Sotto l’azzurro fitto
del cielo
qualche uccello di mare se ne va

né sosta mai
perché tutte le immagini portano scritto

“più in là!”




.

"Io dichiaro la mia indipendenza. Io reclamo il mio diritto a scegliere tra tutti gli strumenti che l'universo offre e non permetterò che si dica che alcuni di questi strumenti sono logori solo perché sono già stati usati"

Gilbert Keith Chesterton



24 aprile 2012

Gli ideali che il mondo occidentale ha difeso - cioè le nozioni che esso ha santificato - sono il liberalismo e la democrazia: non identici né inseparabili. Il termine liberalismo è il più chiaramente ambiguo, ed ha perso una parte del favore di cui godeva; ma la democrazia è al culmine della sua popolarità. Quando una parola è diventata così universalmente sacra come " democrazia " per noi, io comincio a domandarmi se, significando troppe cose, essa significhi ancora qualcosa. Forse la potremmo paragonare ad un imperatore merovingio; quando la si invoca, viene fatto di cercare il maestro di palazzo.
Alcuni sono arrivati fino ad affermare, come cosa intuitiva, che la democrazia è l'unico regime compatibile con il cristianesimo; d'altra parte, anche coloro che simpatizzano con il governo nazista non rinunziano a usare questa parola. Se qualcuno si risolvesse ad attaccare la democrazia, potrei rendermi conto di ciò che essa significa. In un certo senso, l'Inghilterra e l'America sono indubbiamente più democratiche della Germania; tuttavia i fautori d'un sistema totalitario possono sostenere con argomenti plausibili che la nostra non è una democrazia, ma un'oligarchia finanziaria. Christopher Dawson ritiene che gli Stati non dittatoriali, oggi, non difendono il liberalismo, ma la democrazia, e prevede l'avvento, in tali Stati, di un tipo di democrazia totalitaria. Io condivido le sue previsioni; ma esaminando non soltanto gli Stati non dittatoriali, ma anche le società alle quali essi appartengono, trovo che la sua affermazione non rende giustizia all'influenza che il liberalismo esercita ancora sulla nostra mentalità e sul nostro atteggiamento verso gran parte della vita. Che il liberalismo possa concludersi in qualche cosa di assai diverso dal liberalismo stesso è implicito nella sua natura, poiché esso tende a lasciar sfuggire delle energie piuttosto che ad accumularle, ad allentare piuttosto che a tendere. È un movimento più dichiarato nella sua spinta iniziale che nella meta, che prende l'avvio da qualcosa di definito più che indirizzarvisi. Il nostro punto di partenza ci è più chiaro e reale di quello d'arrivo, il quale, una volta raggiunto, potrà differire in molti modi dalla nostra immagine vaga. Distruggendo le tradizioni sociali di un popolo, dissolvendo in fattori individuali la naturale coscienza collettiva, concedendo libertà alle opinioni più sciocche, sostituendo l'istruzione all'educazione, incoraggiando l'abilità piuttosto che la saggezza, gli “arrivisti” a preferenza dei qualificati, introducendo il principio del “farsi strada” come unica alternativa ad una apatia senza speranza, il liberalismo può aprire le porte a ciò che è la sua stessa negazione: il controllo artificiale, meccanico e brutale che è il disperato rimedio al suo caos.
Voglio che sia chiaro che io parlo di liberalismo in un senso molto più ampio di quel che può venire dedotto, dalla storia di un partito politico, e più ampio di quanto non sia stato mai usato nelle controversie ecclesiastiche. È vero che le tendenze del liberalismo possono venir illustrate più chiaramente dalla storia della religione anziché dalla politica, dove i principi vengono diluiti dalla necessità e l'osservazione oggettiva viene confusa dai particolari e distratta da riforme, ognuna delle quali è valida solo nel proprio ambito ristretto. In religione, il liberalismo può venire definito come un abbandono progressivo di elementi storici del cristianesimo che appaiono superflui, sorpassati, intrecciati a pratiche o ad abusi che è legittimo attaccare. Ma risentendo il suo cammino più della spinta iniziale che dell'attrazione di una meta, esso s'affloscia dopo una serie di assalti, e non avendo più nulla da distruggere, resta anche senza bersaglio e senza stendardo. Tuttavia il liberalismo religioso non m'interessa più particolarmente del liberalismo politico; m'interessa invece un atteggiamento mentale che in determinate circostanze può diventare universale ed impadronirsi ugualmente di amici e di nemici. Mi sarò espresso molto male se avrò dato l'impressione di considerare il liberalismo semplicemente come qualcosa da rifiutare e da estirpare, come un male per cui esiste una sola, semplice, alternativa. È un elemento negativo necessario; e quando ne avrò detto il peggio, avrò detto soltanto che è sconsigliabile far servire un elemento negativo ad un fine positivo.
Liberalismo e conservatorismo, quando vengono opposti l'uno all'altro, possono essere entrambi da respingere: se il liberalismo può significare il caos, il conservatorismo può significare la pietrificazione. Il nostro eterno quesito è "che cosa dev'essere distrutto?" e "che cosa dev'essere conservato?". Né il liberalismo né il conservatorismo, che non sono filosofie e forse si riducono ad abiti mentali, bastano a guidarci.

[...]

Se dunque il liberalismo scomparirà dalla filosofia di vita di un popolo, che cosa resterà di positivo? Non ci rimarrà che il termine "democrazia", una parola che per la generazione presente conserva ancora una risonanza di "libertà". Ma il totalitarismo può mantenere i termini libertà e democrazia e dar loro un significato diverso: e il suo diritto di far questo non può venir negato così facilmente come pensa chi è infiammato dalle passioni politiche. Noi corriamo il pericolo di trovarci senza nient'altro da sostenere fuorché la nostra avversione per ogni istituzione tedesca o russa: una avversione che, essendo frutto di campagne di stampa scandalistiche e di prevenzioni, può avere due risultati ad un tempo, che sembrano a tutta prima incompatibili. Può condurci a rifiutare eventuali progressi pur di non seguire l'esempio di uno o di entrambi quei paesi; e con altrettanta probabilità può renderci imitatori à rebours, facendoci accettare senza critiche tutto o quasi tutto ciò che un'altra nazione rifiutai.

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La mia tesi sinora è stata semplice: una società liberale o negativa non può che avviarsi ad un declino di cui non vediamo la fine, oppure (sia come risultato di una catastrofe o no) ritornare ad una forma positiva che con ogni probabilità sarà efficiente e laica. Per provar timore di fronte ad una simile evoluzione non occorre pensare che questo laicismo somiglierà da vicino ad un qualsiasi sistema politico passato o presente: la capacità degli anglosassoni di diluire la propria religione supera certamente quella di ogni altra nazione. Ma, a meno di accontentarsi di una o dell'altra di queste prospettive, l'unica alternativa che ci resta è la creazione di una società cristiana positiva. Questa terza soluzione farà presa soltanto su coloro che sono uniti in un comune giudizio della situazione presente, e che capiscono come le conseguenze di una società completamente laica sarebbero rifiutate anche da chi non dà un'importanza capitale alla sopravvivenza del cristianesimo di per se stesso.

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A questo punto è necessario sia chiaro che con la qualifica di "cristiano" io non intendo uno Stato i cui capi vengono scelti per i loro meriti, ed ancor meno per la loro eminenza, di cristiani. Un governo di santi finirebbe per diventare troppo scomodo. Non nego che uno Stato cristiano possa ricavare qualche vantaggio dal fatto che i suoi funzionari più autorevoli siano cristiani. Questo accade qualche volta anche ai nostri tempi. Ma pure se oggi tutte le persone che ricoprono le più alte cariche fossero cristiani devoti ed ortodossi, non per questo dovremmo aspettarci che il modo di trattare gli affari pubblici fosse molto diverso. Il cristiano e l'incredulo non si comportano né possono comportarsi molto diversamente nell'esercizio del loro ufficio, perché il contegno degli uomini di Stato è determinato non tanto dalla loro personale devozione, quanto dalla mentalità diffusa nel popolo che governano. Accettiamo pure l'affermazione - di F. S. Oliver - dopo quel che avevano già detto al riguardo Bulow e Disraeli - che i veri uomini di Stato sono ispirati soltanto dal desiderio istintivo del potere e dall'amor patrio: quel che conta non è tanto il cristianesimo degli uomini di Stato quanto che essi siano obbligati, dal carattere e dalle tradizioni del popolo che governano, a realizzare le loro ambizioni e contribuire alla prosperità ed al prestigio del loro paese entro una cornice cristiana. Potranno trovarsi spesso costretti a compiere atti non cristiani; ma non dovranno mai tentare una difesa delle loro azioni facendo ricorso a principi non cristiani.
Coloro che oggi governano, o aspirano a governare, possono dividersi in tre categorie, con una classificazione che non tiene conto delle differenze tra fascismo, comunismo e democrazia. Vi sono quelli che hanno accolto o adattato una filosofia, sia di Marx o di S. Tommaso; quelli che, combinando inventiva ed eclettismo, hanno creato una filosofia propria (priva generalmente della profondità e della consistenza che ci si attende da una dottrina di vita); infine coloro che adempiono ai propri compiti senza alcuna filosofia apparente. lo non pretendo che i governanti di uno Stato cristiano siano filosofi, né che tutte le volte che devono prendere una decisione abbiano presente la massima che un'esistenza virtuosa è il fine di ogni società umana - virtuosa... vita est congregationis humanae finis - ; ma non li vorrei autodidatti, né vorrei che fossero passati in gioventù soltanto per quel sistema di istruzione, eterogenea o specializzata, che passa per educazione: in una parola la loro educazione dovrebbe essere cristiana. Il proposito di un'educazione cristiana non sarebbe soltanto di creare uomini e donne pii: un sistema inteso troppo rigidamente a questo solo fine sarebbe oscurantista. Un'educazione cristiana abituerebbe in primo luogo gli uomini a pensare secondo categorie cristiane, pur non costringendoli alla fede e non imponendo loro l'obbligo di professioni di fede insincere.
Ciò che i governanti crederebbero sarebbe meno importante delle credenze alle quali essi sarebbero costretti a conformarsi. L'uomo di Stato scettico ed indifferente, obbligato a lavorare entro una cornice cristiana, potrebbe svolgere opera più efficace di un cristiano devoto il quale dovesse costringere la propria azione entro una cornice laica. Al primo, infatti, si chiederebbe una politica che servisse al governo di una società cristiana.


T. S. Eliot, L'idea di una società cristiana


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