ma, nonostante il lettore Kindle sia acquistabile soltanto negli Stati Uniti, sono milioni i cittadini del mondo che sono riusciti ad accaparrarsene uno (e questi sono obbligati a comprare gli eBook su Amazon, circostanza che spiega anche il successo dell’eBook presso gli americani).

Tutt’altra musica per i tascabili cartacei. Amazon conta soltanto sul 15 percento del mercato Usa: un’inezia rispetto al mercato globale al quale vanno ascritte le librerie e gli altri siti in America e nel resto del mondo. Amazon, quindi, fa un’altra capriola mediatica: confronta un dato globale (quello sulle vendite dei suoi eBook), con un dato iper locale (le vendite Amazon di libri cartacei negli Usa). É come se la Coca Cola annunciasse di vendere più Coca Cola che acqua minerale: nessun penserebbe che la razza umana è passata alla Coca Cola. Ma Amazon è new-economy, e fa un altro effetto.

La domanda che a questo punto esige una risposta è allora: cui prodest? A chi conviene pompare mediaticamente la rilevanza degli eBook nel mondo? La risposta è deduttiva. Gli eBook Kindle hanno un formato “proprietario”, ovvero possono essere letti solo su supporti prodotti dalla casa madre. L’azienda di Bezos, perciò, ha tutto l’interesse a porsi come “standard”: se tra qualche anno “libro digitale”, vorrà dire “libro digitale per Kindle” allora non solo il gigante dell’e-commerce se ne gioverà in termini di vendite, ma potrà anche tenere sotto scacco gli editori e imporre anche agli scrittori gli accordi che ritiene vantaggiosi. La realtà ci dice ben altro. Per ora continuiamo ad amare la carta. E non basta qualche comunicato stampa a convincerci del contrario.

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 Finche' non implementeranno il profumo di carta sugli ebook...

04 febbraio 2011

La dignita' offesa delle donne

E mentre succede tutto questo:


PROSTITUTE MINORENNI
Campania, ragazze vendute in strada dai padri

Escono da casa a tarda sera o di notte – ma chissà che non accada anche sotto il sole – sapendo già dove andare, padre e figlia. Lui neanche di mezza età, lei neanche quindicenne o meno ancora o poco più. Hanno un appuntamento, probabilmente già concordato e forse più di uno, perché la ragazzina è la merce da offrire ad un mercato che chiede corpi da consumare e corpi sempre più giovani. Prostituzione minorile, è il termine giuridico con tutto quel che segue. Scambio disgustoso e ignobile, per chi ha il senso della dignità e la coscienza. Nelle loro ronde di vigilanza serali e notturne i carabinieri di Aversa, nel Casertano ai confini con la provincia di Napoli, ma non solo, si trovano davanti situazioni sempre nuove ed agghiaccianti. Più abituati ai morti di camorra, restano sconcertati ed anche disgustati di fronte a bambine che dell’infanzia non hanno più nulla avendo perso già tutto e a genitori consapevoli delle loro azioni.

I padri, quando sono riconosciuti tali, mascherano l’oscena compravendita con la necessità ancora più immorale del bisogno di soldi, di dover dare un reddito alla famiglia magari numerosa, di dover fronteggiare ai debiti e alla sopravvivenza quotidiana. Il mercato ha fame di corpi e loro li hanno e li mettono in vendita e si sentono fortunati per questo. L’alternativa altrettanto poco dignitosa sarebbe un lavoro a nero, mal pagato e peggio tutelato. Nella Campania senza più welfare né lavoro, ma sempre più nel bisogno e sollecitata come tutti da pressanti inviti al consumo, succede anche questo. «Che altro dobbiamo aspettarci?», domanda sconfortata Carmela Manco, presidente dell’associazione Figli in Famiglia a San Giovanni a Peduccio, che da anni lavora per togliere dalla strada e offrire percorsi alternativi a bambini, giovani, donne. «Chi mi fa pena - continua - sono i genitori che non si rendono conto di quello che fanno. Io credo che loro per primi non siano stati mai amati».

Di madri o di altri familiari, che sfuggendo ai servizi sociali troppo pochi e perciò disattenti, vendono i corpi e il futuro dei propri figli o nipoti, la cronaca registra storie e nomi. Ma quello che i carabinieri di Aversa scoprono quasi ogni notte è ancora una volta il segno che esistono generazioni senza speranza, come in un dopoguerra sterile dove si vive alla giornata, sopra le macerie non di case ma di anime.

Le bambine prostitute stanno accanto agli adolescenti che armati di pistola tentano le rapine e muoiono per un pugno di euro credendo siano soldi facili e invece costano la vita. Non c’è solo allora la camorra a tentare con il modello vincente bambini, giovani e famiglie e a mettere nelle mani di adolescenti la droga o la pistola.

«Dobbiamo coinvolgere le famiglie nell’emergenza educativa - dice don Antonio Carbone, direttore del Centro Don Bosco di Napoli. - La famiglia oggi è senza punti di riferimento, incapace di vedere ciò che è bene e ciò che è male, e si arrende alle richieste dei figli, che non sa guidare e di cui si rende complice di scelte diseducative e non di formazione. È come se i genitori alzassero la bandiera bianca della resa di fronte all’avversario pur di continuare a sopravvivere. E i vincitori - conclude - sono i peggiori modelli di vita, inseguiti in nome di un successo che non arriverà mai».
Valeria Chianese


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Sembra che l'unica cosa che offenda le donne e la loro dignita' sia un vecchietto dalle dubbie capacita' sessuali e le sue due-tre amichette.
Ora, o queste amichette sono le sole e pure rappresentanti del genere femminile , per cui la loro vicenda e' davvero simbolica ed esemplare per la vita delle donne tutte ed esempio calzante della situazione del mondo femminile Italia, oppure chi si lamenta, lo fa cosi' un po' a casaccio, oggi la dignita' delle donne domani l'ambiente, dopodomani la mafia.

Ovviemente secondo me e' la seconda.
Credo che ci siano episodi ben piu' gravi di offesa alla dignita' della donna, tipo quello qui riportato, per cui valga la pena di manifestare. Credo che se davvero chi manifesta oggi per la dignita' delle donne avesse davvero a cuore la dignita' delle donne, avrebbe scelto altre date, altre lotte e probabilmente altri bersagli.