Sotto l’azzurro fitto
del cielo
qualche uccello di mare se ne va

né sosta mai
perché tutte le immagini portano scritto

“più in là!”




.

"Io dichiaro la mia indipendenza. Io reclamo il mio diritto a scegliere tra tutti gli strumenti che l'universo offre e non permetterò che si dica che alcuni di questi strumenti sono logori solo perché sono già stati usati"

Gilbert Keith Chesterton



30 maggio 2011

Ma ne sono convinti? II

La sentenza: Inter meglio del Barcellona
A dirlo sono i palmares del post-Calciopoli 


C'è una squadra migliore del Barcellona? Questa la domanda sulla bocca di tutti in questi giorni. La risposta sembrerebbe scontata guardando le partite degli uomini di Guardiola, ma buttando un occhio ai palmares delle diverse big europee ecco la sorpresa: l'Inter ha fatto meglio dei blaugrana. Prendendo come punto di riferimento Calciopoli, sorta di anno zero della storia nerazzurra, si scopre che la squadra di Moratti ha vinto più trofei di tutti nel Vecchio Continente, ben 14 titoli.
Dietro ai nerazzurri un terzetto a inseguire, distanziati di un solo trofeo: Barcellona, Porto e Manchester United si fermano a quota 13, comunque non pochi.
Sei anni è un periodo abbastanza lungo per poter emettere la sentenza: nessuno come l'Inter dei vari Mancini, Mourinho, Benitez e Leonardo. Il bottino di coppe che si sono colorate di nerazzurro è così composto: 5 scudetti, 4 Supercoppe italiane, 3 Coppe Italia, 1 Champions League e un Mondiale per club.
L'Inter si prende questo piccolo grande riconoscimento grazie a un'incredibile continuità di rendimento ad alti livelli che anche Leonardo, dopo aver alzato al cielo l'ultimo trofeo interista, ha tenuto a rimarcare. In Spagna, Portogallo e in Inghilterra non possono fare altro che aspettare il prossimo anno per sferrare l'attacco ai Campione del Mondo in carica. In stagione l'Inter ha vinto tanto quanto i blaugrana: tre titoli e come Moratti ha giustamente sottolineato non si tratta di un mini triplete, "col cavolo".
Un "ringraziamento" doveroso va fatto ancora a Mourinho, sempre lui. Non solo perché ha portato ai vertice l'Inter anche in Europa, ma perché battendo il Barcellona nella finale di Coppa del Re con il suo Real ha permesso ai nerazzurri di mantenere quel minimo vantaggio che ora esalta ogni tifoso interista. Sul piano del gioco non c'è storia e forse non ce ne sarà mai ma per ora l'Inter è meglio dei blaugrana. Punto e stop.

Fonte

Punto e stop?
No caro, non te la cavi cosi'.

Ho sempre evitato di parlare di calcio qui, limitandomi ad una sola bandierina per onorare il diciottesimo scudetto, e una gentile richiesta al Peter Crouch che pare pero' non averla nemmeno letta e nulla di piu'.

Pero' questo le supera tutte.

Non provo simpatia per il Barcellona, ne intendo difenderlo.
Voglio solo sottolineare la pochezza di questo articolo e la totale inconsistenza della sua tesi.
L'Inter ha dominato in italia per 5 anni, e' vero, e l'anno scorso ha anche vinto la Champions, e' vero. Tutte cose belle, i 14 trofei in sei anni, per carita'.
Ma andiamo indietro di 6 ann1. Sempre 14. Andiamo indietro di 7 anni. Sempre 14. Mah...
Andiamo indietro di 10 anni, allora. Sempre 14.
Ossignur... ma questa continuita' mostruosa? Questa squadra di assoluta perfezione calcistica, la migliore del Vecchio Continente?
Sara' un caso, andiamo indietro di 15 anni.
Sempre 14.
Dobbiamo infatti tornare indietro di 22 anni per incrementare di una unita' il conto dei trofei.
15 trofei in 22 anni.

Il Barcellona ne ha vinti ben 31, in questi 22 anni. Tra cui 4 Champions.

Il Milan solo 27, di cui pero', ben 5 sono Champions.
E se torniamo indietro fino all'inizio della storia del calcio, restate comunque dietro. Altro che calciopoli. Se vuoi contare i trofei, fallo dall'inizio, non da quando ti fa piu' comodo.

Ora, lo so che e' difficile da credere, ma davvero, il calcio esisteva da prima di Calciopoli. Ci sono parecchie fonti orali, ma anche scritte e iconografiche che lo certificano.

E in questa storia secolare di trofei, partite, vittorie e sconfitte l'Inter non e' che una attrice di secondo piano. E' sicuramente nella top 10, ma non nella top 5.


27 maggio 2011

Ma ne sono convinti?

[...]La sorellina di Kate è stata fotografata mentre usciva da uno dei negozi Sturbucks, con un caffè in mano. Pippa indossava un miniabito (photogallery), che metteva in risalto le sue gambe toniche, lunghe e senza un filo di cellulite.

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Ovvero, sembra che non si sia mai visto un paio di gambe, con annesso fondoschiena, prima.
Ragazza discreta, nemmeno troppo carina, con fisico discreto, nemmeno troppo carino. Non e' un brutta, e' vero, ma quante donne sono davvero brutte?
Si ha un sedere uno. E anche due gambe due!
Ma quante storie stanno facendo?


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Lo abbiamo visto in occasione della guerra in Libia, delle manifestazioni in Egitto ma con il caso Pippa non si possono piu' avere dubbi.

Se ci hanno convinti che questa qui sia il massimo che il mondo femminile ci puo' offrire, siamo proprio in mano loro.


E  per fortuna che in Inghilterra hanno il mare freddo.

26 maggio 2011

I peggio genitori


Storm, il bambino che sceglierà se essere maschio o femmina
Nessuno conosce il sesso del piccolo: potrà decidere il suo orientamento senza essere condizionato da norme sociali 




MILANO – Storm ha quattro mesi, capelli biondi, occhi azzurri ed è senza sesso, o almeno questo è ciò che deve pensare chiunque si relazioni con il bimbo o la bimba. Insomma, Storm non deve sapere di essere maschio o femmina e deve essere tenuto all’oscuro quanto più è possibile del significato dei propri organi genitali, in modo che cresca libero o libera di scegliere, senza alcuna griglia mentale. E l’unico modo di regalare questa libertà totale*1 a Storm per i suoi genitori è quello di non rivelare il suo sesso a nessuno, fatta eccezione per le due ostetriche e un vecchio amico di famiglia. Finché il segreto tiene, Storm vivrà come più gli/le garba, senza curarsi di frignare come una femminuccia se è maschio o di giocare con il fucile se è femmina, perché nessuno inculcherà al bimbo/a un modello comportamentale*2. CONTRO GLI STEREOTIPI –Come sottolinea la psicologa Brenda Todd un tentativo di questo genere era già stato fatto negli anni Settanta da una coppia con limitati risultati e gli stessi Kathy Witterick e David Stocker ci hanno già provato con i due precedenti figli, anche se in modo molto più morbido: il piccolo Jazz e la piccolo Kio, rispettivamente di 5 e di 2 anni, sono stati infatti educati nel modo più neutrale possibile rispetto al sesso di nascita, entrambi liberi di pescare dall’armadio pantaloni o gonne, vestitini azzurri o rosa, di giocare con le bambole o con il pallone, crescendo senza alcun condizionamento di genere che li incastri in un ruolo predefinito in nome dell’appartenenza a un genere. Ma l’esperimento effettuato su Jazz e Kio non è stato sufficiente secondo Kathy e David, perché tutto il mondo che ruota intorno ai due piccoli, dai nonni agli insegnanti, dagli amichetti ai parenti, sa che uno è maschio e l’altra è femmina e dunque istintivamente e inconsciamente rischia di dare messaggi che suggeriscono un ruolo*3. «Non piangere come una femminuccia», «Sei sporca e disordinata, sembri un maschiaccio», «Fatti crescere i capelli come una principessa»: quante sono le frasi che si distribuiscono fin dalla primissima infanzia a un bimbo in crescita capaci di determinarne gli atteggiamenti? Tantissime, spesso involontarie e stereotipate, tanto da rendere quasi impossibile capire se e quanto le differenze di genere siano innate o apprese*4.
LA SFIDA DI KATHY E DAVID – Se vuoi conoscere veramente e in profondità qualcuno, secondo i Witterick-Stocker, non dovresti porti il problema di cosa ha tra le gambe*5 e finché i caratteri sessuali non emergono prepotentemente educare un piccolo a essere sé stesso è un dovere fondamentale. Inutile dire che il test*6 della coppia canadese è molto ardito, nonché quasi irrealizzabile nel tempo, anche perché i piccoli amici di Storm non staranno al gioco e la loro influenza sarà pari a quella dei genitori. Essere veramente neutrali*7 nell’educazione è una sfida persa nel lungo periodo, come fa notare Melissa Hines, psicologa specializzata nello sviluppo di genere all’Università di Cambridge ), anche se cercare di non dare troppi condizionamenti è indubbiamente un tentativo apprezzabile. Per il momento i nonni sono arrabbiati e gli amici anche, mentre secondo la mamma e il papà di Storm si tratta di una sfida possibile e di un omaggio al libero arbitrio*8. Sarà curioso seguire Storm nella sua crescita, ma lo stesso interesse da cui sarà circondato il bimbo o la bimba rischierà di renderlo/a una cavia da laboratorio. Maschio o femmina che sia.

Fonte


Quante minchiate e che minchioni; scusate il francesismo ma mi pare sia necessario e anzi dovuto.

*1 Liberta' totale? Mah... Intanto e' nato in Canada. Se avesso voluto crescere in Italia? Ha un nome, e mi sembra che non l'abbia scelto. Ha o non ha un pene. E non l'ha scelto lui. Ha due genitori sfigati, ma non mi pare che li abbia chiesti. Parlera' inglese, ma se non lo volesse sapere? E se la data del suo compleanno non gli piace? Se preferiva nascere in epoca vittoriana? Se volesse essere figlio unico? Dov'è questa liberta' totale? Se volesse essere una mucca? Se desiderasse mangiare le proprie feci? Se non volesse essere soggiogato dalla illiberale forza di gravita'? Perche' non puo' volare? Questo mito della liberta' totale. Cosa vuol dire?

*2 Dovrebbero procedere con l'asportazione di tutto l'apparato endocrino. Senza contare che tutte le sue cellule saranno fastidiosamente marcate da quel limitante, fascista, dispotico di cromosoma X o Y. Sin dai primi mesi, e soprattutto durante il primo anno di eta', con picchi ormonali, in entrambi i sessi, da adolescenti, il nostro corpo si sviluppa anche sotto la spinta degli ormoni, androgeni o estrogeni, che segnano indelebilmente la nostra personalita'. Non e' quindi una questione di condizionamento o di essere incastrati dentro forme imposteci, come parrebbe leggendo l'articolo. Si tratta di essere se stessi. Maschio o femmina. Niente di scandaloso o di malsano.

*3 E ridaje, si nega la naturale e sana differenza che c'è tra un uomo e una donna, che non si limita all'avere o meno qualche centimetro di carne in piu' o in meno tra le gambe. Tutto l'organismo ne e' coinvolto, e anche i comportamenti ne sono condizionati. E' una questione fisiologica prima ancora che culturale.

4* Cazzata, l'ennesima. Leggere Il cervello delle Donne e Il cervello dei Maschi libri carini (ci sono in biblio a Conco). Proprio i differenti tassi ormonali, soprattutto nella prima infanzia condizionano anche i giochi, i comportamenti e i gusti. Per esempio, bambine piu' mascoline, che preferiscono i giochi fisici, il confronto fisico, il controllo del "territorio", etc.. hanno un tasso di testosterone, durante il primo anno di infanzia, sensibilmente superiore alle altre. E via discorrendo. I libri sono proprio interessanti e scritti bene.

*5 No. A mio avviso, quando voglio conoscere una persona, mi interesso della sua totalita'. Anche del suo essere uomo o donna. Proprio nel rispetto del suo essere tale. Io sono ben felice di raccontare di me, delle mie passioni, della mia ragazza, della mia squadra, dei miei libri preferiti, delle mie idee politiche, della mia vita e del mio vissuto, insomma, della mia persona a chi mi sta di fronte. Pretendo che sappia con chi ha a che fare, che mi conosca. (ovviamente se ne vale la pena).
E di contro, proprio nel suo rispetto, mi piacerebbe conoscere di piu' della sua persona. Poi ovvio, non si potra' sapere tutto di tutti, e ci mancherebbe. Pero' qualcosa si.
Probabilmente i Witterick-Stocker non riescono a relazionarsi in modo sano con nessun soggetto, troppo spaventati, o impauriti dal'altrui sessualita'. Ma questo e' un problema loro. Mi pare che non sussista in nessun altro.   

*6 Test. Pensavo si stese parlando di un bambino e di un modello educativo. Non di una cavia e di un esperimento.

*7 Semplicemente perche' non si puo' essere neutrali nella vita. La vita stessa non e' neutrale. Una cellula non e' in equilibrio con l'ambiente che la circonda, ed e' proprio per mantenere questo nonequilibrio che spende energia. Semplicemente non si puo' essere neutri. Scegliere e' esercizio della propria liberta'. Non si puo' essere liberi senza scelta. Essere liberi vuol dire non essere neutri.

*8 Prima test, adesso e' un omaggio. Una sfida possibile. Ma semplicemente un bambino, no?


25 maggio 2011

«glielo avevo detto»

MADRID - Definisce un «risultato storico» il sorpasso dell'Italia da parte della Spagna. E stuzzica Romano Prodi: «glielo avevo detto». Il primo ministro spagnolo, José Luis Rodríguez Zapatero, non nasconde la propria soddisfazione per i dati Eurostat sul Pil dei Paesi europei e durante un incontro con i giornalisti nel corso di un ricevimento natalizio dichiara che «il problema dell'Italia è il grande indebitamento pubblico». Zapatero sottolinea poi che dall'inizio degli anni '80, mentre l'economia italiana è sostanzialmente ferma, quella spagnola è in rapida crescita. Il premier spagnolo aggiunge che i risultati del 2007 saranno ancora migliori di quelli del 2006 e assicura che adesso la Spagna va alla rincorsa di Francia e Germania.
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Era piu' o meno il periodo di Italospagnolo.
L'Italia usciva dal berlusconi III, si erano vinti i mondiali.
E Zapatero piaceva.
E si guardava la Spagna come alla El-Dorado di noialtri.
Alla domanda, che ci si faceva in quegli anni, i primi di universita' o gli ultimi di liceo, ma l'erasmus? Beh, se dovessi... Spagna!
Oppure non era raro sentire " 'sto paese di merda... appena posso prendo e vado via. Barcellona"


Oggi forse qualcuno potrebbe lasciarsi intimorire dai tassi di disoccupazione giovanile del 43,1%.
E non e' che noi abbiamo avuto questi governi illuminati, nel frattempo.
Prodi e Berlusconi. Il peggio del peggio, rispettivamente, l'uno per l'altro.

Ma a questo punto, visto che di la se la stanno spassando non benissimo, a quanto si sente, che cosa diavolo mai ha combinato il (ormai ex) guro della sinistra europea?
(Crozza ce lo ricordiamo tutti, con -Zapatero, Zapatera-)

Oppure, forse forse, qualcosina di buono, in casa nostra, e' stata fatta?



Zapatero ci sta pensando su.

18 maggio 2011

Scola: salvare l’uomo, prima ecologia

Sono quattro le parole chiave che compongono il tema di Expo 2015 «Nutrire il pianeta. Energia per la vita»: alimentazione, energia, pianeta, vita. Ciascuna forma di vita – è stato detto – ha bisogno di energia e l’energia viene fornita dall’alimentazione. A sua volta, il nesso vita-alimentazione incide sullo sviluppo del pianeta, unitamente all’interazione di una molteplicità di fattori naturali e antropici. Da questa circolarità complessa emerge allora quella che viene definita come la quinta parola chiave: la persona che – si legge nel Memorandum – «con gli strumenti del suo vivere e del suo lavoro, contribuisce a trasformare in positivo o in negativo la natura nella quale vive».

La centralità della persona consente di pensare un uso del pianeta responsabile e capace di cura. Vale però la pena di sottolineare come tale riferimento antropologico implichi un decisivo mutamento di paradigma in campo economico e tecnologico. E viceversa: non è pensabile una riformulazione dell’assetto economico-tecnologico globale senza mettere al centro, non solo a parole, la persona e i suoi legami sociali. È stato lo stesso Benedetto XVI a ricordare, in occasione del Vertice mondiale sulla sicurezza alimentare, il fondamentale risvolto antropologico della questione. Contrariamente alle visioni catastrofistiche, che spesso funzionano come pretesto per giustificare una pericolosa inerzia politica , il Papa ha riaffermato chiaramente «l’assenza di una relazione di causa-effetto tra la crescita della popolazione e la fame», come è dimostrabile anche «dalla deprecabile distruzione di derrate alimentari in funzione del lucro economico» (n. 2).

Rifacendosi poi direttamente al n. 27 di <+corsivo>Caritas in Veritate<+tondo>, il papa ha significativamente aggiunto che «la fame non dipende tanto da scarsità materiale, quanto piuttosto da scarsità di risorse sociali, la più importante delle quali è di natura istituzionale. Manca, cioè, un assetto di istituzioni economiche in grado sia di garantire un accesso al cibo e all’acqua regolare e adeguato…, sia di fronteggiare le necessità connesse con i bisogni primari e con le emergenze di vere e proprie crisi alimentari» (n. 2). C’è una «ecologia umana» da pensare, prima di un’ecologia ambientale, dal momento che il degrado o meno dell’ambiente è strettamente connesso «alla cultura che modella la convivenza umana» (n. 9).

Per offrire un modello alternativo all’egoismo è necessario dunque ripensare la natura stessa del bisogno. Troppo spesso interpretato come diritto esclusivo al benessere, il bisogno è invece anzitutto segno di fragilità. In caso contrario il bisogno si trasforma in pretesa e diventa sorgente di dominio. Il bisogno come segno di fragilità documenta invece la necessità di reinterpretare la questione cruciale della soddisfazione umana. Lo stesso fatto per cui l’uomo non può far fronte ai propri bisogni, se non con la mediazione di una cultura del bisogno, una cultura innanzitutto pratica, quella cioè della sua prassi ideativa e lavorativa, indica che il sistema dei bisogni umani dev’essere pensato come un sistema aperto oltre se stesso. In altri termini, è necessario riconsiderare la plasticità dei bisogni umani come espressione di una istanza antropologica che implica una duplice apertura dei soggetti umani a partire dai bisogni stessi.

Da una parte, l’apertura di un’intelligenza inventiva, che in qualche modo domina, manipola, trasforma in continuazione i profili e i contenuti dei bisogni; dall’altra, l’apertura di una dimensione che possiamo chiamare di desiderio, che esprime la capacità di riformulare continuamente i bisogni. Qui il proprio dell’uomo si manifesta come facoltà di porsi, col desiderio appunto, al di là dell’ordine stesso dei bisogni, puntando a una condizione in cui tra l’essere nel bisogno e l’elaborazione dei bisogni vi sia un’ideale armonia, una condizione di pacificazione dinamica. Infatti ciò che muove l’uomo (e solo l’uomo) nell’affrontare i suoi bisogni è l’ideale di vivere in un modo equilibrato, integrato, giusto, pacifico.

È perciò evidente, a questo punto, che la soddisfazione umana implica l’apertura ad una prospettiva di compimento integrale dell’esistenza, che non può essere affrontata con una misura puramente quantitativa. Attitudine che purtroppo non di rado investe il modo di concepire l’economia e gli obiettivi della politica (che sovente è a rimorchio del modello utilitaristico dominante in campo economico). L’effetto, in termini antropologici, è stato ben evidenziato dal premio Nobel per l’economia Amartya Sen e dal filosofo Bernard Williams: le persone finiscono di fatto per non contare «più dei singoli serbatoi di petrolio nell’analisi del consumo nazionale di petrolio».

Opporsi a questa concezione di «uomo-serbatoio» implica fare i conti con la mentalità oggi dominante secondo la quale l’uomo, per porre la propria identità, deve concepirsi in maniera puramente individuale, come uomo senza relazioni. La corretta analisi del bisogno e della sua soddisfazione umana fa quindi emergere l’inadeguatezza dell’interpretazione moderna e contemporanea di chi sia il soggetto umano. Secondo la rappresentazione hobbesiana dello stato di natura, l’uomo ha come unico bisogno quello di sopravvivere e come unico oggetto di desiderio il potere quale mezzo per soddisfare il proprio bisogno. Al contrario, l’uomo è un essere originariamente in-relazione, è un io-in-relazione.

Occorre allora compiere un passaggio fondamentale per riaffermare questa naturale inclinazione alla fiducia reciproca: occorre passare da un concetto di ragione ridotta a puro calcolo a un concetto di ragione come capacità di identificare e condividere ciò che è bene per l’uomo in quanto tale. È questa dimensione intrinsecamente comunicativa della ragione umana a dar conto del fatto che l’identità umana possiede intrinsecamente, e non solo contingentemente, un carattere relazionale, sociale. Del resto, la parola comunicazione, se non viene ridotta a mero trasferimento meccanico di informazioni, suggerisce la posta in gioco: contiene la voce munus, che significa sia «dono», sia «compito».

Potremmo allora dire, riecheggiando il famoso passo aristotelico della Politica: non c’è bene umano personale che non sia un bene ricevuto in dono da altri e responsabilmente donato a propria volta. È su questo concetto impegnativo di Koinonìa che Aristotele fonda la città, il cui scopo non è la semplice sopravvivenza, come dirà Hobbes restringendo per l’appunto l’orizzonte della ragione, ma la vita buona che, non a caso, per Aristotele è – ad un tempo – del singolo e di tutti, oppure semplicemente non è.

Questa visione antropologico-relazionale domanda di riattualizzare il concetto di riconoscimento di hegeliana memoria: l’attesa fondamentale di un soggetto umano è infatti quella di valere qualcosa per qualcuno. Senza questo riconoscimento del proprio valore umano, dice Hegel, l’uomo non diventa soggetto, ma rischia di accontentarsi di vivere come un animale (già Aristotele, in fondo, diceva la stessa cosa). Si può allora concludere dicendo che il riconoscimento tra uomini è un bene primario. Il bene del riconoscimento non è un bene tra gli altri, uno tra i contenuti buoni che possono favorire il fiorire dell’esistenza umana, bensì è quel bene umano che è condizione di possibilità d’ogni altro bene umano in quanto umano.

Questa è la radice antropologica che dovrebbe regolare ogni strategia economica e politica, anche e soprattutto in relazione alla questione dell’abitare il mondo. L’abitabilità presente e futura del mondo non dipende solo dalla disponibilità di risorse, ma dall’orizzonte di riconoscimento reciproco entro cui le risorse verranno distribuite. Si capisce così l’insistenza di Benedetto XVI nel dire che non ci può essere vera cooperazione internazionale senza solidarietà e sussidiarietà, perché nessun aiuto umanitario, nessuna redistribuzione di ricchezza è veramente un bene se non onora/ospita l’umano che è comune a ciascuno di noi.

Appare qui, nella giusta luce, l’apporto che anche oggi le religioni possono dare alla vita buona, che genera pratiche virtuose, all’interno di una società plurale come la nostra. Ciò mostra l’inadeguatezza di una concezione e di una pratica della laicità che pretendano di neutralizzare le religioni e le visioni sostantive.
Angelo Scola


Fonte

15 maggio 2011

Referendum e monossido di diidrogeno

NO

Perché l’acqua deve stare fuori dal sistema dei prezzi?

All’approssimarsi della data di due tra i quesiti referendari più emotivamente caratterizzati ed altrettanto fuorvianti della recente storia italiana, una opportuna riflessione di Franco Debenedetti sul tema. Per la serie conoscere per deliberare, impresa ormai disperata in questo paese.

Come è (forse) noto, i due quesiti referendari riguardano essenzialmente la gestione della rete idrica e la tariffa dell’acqua. Nel primo caso, il comitato promotore intende abrogare l’articolo 23 bis della legge 233/2008, che “stabilisce come modalità ordinarie di gestione del servizio idrico l’affidamento a soggetti privati attraverso gara o l’affidamento a società a capitale misto pubblico-privato, all’interno delle quali il privato sia stato scelto attraverso gara e detenga almeno il 40%”. Osserva Debenedetti che il problema che abbiamo di fronte non riguarda l’assetto proprietario dell’acqua (che restrebbe pubblico), bensì i criteri per l’assegnazione delle gare di appalto per ammodernare e sviluppare le reti, ponendo tra l’altro fine all’indecente fenomeno della dispersione, stimata in media al 30 per cento ma che in alcune realtà è ben superiore. Sostituire l’appalto in house da parte dell’ente locale con una regolare procedura di messa a gara serve a contenere quei fenomeni di socialismo municipale che tanto hanno contribuito, sinora, a sottrarre efficienza al sistema economico.

Riguardo le tariffe, oggetto del secondo referendum, il “rischio” evidente è quello di un aumento vertiginoso delle stesse, per finanziare i nuovi investimenti. Per questo motivo, i proponenti del referendum intendono eliminare il comma del cosiddetto “codice dell’ambiente” che dispone che la tariffa per il servizio idrico è determinata tenendo conto dell’“adeguatezza della remunerazione del capitale investito”. Se vincessero i si, per tradurre, il costo degli investimenti finirebbe a carico della fiscalità generale, con effetti ulteriormente depressivi sull’economia dati dal fatto che nei prossimi anni nel settore idrico serviranno, come detto, enormi esborsi.

Sostiene Franco Debenedetti, una delle menti più lucide prodotte dalla sinistra italiana (ammesso e non concesso che la sinistra lo consideri un proprio “prodotto”):

«L’uno-due dei referendari è micidiale: col quesito numero uno vogliono che le opere pubbliche vengano pagate a piè di lista, con il quesito numero due vogliono che la gente non sappia neppure quanto questo le costa. Certamente esisteranno anche fasce di indigenza tali da non poter pagare neanche l’acqua per bere e per lavarsi – anche se in tal caso gli interventi per sopperire alle loro necessità e soprattutto per aiutarli a uscire dalla situazione di povertà dovrebbero essere ben più radicali e mirati -; ma come qualificare chi sfrutta questa indigenza per beneficiare anche chi l’acqua la usa per fontane e piscine, oppure per usi industriali? Perché costoro non debbono pagare l’acqua al prezzo giusto? I prezzi sono uno strumento per l’efficiente allocazione delle risorse, in particolare per decidere gli investimenti. Perché l’acqua deve stare fuori dal sistema dei prezzi?»

Già, perché? Eppure, sarebbe sufficiente lavorare su un welfare realmente dei bisogni, stabilendo esenzioni e sussidi a beneficio di chi è realmente in condizione di disagio economico, e porre a carico della fiscalità generale solo quella parte dell’intervento. L’obiezione più ricorrente all’eliminazione della riserva in house è che l’intervento del privato non è garanzia di efficienza, soprattutto in un paese come il nostro, dove connivenze tra appaltatori e committenti pubblici sono parte integrante del paesaggio. Ma identica obiezione può essere sollevata per l’esecuzione del servizio da parte dell’ente locale, in condizioni di splendida solitudine e di determinazione fantasiosa dei relativi costi. Insomma, serve comunque l’affermazione di una cultura del controllo da parte dei cittadini, che dovrebbe già esistere ma che auspicabilmente si rafforzerà con l’affermazione dell’idea federalista (anche se siamo destinati ad avere un federalismo “alla padana”, cioè molto italiano e gabelliere). Diversamente, i termini della questione non risiederebbero nella dicotomia tra statalisti e liberisti ma nel trasversale dualismo tra guardie e ladri, ed abbiamo non da oggi il sospetto che sia proprio questo il vero problema italiano.

Per questo dobbiamo convincerci che l’acqua è e resta un bene pubblico, anche votando due no al referendum.

[...]

fonte

o SI



FINALITA' DEL PRIMO QUESITO: fermare la privatizzazione dell’acqua

Si propone l’abrogazione dell’art. 23 bis (dodici commi) della Legge n. 133/2008 , relativo alla privatizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica.

È l’ultima normativa approvata dal Governo Berlusconi. Stabilisce come modalità ordinarie di gestione del servizio idrico l’affidamento a soggetti privati attraverso gara o l’affidamento a società a capitale misto pubblico-privato, all’interno delle quali il privato sia stato scelto attraverso gara e detenga almeno il 40%.
Con questa norma, si vogliono mettere definitivamente sul mercato le gestioni dei 64 ATO (su 92) che o non hanno ancora proceduto ad affidamento, o hanno affidato la gestione del servizio idrico a società a totale capitale pubblico. Queste ultime infatti cesseranno improrogabilmente entro il dicembre 2011, o potranno continuare alla sola condizione di trasformarsi in società miste, con capitale privato al 40%. La norma inoltre disciplina le società miste collocate in Borsa, le quali, per poter mantenere l’affidamento del servizio, dovranno diminuire la quota di capitale pubblico al 40% entro giugno 2013 e al 30% entro il dicembre 2015.

Abrogare questa norma significa contrastare l’accelerazione sulle privatizzazioni imposta dal Governo e la definitiva consegna al mercato dei servizi idrici in questo Paese.

FINALITA' DEL SECONDO QUESITO: fuori i profitti dall'acqua

Si propone l’abrogazione dell’’art. 154 del Decreto Legislativo n. 152/2006 (c.d. Codice dell’Ambiente), limitatamente a quella parte del comma 1 che dispone che la tariffa per il servizio idrico è determinata tenendo conto dell’ “adeguatezza della remunerazione del capitale investito”.

Poche parole, ma di grande rilevanza simbolica e di immediata concretezza. Perché la parte di normativa che si chiede di abrogare è quella che consente al gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% a remunerazione del capitale investito, senza alcun collegamento a qualsiasi logica di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio.

Abrogando questa parte dell’articolo sulla norma tariffaria, si elimina il “cavallo di Troia” che ha aperto la strada ai privati nella gestione dei servizi idrici: si impedisce di fare profitti sull'acqua.



fonte

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Amiacque,il nostro acquedotto

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Sono ancora dubbioso su come votare.

Il nostro acquedotto non se la cava male.

Credo, pero', che un aumento dei prezzi dell'acqua, se ha come conseguenza un aumento/miglioramento/rifacimento delle infrastrutture, sia piu' che legittimo e anzi auspicabile.

Perche' io che sto attento a non fare il bagno ma la doccia, a spegnere l'acqua quando mi lavo i denti, a seguire tutti i consigli et simila che vengono dati per risparmiare l'acqua, dovrei essere bendisposto a spendere un po' di piu' per salvare il 30% di acqua che viene continuamente, ininterrottamente persa dalla nostra rete idrica, no?

Idem, se e' un privato a vincere la gara di appalto e riesce a migliorare l'efficenza della rete idrica, anche a seguito di un aumento della bolletta, non dovrei eserne scandalizzato. Nemmeno se dovvese guadagnarci. Mi dovrei scandalizzare piuttosto dei conti in rosso di una societa' pubblica ( i cui impiegati, comunque, ci guadagnano, e in un modo o nell'altro siamo sempre noi a pagarli).

E' anche vero che un privato puo' essere meno virtuoso del pubblico e marciarci sopra alla grande, alzando i prezzi ma non migliorando le strutture, anzi, lasciandole peggiorare per aumentare i margini di guadagno alle stelle, lasciando poi, a contratto scaduto un acquedotto in condizioni peggiori di quelle che aveva trovato.

Ed e' anche vero che un aumento del prezzo dell'acqua non e' indice di un miglioramento del servizio.

Quindi che fare?
Che votare?

Sul nucleare ero sicurissmo.
Sul legittimo impedimento sono un po' meno sicuro ma credo di sapere cosa fare.
Sui primi due questi alto mare.

Votare in blocco SI-SI-SI-SI come si consiglia non mi sembra una scelta ragionata.
Votare in blocco NO-NO-NO-NO mi pare parimenti poco calibrato.

Mi sembra di essere un vero alternativo. Ad avere dei dubbi.



13 maggio 2011

Play Off

SQUADRA P G GV GP SV SP PF PS QS QP
Polisportiva Triuggese 48161604821242729241.7037
A.S. Pallavolo Concorezzo 351612438191314117221.1212
A.S. Merate 34161243722131712281.68181.0725
Lissone Volley Team 2916973427135012401.25931.0887
Figino Volley 2416883230137713261.06671.0385
Libertas.Brianza.Pall. Cantu' 1916792935129813750.82860.944
Di.Po. Volley Bernareggio 19166102734128313190.79410.9727
Pall. San Carlo Monza 616214114499112940.250.7658
Polisportiva Oa Omate 21601654880412930.10420.6218


20/05  a Concorezzo
27/05 a Brugherio

Contro i diavoli rosa. Of Course.



PS: sara' la volta che imparo quando non posso attaccare?

Giornalismo

Nel mondo moderno esiste, forse per la prima volta nella storia, una categoria di persone per le quali non e' tanto interessante che le cose che succedono possano bene o male succedere, che questi fatti possano essere spiacevoli o spiacevoli e che alla fine tornino comunque a vantaggio di questo o di quell'altro partito: i giornalisti sono interessati semplicemente al fatto che le cose avvengano.
Una delle grandi debolezze del giornalismo, che riflette comunque la nostra esistenza moderna, e' che un'immagine o un fatto devono essere composti solamente da eccezioni.
Ad esempio, annunciamo con squilli di tromba sui manifesti che un uomo e' caduto da una impalcatura, ma non facciamo altrettanto se un uomo non e' caduto da una impalcatura. Eppure quest'ultimo fatto e' fondalmentalmente piu' eccitante, perche' ci segnala che questa torre viva, ricca di terrore e di mistero - l'uomo - e' ancora in giro sulla terra.
Che l'uomo non sia caduto da una impalcatura e' realmente piu' sensazionale ed e' anche qualche migliaio di volte piu' frequente.
Ma non ci si puo' ragionevolmente aspettare dal giornalismo che insista nello scrivere di miracoli permanenti.
Non si puo' pretendere dagli occupatissimi redattori dei giornali di mettere sulle loro locandine titoli come "Il signor Wilkinson e' ancora illeso" oppure "Il signor Jones, di Worthing, non e' ancora morto". Non possono annunciare la felicita' di tutta l'umanita'. Non possono descrivere tutte le forchette che non sono state rubate, o tutti i matrimoni che non si sono prudentemente sciolti.
Da questo ne consegue che il quadro completo che pretendono di darci della vita e' necesariamente falso, poiche' essi sono in grado di presentarci solo l'insolito.
Per quanto dicano di essere democratici i giornali non si occupano che delle minoranze.

G.K.Chesterton - La sfera e la Croce

10 maggio 2011

2.000.000 o piu'

Tra gli aspetti di quell’edonismo globalizzante in cui è immersa la società occidentale, ve n’è uno – atroce, di cui si parla di rado – che coinvolge la dignità e la vita dei bambini.
E’ lo sfruttamento sessuale commerciale dei minori. Un fenomeno differente dalla pedofilia – che è la tendenza a preferire i bambini come partner sessuali - e dagli abusi, che di solito avvengono nel contesto familiare o amicale del bambino, senza scambio di beni o denaro. La Dichiarazione di Stoccolma del 1996 definisce lo sfruttamento sessuale commerciale dei minori come "... una violazione fondamentale dei diritti dei bambini. Comprende l'abuso sessuale da parte di un adulto
e una retribuzione in natura e/o in denaro corrisposta al bambino da terze persone".
Il bambino viene trattato sia come oggetto sessuale sia come oggetto commerciale e rappresenta una forma di coercizione e violenza esercitata nei loro confronti ed equivalente ai lavori forzati ed a una forma di schiavitù contemporanea, favorita dagli interessi economici dei gruppi locali che lo gestiscono, che si alimenta e sfrutta la lotta per la sopravvivenza di strati consistenti della popolazione in molti paesi ed in alcuni di questi riveste caratteristiche di massa. Gli occidentali cercano quei luoghi dove pensano di poter praticare comportamenti criminali gravissimi garantendosi l’impunità, sapendo che troveranno bambine e bambini e adolescenti disposti – innanzitutto per necessità e gestiti dalle organizzazioni criminali facenti capo al traffico degli esseri umani – a fare mercimonio del proprio corpo.
In base ai dati diffusi da ECPAT - una rete internazionale di organizzazioni, presenti in 78 paesi, che opera per eliminare la prostituzione e la pornografia infantili e il traffico di minori a scopo sessuale – il turismo sessuale conosce una dimensione globale, interna ad un problema ancora più grande, che è quello della prostituzione infantile e della tratta di esseri umani, nonostante che gli Stati abbiano il dovere di proteggere i minori dallo sfruttamento e dagli abusi sessuali. Principio che viene ribadito in molti strumenti internazionali e raccomandazioni, come ad esempio nell'art. 34 della Convenzione sui diritti dell'infanzia, che stabilisce: "Gli Stati si impegnano a proteggere il fanciullo contro ogni forma di sfruttamento sessuale e violenza sessuale.. "; nell'art. 35, l'impegno degli Stati viene esteso ad impedire il rapimento, la vendita e la tratta per qualunque fine e sotto qualsiasi forma.
Impegni reiterati – ma rimasti sostanzialmente disattesi - nel Protocollo Opzionale alla Convenzione sulla vendita dei fanciulli, prostituzione infantile e pornografia infantile, del giugno 2000.
Le destinazioni prevalenti del turista sessuale sono numerosi paesi dell’Asia (Thailandia, Vietnam, Laos, Cambogia, Filippine, Nepal, Pakistan, Russia, Taiwan, Cina, Sri Lanka, India, Indonesia) e dell’America Latina (Brasile, Repubblica Dominicana, Colombia, Messico, Venezuela, Cuba). In Africa, la meta preferita è il Kenya, dove un rapporto UNICEF rileva che il 38% dei clienti dei minori fatti prostituire sono locali, seguiti dagli occidentali: italiani 18%; tedeschi 14%; svizzeri 12%; francesi 8%. I turisti sessuali - sostiene la ricerca di Ecpat - nel 90-95% dei casi, sono maschi tra i 20 e i 40 anni di età, appartenenti a classi sociali diverse. Vengono stimati nel numero di ottantamila gli italiani – con una età media di 27 anni - che praticano nel mondo la compravendita di sesso. Dai dati diffusi da Ecpat si rileva che le bambine che vengono abusate sessualmente hanno un’età tra gli 11 e i 15 anni, mentre i bambini vanno dai 13 ai 18 e che gli incontri spesso vengono filmati e immessi nella rete. Il turismo sessuale femminile, invece, si rivolge, oltre che in Kenya, in Gambia e Senegal oltre che a Cuba, in Brasile, in Colombia.
Stime internazionali autorevoli rilevano da un lato che questo fenomeno coinvolge oltre due milioni di bambini nel mondo e dall’altro che il giro d’affari fa concorrenza a quello della droga. Tutto questo senza che vengano prese misure serie ed efficaci al fine di operare due forme di dissuasione: quella relativa a coloro che perseguono questa volgare e turpe compravendita del sesso e quella che concerne le società dei paesi del sottosviluppo, per molte delle quali è quasi “naturale” offrire all’intrattenimento anche i corpi dei bambini.

Fonte


Come sempre, siccome le vittime non vivono in Nord America o nella cara vecchia Europa, allora si puo' tacere.
2000000 e' un numero mostruoso, credevo fosse un fenomeno piu' limitato.

2000000 e nessuno chiedera'  mai scusa per questo.

09 maggio 2011

Perche' se non hai un IPhone, non hai un IPhone.

iPad city, sempre amara per gli operai

Pochi progressi in Foxconn, la fabbrica cinese che lavora per i big dell'elettronica. Nel 2010 ondata di suicidi




MILANO – Ad iPad City si lavora giorno e notte per assemblare le tavolette della Apple richieste in tutto il mondo. E anche a quasi un anno dalla terribile serie di suicidi a catena di alcuni operai cinesi, le condizioni dei lavoratori restano critiche. La denuncia arriva dall'associazione noprofit Sacom, Students & Scholars Against Corporate Misbehaviour, che ha visitato tra marzo e aprile alcuni stabilimenti cinesi della Foxconn, il gigante hi-tech dell'assemblaggio di cellulari, tavolette, laptop, strumenti per la connessione in rete, server, per Apple ma anche per altri colossi come HP, Sony, Motorola, Nokia o Dell. Esposizione a polveri sottili dannose per la salute, ritmi inumani, ordine militare e la firma di un patto di «non-suicidio» per i nuovi assunti. I PRECEDENTI – Nel 2010 ci furono un totale di 13 suicidi, da gennaio ad agosto, nelle fabbriche-dormitorio di Shenzhen. Alcuni dopo solo poche settimane dall'assunzione, tutti giovani, tutti residenti all'interno dei campus. Dove, come anche Steve Jobs ebbe modo di ricordare, gli operai hanno la sicurezza di un pasto, un letto, tavoli da ping-pong e aree comuni per socializzare. Dopo le indagini di Apple stessa e un atto di trasparenza da parte di Foxconn, che aprì le porte a un centinaio di giornalisti per mostrare a tutto il mondo le vere condizioni di lavoro delle sue fabbriche, nessuno parlò più delle fabbriche cinesi.



LE INDAGINI – L'associazione Sacom, con sede a Hong Kong, dal 2005 lavora per denunciare le condizioni di lavoro nelle fabbriche cinesi. E questa primavera è toccato ad alcuni campus di Foxconn, obiettivo dichiarato dall'ente era infatti quello di andare a verificare se le promesse fatte dall'azienda nei mesi in cui era sotto i riflettori per via dei casi di suicidio, fossero state mantenute o meno. Gli inviati dell'associazione hanno parlato con 120 diversi operai, alcuni capisettore e qualche manager in posizione intermedia, suddivisi tra le fabbriche-dormitorio di Shenzhen, Chengdu and Chongqing. Nella città teatro dei suicidi, i luoghi analizzati sono stati due, in cui lavora un totale di 500 mila persone per Apple, Nokia, Dell, Hp e altre; nei due campus di Chengdu invece, dove si assemblano unicamente i nuovi iPad, sono impiegati 100 mila operai; nella terza città 10 mila impiegati costruiscono principalmente prodotti per Hp. LE DENUNCE – Voce per voce, gli operai hanno testimoniato su una serie di punti, fulcro delle richieste di Apple dello scorso anno. E così è venuto fuori che molte sono state disattese: contro la promessa fatta a Jobs di tenere pratiche trasparenti nelle assunzioni, a oggi si nascondono ai neo-assunti particolari sul salario, sui benefit e sul luogo di lavoro. Gli straordinari tuttora non vengono pagati e molti dipendenti continuano a lavorare anche 80-100 ore in più ogni mese. Persevera la mancanza di protezioni adeguate contro l'esposizione a polveri tossiche e le informazioni date sui prodotti chimici usati sono carenti. E ancora, nonostante le richieste di Apple di procedure trasparenti e non punitive, non è possibile sporgere rimostranze ai superiori.
PATTO DI NON-SUICIDIO – Sacom denuncia anche che in alcuni campus permane l'uso di far firmare ai nuovi arrivati i cosiddetti patti di non-suicidio, già denunciati lo scorso anno. Lettere in cui i dipendenti si impegnano a non farsi male deliberatamente e promettono di non chiedere remunerazioni aggiuntive in caso di incidenti e in cui si spiega che anche le loro famiglie non avranno maggiori introiti se i dipendenti decideranno di togliersi la vita. In alcuni dormitori comunque è stato applicato un sistema di reti di sicurezza alle finestre. Molti superiori hanno ammesso che l'educazione al lavoro ha risvolti militari: senza alcuna motivazione apparente, gli operai sono tenuti in piedi sull'attenti e invitati a girarsi sul fianco destro e sinistro per tempi prolungati; inoltre le ore di lavoro vanno passate in piedi (anche per 10 ore di fila), senza parlare con i colleghi, spronati anzi a produrre sempre più velocemente, facendo slittare l'orario delle pause, si legge nel report, per disincentivare l'usanza del pranzo; gli errori – così denunciano gli impiegati intervistati – vengono puniti con richiami e gogna pubblica in cui davanti ai compagni il colpevole deve ammettere l'errore e fare ammenda.
Fonte




Think different.
Ahahahahahahhaha

08 maggio 2011

07 maggio 2011

Folle e scandalosa questa guerra contro la Libia


Milano (AsiaNews) - Il silenzio della stampa e delle Tv italiane sulle denunzie e le proposte del vescovo di Tripoli, mons. Giovanni Martinelli, mi stupisce e scandalizza, perché sono stato in Libia nel 2007 e conosco Martinelli, nato in Libia da coloni italiani, vescovo da quarant’anni. Eppure lui parla e nessuno o pochissimi lo ascoltano. Seguendo gli appelli del Papa per la pace in Libia (anche il giorno di Pasqua) da settimane e da mesi su AsiaNews e alla Radio Vaticana, il vescovo di Tripoli alza la voce e denunzia una guerra senza scopo che esaspera i conflitti, aumenta l’odio e la violenza, prepara un futuro certamente peggiore per tutti i libici. Tre giorni fa ha dichiarato: “Aprire al dialogo con tutte le parti è la cosa migliore da fare. Le bombe della Nato non servono a nulla e occorre considerare tutte le parti in campo, non solo i ribelli” ed ha chiesto “di offrire l’ipotesi di un dialogo fra la parti e la fine delle ostilità”. Ancora ieri il vescovo ha proposto “la tregua di una settimana, per rispetto della vita umana, della famiglia e della Libia. È  un atto di umanità e i libici sono sensibili a questi gesti, nonostante la rabbia provocata dalla guerra” ; e invitava i membri del “Gruppo di contatto” (riunito a Roma) “a considerare la possibilità di un governo di transizione presieduto anche da membri del regime, per evitare che si diffondano odio e diffidenza fra la popolazione”.
Insomma, nonostante gli appelli di Benedetto XVI e le angosciate parole del vescovo di Tripoli, quello che era un “intervento umanitario” per salvare i libici dalle violenze di Gheddafi è ormai diventato una guerra, nella quale l’Occidente si è  schierato con la Cirenaica contro la Tripolitania. “Tutti parlano di aiutare i ribelli – afferma mons. Martinelli – i giornali scrivono sulla difficile situazione umanitaria nelle città della Cirenaica, che è drammatica, ma nessuno parla della popolazione di Tripoli, ugualmente stremata dalla guerra e dai bombardamenti Nato”.
La guerra in Libia diventa sempre più incomprensibile anche agli italiani e ai popoli occidentali, perché non tiene conto di tre fattori. Ecco in breve:
1)   La Libia non è la Tunisia né l’Egitto, che hanno uno stato unitario e una robusta classe intellettuale e media. Si legga “Gheddafi” di Angelo Del Boca, studioso serio e profondo (Laterza 2011), per capire come la Libia non ha questa società moderna matura ed è divisa fin dal tempo dell’Impero ottomano in due regioni, la Tripolitania e la Cirenaica, e basata sulle tribù, sui clan familiari e le confraternite islamiche. Nella guerra civile libica, l’Occidente che si schiera apertamente  con una delle due parti, invece di tentare di avviarle al dialogo e ad un governo condiviso, sta affondando il Paese in una interminabile sequela di guerriglie, vendette, terrorismi, lotte tribali. Chi vive sul posto come il vescovo Martinelli, profondamente innamorato del popolo libico, queste cose le conosce da una vita e quando parla andrebbe ascoltato. Per telefono dice: “Non se c’è qualche altro italiano che conosce la Libia ed è innamorato di tutto il popolo libico come me, eppure io parlo e nessuno mi ascolta”.
2)    Gheddafi è un dittatore e questa parola dice tutto. Però nel mondo islamico credo che nessun altro come lui stava avviando il suo popolo al mondo moderno.  Dagli anni novanta ad oggi ha usato le immense risorse del petrolio per fare  scuole, ospedali, università, dispensari medici nei villaggi, strade lastricate anche nel deserto, case popolari a bassissimo prezzo per tutti; ha fatto molto per la liberazione delle donne, mandando le bambine a scuola e le ragazze all’università (all’inizio il mondo universitario non le voleva!), varando leggi favorevoli alla donna nel matrimonio, abolendo nei villaggi le alte mura che delimitavano il cortile in cui stavano le donne, ecc. Ha tirato su l’acqua da 800-1000 metri nel deserto, portandola in Tripolitania e in Cirenaica con due canali sotterranei (di 800-900 chilometri) in cilindri di cemento (alti più d’un uomo). Oggi in Libia c’è acqua corrente per tutti. Potrei continuare. Gheddafi è un dittatore e per reprimere la rivolta ha usato mezzi che usano in situazioni simili in Siria e in Yemen. Giusto fermarlo, ma presentarlo all’Occidente come un dittatore sanguinario paragonabile a Hitler e volerlo ad ogni costo eliminare, significa suscitare altro odio non contro un uomo, ma contro tutti coloro che sono dalla sua parte.
3)  Gheddafi non ha dato la libertà politica e di stampa, è vero. Ma ha iniziato ad educare il popolo libico controllando le moschee, le scuole coraniche, gli imam e le istituzioni islamiche, che in molti altri Paesi islamici (ad esempio in Indonesia, visitata di recente) sfuggono totalmente al potere statale, diffondono l’ideologia anti-occidentale e venerano “i martiri dell’islam”, cioè i kamikaze terroristi che conosciamo. In Libia assolutamente non è così. A Tripoli c’è un comitato di saggi dell’islam che prepara l’istruzione religiosa del venerdì e la diffonde con molto anticipo in tutte le moschee della Libia. L’imam locale deve leggere quel testo. Se toglie o aggiunge qualcosa, a dirigere quella moschea viene nominato un altro.
Non solo. Nel 1986 Gheddafi ha scritto a Giovanni Paolo II chiedendo di mandargli suore infermiere per i suoi ospedali. Il Papa ne ha mandate un centinaio, anche italiane ma specialmente indiane e filippine. Oggi in Libia ci sono un’ottantina di suore e 10mila infermiere soprattutto filippine, oltre a molti medici cattolici stranieri. Il vescovo Martinelli mi diceva: “Queste donne cattoliche, competenti, gentili, che trattano gli ammalati in modo umano, stanno cambiando la mentalità del popolo riguardo al cristianesimo”. E questo me lo diceva in base a molti elogi sentiti da musulmani su come i cristiani formano le loro donne. La Libia finora era uno dei pochi Paesi islamici in cui i cristiani (ci sono anche migliaia di copti egiziani) sono quasi totalmente liberi, eccetto naturalmente di convertire i libici al cristianesimo. A chi interessa questa guerra?

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05 maggio 2011

BBC - The Big Read

1. The Lord of the Rings, JRR Tolkien
2. Pride and Prejudice, Jane Austen
3. His Dark Materials, Philip Pullman
4. The Hitchhiker's Guide to the Galaxy, Douglas Adams
5. Harry Potter and the Goblet of Fire, JK Rowling
6. To Kill a Mockingbird, Harper Lee
7. Winnie the Pooh, AA Milne
8. Nineteen Eighty-Four, George Orwell
9. The Lion, the Witch and the Wardrobe, CS Lewis
10. Jane Eyre, Charlotte Brontë
11. Catch-22, Joseph Heller
12. Wuthering Heights, Emily Brontë
13. Birdsong, Sebastian Faulks
14. Rebecca, Daphne du Maurier
15. The Catcher in the Rye, JD Salinger
16. The Wind in the Willows, Kenneth Grahame
17. Great Expectations, Charles Dickens
18. Little Women, Louisa May Alcott
19. Captain Corelli's Mandolin, Louis de Bernieres
20. War and Peace, Leo Tolstoy
21. Gone with the Wind, Margaret Mitchell
22. Harry Potter And The Philosopher's Stone, JK Rowling
23. Harry Potter And The Chamber Of Secrets, JK Rowling
24. Harry Potter And The Prisoner Of Azkaban, JK Rowling
25. The Hobbit, JRR Tolkien
26. Tess Of The D'Urbervilles, Thomas Hardy
27. Middlemarch, George Eliot
28. A Prayer For Owen Meany, John Irving
29. The Grapes Of Wrath, John Steinbeck
30. Alice's Adventures In Wonderland, Lewis Carroll
31. The Story Of Tracy Beaker, Jacqueline Wilson
32. One Hundred Years Of Solitude, Gabriel García Márquez
33. The Pillars Of The Earth, Ken Follett
34. David Copperfield, Charles Dickens
35. Charlie And The Chocolate Factory, Roald Dahl
36. Treasure Island, Robert Louis Stevenson
37. A Town Like Alice, Nevil Shute
38. Persuasion, Jane Austen
39. Dune, Frank Herbert
40. Emma, Jane Austen
41. Anne Of Green Gables, LM Montgomery
42. Watership Down, Richard Adams
43. The Great Gatsby, F Scott Fitzgerald
44. The Count Of Monte Cristo, Alexandre Dumas
45. Brideshead Revisited, Evelyn Waugh
46. Animal Farm, George Orwell
47. A Christmas Carol, Charles Dickens
48. Far From The Madding Crowd, Thomas Hardy
49. Goodnight Mister Tom, Michelle Magorian
50. The Shell Seekers, Rosamunde Pilcher
51. The Secret Garden, Frances Hodgson Burnett
52. Of Mice And Men, John Steinbeck
53. The Stand, Stephen King
54. Anna Karenina, Leo Tolstoy
55. A Suitable Boy, Vikram Seth
56. The BFG, Roald Dahl
57. Swallows And Amazons, Arthur Ransome
58. Black Beauty, Anna Sewell
59. Artemis Fowl, Eoin Colfer
60. Crime And Punishment, Fyodor Dostoyevsky
61. Noughts And Crosses, Malorie Blackman
62. Memoirs Of A Geisha, Arthur Golden
63. A Tale Of Two Cities, Charles Dickens
64. The Thorn Birds, Colleen McCollough
65. Mort, Terry Pratchett
66. The Magic Faraway Tree, Enid Blyton
67. The Magus, John Fowles
68. Good Omens, Terry Pratchett and Neil Gaiman
69. Guards! Guards!, Terry Pratchett
70. Lord Of The Flies, William Golding
71. Perfume, Patrick Süskind
72. The Ragged Trousered Philanthropists, Robert Tressell
73. Night Watch, Terry Pratchett
74. Matilda, Roald Dahl
75. Bridget Jones's Diary, Helen Fielding
76. The Secret History, Donna Tartt
77. The Woman In White, Wilkie Collins
78. Ulysses, James Joyce
79. Bleak House, Charles Dickens
80. Double Act, Jacqueline Wilson
81. The Twits, Roald Dahl
82. I Capture The Castle, Dodie Smith
83. Holes, Louis Sachar
84. Gormenghast, Mervyn Peake
85. The God Of Small Things, Arundhati Roy
86. Vicky Angel, Jacqueline Wilson
87. Brave New World, Aldous Huxley
88. Cold Comfort Farm, Stella Gibbons
89. Magician, Raymond E Feist
90. On The Road, Jack Kerouac
91. The Godfather, Mario Puzo
92. The Clan Of The Cave Bear, Jean M Auel
93. The Colour Of Magic, Terry Pratchett
94. The Alchemist, Paulo Coelho
95. Katherine, Anya Seton
96. Kane And Abel, Jeffrey Archer
97. Love In The Time Of Cholera, Gabriel García Márquez
98. Girls In Love, Jacqueline Wilson
99. The Princess Diaries, Meg Cabot
100. Midnight's Children, Salman Rushdie

fonte

Avrei da ridire anche su questa top 100, ma almeno e' piu' decente di quella che gira su FB.




E comunque gli Inklings dominano.

04 maggio 2011

Svelato il mistero degli ovetti Kinder

Una rivelazione che ha dell'incredibile ci fornisce chiari indizzi su chi sia il misterioso essere che li depone.


Ovviamente le "tante cose belle" che la mamma di IT ci dice prodotte da questo passerottino, altro non sono che proprio i fantomatici Ovetti Kinder.




Si ringrazia "il piu' bamba" per la soffiata.

03 maggio 2011

REFERENDUM

Primo quesito (Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Abrogazione):
Volete Voi che sia abrogato l’art. 23-bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e finanza la perequazione tributaria”, convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall’art. 30, comma 26, della legge 23 luglio 2009, n. 99, recante “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”, e dall’art. 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunità europea”, convertito, con modificazioni, in legge 20 novembre 2009, n. 166, nel testo risultante a seguito della sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale?


Decreto Legge 25 giugno 2008 n. 112
"Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria"
(coordinato con le modifiche introdotte dalla legge di conversione, legge 6 agosto 2008 n. 133)

(...)
Art. 23-bis.
Servizi pubblici locali di rilevanza economica

1. Le disposizioni del presente articolo disciplinano l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in applicazione della disciplina comunitaria e al fine di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale, nonche' di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione. Le disposizioni contenute nel presente articolo si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili.

2. Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità.

3. In deroga alle modalità di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l'affidamento può avvenire nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria.

4. Nei casi di cui al comma 3, l'ente affidante deve dare adeguata pubblicità alla scelta, motivandola in base ad un'analisi del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all'Autorità garante della concorrenza e del mercato e alle autorità di regolazione del settore, ove costituite, per l'espressione di un parere sui profili di competenza da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione.

5. Ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione può essere affidata a soggetti privati.

6. E' consentito l'affidamento simultaneo con gara di una pluralità di servizi pubblici locali nei casi in cui possa essere dimostrato che tale scelta sia economicamente vantaggiosa. In questo caso la durata dell'affidamento, unica per tutti i servizi, non può essere superiore alla media calcolata sulla base della durata degli affidamenti indicata dalle discipline di settore.

7. Le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze e d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, possono definire, nel rispetto delle normative settoriali, i bacini di gara per i diversi servizi, in maniera da consentire lo sfruttamento delle economie di scala e di scopo e favorire una maggiore efficienza ed efficacia nell'espletamento dei servizi, nonche' l'integrazione di servizi a domanda debole nel quadro di servizi più redditizi, garantendo il raggiungimento della dimensione minima efficiente a livello di impianto per più soggetti gestori e la copertura degli obblighi di servizio universale.

8. Salvo quanto previsto dal comma 10, lettera e) le concessioni relative al servizio idrico integrato rilasciate con procedure diverse dall'evidenza pubblica cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2010, senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante. Sono escluse dalla cessazione le concessioni affidate ai sensi del comma 3.

9. I soggetti titolari della gestione di servizi pubblici locali non affidati mediante le procedure competitive di cui al comma 2, nonche' i soggetti cui e' affidata la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall'attività di erogazione dei servizi, non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, ne' svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, ne' direttamente, ne' tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate, ne' partecipando a gare. Il divieto di cui al periodo precedente non si applica alle società quotate in mercati regolamentati. I soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono comunque concorrere alla prima gara svolta per l'affidamento, mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, dello specifico servizio già a loro affidato. In ogni caso, entro la data del 31 dicembre 2010, per l'affidamento dei servizi si procede mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica.

10. Il Governo, su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni ed entro centottanta giorni alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, nonche' le competenti Commissioni parlamentari, emana uno o più regolamenti, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, al fine di:
a) prevedere l'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali al patto di stabilità interno e l'osservanza da parte delle società in house e delle società a partecipazione mista pubblica e privata di procedure ad evidenza pubblica per l'acquisto di beni e servizi e l'assunzione di personale;
b) prevedere, in attuazione dei principi di proporzionalità e di adeguatezza di cui all'articolo 118 della Costituzione, che i comuni con un limitato numero di residenti possano svolgere le funzioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali in forma associata;
c) prevedere una netta distinzione tra le funzioni di regolazione e le funzioni di gestione dei servizi pubblici locali, anche attraverso la revisione della disciplina sulle incompatibilità;
d) armonizzare la nuova disciplina e quella di settore applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando le norme applicabili in via generale per l'affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonche' in materia di acqua;
e) disciplinare, per i settori diversi da quello idrico, fermo restando il limite massimo stabilito dall'ordinamento di ciascun settore per la cessazione degli affidamenti effettuati con procedure diverse dall'evidenza pubblica o da quella di cui al comma 3, la fase transitoria, ai fini del progressivo allineamento delle gestioni in essere alle disposizioni di cui al presente articolo, prevedendo tempi differenziati e che gli affidamenti diretti in essere debbano cessare alla scadenza, con esclusione di ogni proroga o rinnovo;
f) prevedere l'applicazione del principio di reciprocità ai fini dell'ammissione alle gare di imprese estere;
g) limitare, secondo criteri di proporzionalità, sussidiarietà orizzontale e razionalità economica, i casi di gestione in regime d'esclusiva dei servizi pubblici locali, liberalizzando le altre attività economiche di prestazione di servizi di interesse generale in ambito locale compatibili con le garanzie di universalità ed accessibilità del servizio pubblico locale;
h) prevedere nella disciplina degli affidamenti idonee forme di ammortamento degli investimenti e una durata degli affidamenti strettamente proporzionale e mai superiore ai tempi di recupero degli investimenti;
i) disciplinare, in ogni caso di subentro, la cessione dei beni, di proprietà del precedente gestore, necessari per la prosecuzione del servizio;
l) prevedere adeguati strumenti di tutela non giurisdizionale anche con riguardo agli utenti dei servizi;
m) individuare espressamente le norme abrogate ai sensi del presente articolo.

11. L'articolo 113 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, e' abrogato nelle parti incompatibili con le disposizioni di cui al presente articolo.

12. Restano salve le procedure di affidamento già avviate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

(...)


Secondo quesito (Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito. Abrogazione parziale di norma):
Volete voi che sia abrogato il comma 1, dell’art. 154 (Tariffa del servizio idrico integrato) del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 “Norme in materia ambientale”, limitatamente alla seguente parte: “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”?

Ecco di cosa si parla:
Art. 154  
(Tariffa del servizio idrico integrato)
1. La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di gestione delle opere, dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell'Autorità d'ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio "chi inquina paga". Tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di corrispettivo.
2. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, su proposta dell'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, tenuto conto della necessità di recuperare i costi ambientali anche secondo il principio "chi inquina paga", definisce con decreto le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell'acqua. 
3. Al fine di assicurare un'omogenea disciplina sul territorio nazionale, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono stabiliti i criteri generali per la determinazione, da parte delle Regioni, dei canoni di concessione per l'utenza di acqua pubblica, tenendo conto dei costi ambientali e dei costi della risorsa e prevedendo altresì riduzioni del canone nell'ipotesi in cui il concessionario attui un riuso delle acque reimpiegando le acque risultanti a valle del processo produttivo o di una parte dello stesso o, ancora, restituisca le acque di scarico con le medesime caratteristiche qualitative di quelle prelevate. L'aggiornamento dei canoni ha cadenza triennale. 
4. L'Autorità d'ambito, al fine della predisposizione del Piano finanziario di cui all'articolo 149, comma 1, lettera c), determina la tariffa di base, nell'osservanza delle disposizioni contenute nel decreto di cui al comma 2, comunicandola all'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti ed al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
5. La tariffa è applicata dai soggetti gestori, nel rispetto della Convenzione e del relativo disciplinare.
6. Nella modulazione della tariffa sono assicurate, anche mediante compensazioni per altri tipi di consumi, agevolazioni per quelli domestici essenziali, nonché per i consumi di determinate categorie, secondo prefissati scaglioni di reddito. Per conseguire obiettivi di equa redistribuzione dei costi sono ammesse maggiorazioni di tariffa per le residenze secondarie, per gli impianti ricettivi stagionali, nonché per le aziende artigianali, commerciali e industriali.
7. L'eventuale modulazione della tariffa tra i Comuni tiene conto degli investimenti pro capite per residente effettuati dai Comuni medesimi che risultino utili ai fini dell'organizzazione del servizio idrico integrato.

Io non so cosa votare. Non ho ancora capito al cento per cento cosa comporterebbe votare si o cosa comporterebbe votare no.
O meglio le conseguenze del primo quesito nonle ho proprio capite.

Pero' ho intuito, cosi', a naso, almeno una cosa.
Che le cose non sono proprio come chi urla di votare si sta raccontando in giro. 

E anzi, proprio perche' a leggere in giro sembra che il 200% delle persone superinformate su tutto non abbiano dubbi sul votare SI che ho iniziato a storcere il naso.