Sotto l’azzurro fitto
del cielo
qualche uccello di mare se ne va

né sosta mai
perché tutte le immagini portano scritto

“più in là!”




.

"Io dichiaro la mia indipendenza. Io reclamo il mio diritto a scegliere tra tutti gli strumenti che l'universo offre e non permetterò che si dica che alcuni di questi strumenti sono logori solo perché sono già stati usati"

Gilbert Keith Chesterton



31 ottobre 2011

Super eroi anzi no, solo eroi. Che vuol dire solo Uomini.


Ho iniziato da poco a leggere qualche Agiografia qua e la e sto scoprendo un mondo tutto nuovo(che non mi ha mai particolarmente interessato, anzi...) fatto di grandi personaggi che rimpiangi, forse, di non aver potuto incontrare di persona.
Un gruppetto abbastanza eterogeneo di eroi con due palle sotto da far imbarazzare Marvel&sons.
Persone esistite per davvero, che hanno davvero fatto quello che hanno fatto.
Che sono davvero morti come sono morti ma soprattutto che hanno davvero vissuto come hanno Vissuto.


Non pensavo fossero così interessanti.


PS: Andate a cercarvi la storia del Santo di cui portate il nome, così, per curiosità.

28 ottobre 2011

Assisi 2011

[...]
La critica della religione, a partire dall’illuminismo, ha ripetutamente sostenuto che la religione fosse causa di violenza e con ciò ha fomentato l’ostilità contro le religioni. Che qui la religione motivi di fatto la violenza è cosa che, in quanto persone religiose, ci deve preoccupare profondamente. In un modo più sottile, ma sempre crudele, vediamo la religione come causa di violenza anche là dove la violenza viene esercitata da difensori di una religione contro gli altri. I rappresentanti delle religioni convenuti nel 1986 ad Assisi intendevano dire – e noi lo ripetiamo con forza e grande fermezza: questa non è la vera natura della religione. È invece il suo travisamento e contribuisce alla sua distruzione. Contro ciò si obietta: ma da dove sapete quale sia la vera natura della religione? La vostra pretesa non deriva forse dal fatto che tra voi la forza della religione si è spenta? Ed altri obietteranno: ma esiste veramente una natura comune della religione, che si esprime in tutte le religioni ed è pertanto valida per tutte? Queste domande le dobbiamo affrontare se vogliamo contrastare in modo realistico e credibile il ricorso alla violenza per motivi religiosi. Qui si colloca un compito fondamentale del dialogo interreligioso – un compito che da questo incontro deve essere nuovamente sottolineato. Come cristiano, vorrei dire a questo punto: sì, nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna. Ma è assolutamente chiaro che questo è stato un utilizzo abusivo della fede cristiana, in evidente contrasto con la sua vera natura. Il Dio in cui noi cristiani crediamo è il Creatore e Padre di tutti gli uomini, a partire dal quale tutte le persone sono tra loro fratelli e sorelle e costituiscono un’unica famiglia. La Croce di Cristo è per noi il segno del Dio che, al posto della violenza, pone il soffrire con l’altro e l’amare con l’altro. Il suo nome è “Dio dell’amore e della pace” (2 Cor 13,11). È compito di tutti coloro che portano una qualche responsabilità per la fede cristiana purificare continuamente la religione dei cristiani a partire dal suo centro interiore, affinché – nonostante la debolezza dell’uomo – sia veramente strumento della pace di Dio nel mondo.
[...]

Assisi, Basilica di Santa Maria degli Angeli
Giovedì, 27 ottobre 2011


Se solo fosse ascoltato.
Ne avremmo bisogno tutti. E noi Cattolici per primi.

Quante volte invece ci fermiamo all'aspetto o al sentito dire o non approfondiamo i suoi discorsi come meriterebbero.
Basterebbe invece ascoltare le sue parole per scoprire ogni volta un uomo pieno di gioia e di mitezza, mai banale, di grande spessore e che quando parla che non gira intorno alle questioni divagando ma va dritto subito al nocciolo del problema e offre interessanti spunti di dialogo e di riflessione.
Volenti o nolenti, se lo si ascolta, ci si interroga.
L'ho già detto mille volte e lo ripeto una volta di più: mi piace.
Mi piace il suo stile, non cerca di convincerti che lui abbia ragione sommergendoti di dialettica, né ha l'aria di chi si deve difendere da qualcosa o deve giustificarsi da qualcuno.
Espone in modo chiaro e assolutamente coerente e razionale il suo pensiero, il pensiero della Chiesa ponendoti necessariamente, a mio avviso, in condizione di rifiutare tutto ciò che dice in quanto poggia sul nulla di un mare di menzogne o di accettarlo per intero, dalla prima all'ultima parola in quanto fondato sulla Verità. Come dev'essere.
O sbaglia tutto perché le premesse sono false, o ha ragione su tutto perché le premesse sono vere.

Ma le premesse, allora, quali sono?



26 ottobre 2011

Shari'a portami via.

A fare chiarezza ci prova il primo ministro del Cnt Mahmoud Jibril che ha spiegato che questo processo può durare da una settimana a un mese. Il presidente del Cnt si porta già avanti e annuncia senza mezzi termini che la Libia
"come nazione musulmana la sharia è alla base della legislazione: tutte le leggi che contraddicono i principi dell’Islam sono annullate".

Fonte


Occhi puntati.
Ora stiamo a vedere che succede.
E prepariamoci al peggio.


Un interessante articolo sulla Shari'a è qui---> Si, si proprio qui.


Ricordo inoltre che la Shari'a, per stessa ammissione degli Islamici non può convivere con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, in quanto non condivide praticamente nulla di quest'ultima.
Con tutte le conseguenze che ne conseguono pagate dai non mussulmani e dalle donne.

25 ottobre 2011

Sic... sich!!

Che dire di quello che è successo?
Le immagini le abbiamo viste tutti, purtroppo, aggiungo io.
Ho accuratamente evitato di farlo ma dopo 24h mi sono dovuto arrendere alla tv. Un attimo di distrazione a Studio Sport e Zac! Fregato. Non che avessi paura o schifo, semplicemente la morte di qualcuno non puo' essere spettacolarizzata. E non credo che le immagini del terribile incidente rientrino nel "diritto di cronaca". Giornalisticamente non danno nulla di più. Mi erano bastate le descrizioni scritte e la foto che dominava Corriere.it. Prima il Gheddy ora il Sic, in una tacita staffetta di offerte umane sull'altare della informazione.

Ma non è di questo che volevo parlare, mi sono uscite un po' a fiume in totale improvvisazione, e siccome mi uscivano bene dalla tastiera le ho lasciate, anche se totalmente OT rispetto alle intenzioni.
Quindi fate finta che quello di prima fosse una cosa a parte e adesso torniamo a piombo su ciò che volevo, e vorrei ancora, dire a proposito di questo avvenimento.

Eravamo partiti, anzi, ero, con una domanda. Che dire di quello che è successo?
Non credo si possano aggiungere altre parole al dolore, sul serio, per la notizia, arrivata come uno sparo mentre stavo parlando di tutt'altro.
Pero' dopo un paio di giorni, smaltita la botta e in tempi meno sospetti, posso provare ad approfondire una frase, che non credevo suscitasse così interesse, che ho detto a voce e scritto su FB e che non trovava nessuno d'accordo.
Provocatoriamente, forse esagerando, avevo paventato un "Basta con le moto, però".
Riflettendo a caldo sulla morte di Simoncelli, pilota per il quale "tifavo"(in realtà delle motoGP non è che mi interessava granchè, mi limitavo  guardare la partenza, ogni tanto, se proprio proprio mi trovavo davanti alla tele, addirittura anche gare intere e tenermi informato sui podi. E le pagelle a StudioSport) mi sono chiesto se alla fine il gioco vale la candela.
Cos'è il gioco? Uomini che a bordo di una moto sfrecciano a oltre 300km/h impegnandosi in staccate da folli portando al limite i loro mezzi.
Cos'è la candela? Tutto il Business che c'è dietro. Stipendi, sponsor, vendita di gadget, sviluppo dei mezzi. Tutto questo pero' è direttamente proporzionale al bacino di pubblico che segue lo sport. Quindi in definitiva lo scopo di tutto questo è divertire la gente a casa e gli spettatori al circuito. Se la gente si annoia, si chiude, se la gente apprezza, si va avanti.

Ora, secondo me, non è giusto che delle persone rischino la vita per regalare ad altre i brividi e le emozioni delle loro gesta.
Rischiano la vita? Beh, sì. C'è una componente si pericolosità intrinseca negli sport di velocità. Il portare al limite il mezzo, che alla fine e' quello per cui sono pagati i campioni, di piloti ordinari ce ne sono a palate, credo, significa ridurre al minimo il margine di errore. E un errore a 300km/h lo paghi. Una volta ti fratturi un osso, e ci può stare. Un'altra ti lussi la spalla, e ci può stare. Un'altra cadi e ti passano sopra 2 moto, muori e ci può... no calma, secondo me non ci può stare.
 Sono esseri umani, chiunque può sbagliare. Appunto.
 Cosa si può fare? Aumentare le protezioni o ridurre le velocità? Alla fine incidenti cosi' capiteranno sempre. Appunto.
Si possono cambiare le regole, modificare i regolamenti, ma gli interventi devono essere pesanti per poter cambiare le cose(ovvero il fatto che la morte di uno dei corridori sia un fattore non estraneo a queste competizioni). A questo punto non sarebbe quasi più MotoGP. Appunto.

Daltronde e' vero che ogni lavoro presenta un tasso minimo di rischio e che i morti sul lavoro sono una realtà quotidiana. Però è anche vero che chi lavora non mette la propria vita in pericolo per la sola soddisfazione di un pubblico pagante.
E secondo me e' qui che si gioca la differenza.
Non possiamo fermare il mondo, ogni lavoro e' rischioso, per evitare i morti.
Non è concepibile fermare, chessò, il traffico aereo perchè anche li un incidente può essere mortale. Però non possiamo, almeno per me, paragonare una gara di moto ad un volo aereo. Hanno due fini diversi, anche se gli esiti, fatali, possono coincidere.
Un aereo vola per portare merci e persone da una parte all'altra del mondo. Una frazione infinitesimale del traffico aereo è per diletto o per spettacolo. Il resto del traffico è un mezzo(di trasporto, appunto) e non un fine.
Le competizioni invece, in moto, in macchina, in aereo, sui motoscafi, sono fini a se stesse. Lo scopo del pubblico, dei piloti si gioca li, nella gara.
Ed e' questo che a mio parere stona.
Non si dovrebbe morire per una gara.
E non si dovrebbe aver piacere nel seguire uno sport che può avere come esito(non atteso, per carità, e nemmeno sicuro, ma possibile, in ogni momento della gara) la morte di uno degli atleti.

Propongo quindi la chiusura definitiva delle corse di velocità?
Boh, personalmente non ci troverei nulla di sbagliato in una decisione in questo senso.
So benissimo, d'altronde, che non ci si muoverà mai in questa direzione e che non convincerò nessuno.
Però credo sia importante riflettere, almeno noi spettatori, sul valore della vita.

La vita di un uomo 24enne, vale 2 ore la settimana di emozione?


22 ottobre 2011

Gheddy gheddy

Africa 

Primi 10
Posto Stato ISU
Nuove stime 2010 per il 2010
Alto
53 Bandiera della Libia Libia 0,755
72 Bandiera delle Mauritius Mauritius 0,701
81 Bandiera della Tunisia Tunisia 0,683
84 Bandiera dell'Algeria Algeria 0,677
Medio
93 Bandiera del Gabon Gabon 0,648
98 Bandiera del Botswana Botswana 0,633
101 Bandiera dell'Egitto Egitto 0,620
105 Bandiera della Namibia Namibia 0,606
110 Bandiera del Sudafrica Sudafrica 0,597
114 Bandiera del Marocco Marocco 0,567

Qui

Ma come?
La Libia del terribile Gheddafi messa, dall'ONU, al primo posto tra i paesi africani nella classifica dell'ISU?
(a me di norma non piacciono queste sottospecie di classifiche che pretendono di stabilire il benessere e la vivibilità in uno stato, pero' qualcosa può voler dire se addirittura viene messa al primo posto, con valori più alti di Russia e Brasile, giusto per...)

Ora, se la Libia si trova li credo che un po' di(tutto il) merito sia del Rais, anche perché il valore ha un tasso di crescita positivo, addirittura superiore a quello di qualunque altro paese europeo, e tra i primi 80 stati solo il Brasile ha un incremento del genere.

La mia non vuole essere una apologia del nostro campeggiatore preferito, le sue sparate nell'ultima sua venuta in Italia me le ricordo bene.
Cosa ha fatto da quando e' salito al potere lo si può leggere ovunque.
Che si sia arricchito approfittando della sua posizione è fuor di dubbio.
Ne ha combinate di cotte e di crude.

Pero'...

Una parte del suo popolo lo amava ancora, qualche cosa di buono in Libia per i Libici l'ha fatta. Ha nazionalizzato i pozzi di petrolio espropriandoli dalle mani delle multinazionali occidentali, per esempio. Illegale, forse, ma non mi trova del tutto contrario. Ha affrontato a muso duro un po' chiunque per salvare i suoi interessi in Libia, e probabilmente salvaguardando anche gli interessi dei Libici, pur magari non essendo questo il suo primo pensiero. Tutto sommato in Libia tanto male non si stava.
Una figura decisamente controversa.
Io stesso faccio fatica ad esprimere un giudizio definitivo sul suo operato.
Sulla sua persona una idea me la sono fatta.


Tutto questo per dire cosa?

Semplicemente che godere in sguaiatamente ed esageratamente per la morte di una persona trucidata senza processo(un giudizio definitivo e assoluto e' difficile da dare) mi pare da barbari.

Quindi al diavolo tutti i giornali, telegiornali e siti che ci hanno spiattellato le foto o peggio, i video, di un uomo rantolante, indifeso, morente.


18 ottobre 2011

V per Pagliaccio

Guardando i cortei e le varie manifestazioni degli ultimi tempi, ed in particolare quella di Sabato scorso a Roma, non ho potuto non notare un fiorire sempre più rigoglioso di maschere di Guy Fawkes, quelle del film V per Vendetta, per capirci.


Il film, carino, racconta le gesta di una "vittima del sistema", quello si dittatoriale e corrotto, una oligarchia alla Orwell, una societa' controllata dall'alto ad ogni livello. Il nostro eroe si prodiga per combattere questo governo corrotto e, tra omicidi e demolizioni varie, alla fine riesce far crollare i cattivissimi e a riportare la democrazia e la libertà in Gran Bretagna.
Il film funziona, i cattivi sono davvero cattivi: vengono a prenderti a casa manganellate a gogo, sacchetto nero in testa e tanti saluti. Se osi contraddire o protestare le autorita', o se sei gay o immigrato(mi pare), questa e' la tua fine.
Una vera dittatura nazi/comunista fatta e finita, nessuna libertà in cambio di quiete e pace, dove la figura di V  spicca salvifica e positiva e l'uso della violenza diventa quasi indispensabile contro un governo del genere.
Nel film.


Nella realtà?
Il fatto stesso che questo film esista, non sia proibito ne' messo all'indice ci pone un grado di libertà superiore a quello concesso nel film.
Ed così è per mille altre cose.


L'indossare la maschera oggi e qui perde ogni significato in questo contesto che ha poco da condividere con UK 2019. 
In Iran avrebbe senso; in Cina, in Nord Corea. 
Probabilmente anche a Cuba. 
Ed e' per questo che dubito fortemente che si possa impunemente guardare, vendere, diffondere V per Vendetta in questi regimi che non sono molto distanti da quello nel film.
Se hai visto la pellicola(o letto il fumetto), allora vivi in un contesto non paragonabile a quel mondo e immedesimarti, vestendo i suoi panni, in V e' un esercizio che va bene solo a carnevale o con spirito comunque carnevalesco.
Nel momento in cui lo fai con convinzione, con serietà, si scade nel patetico e nell'infantile.

Nel film la maschera ha un significato particolare. E' l'identità dietro alla quale si può combattere il regime, e' la difesa del mio viso, del mio volto, il tutore della mia libertà. Se protesti o contesti senza maschera, anche solo urlando uno slogan, vanno a guardarsi le registrazioni, ti identificano e nottetempo vengono a trovarti a casa. La maschera diventa quindi sussidio indispensabile.


Oggi, invece, mi sembra che chi la indossi la usi come legittimazione della propria protesta, immaginandosi una dittatura che non esiste, difendendosi da rappresaglie che non arriveranno mai, sentendosi un po' V per qualche ora a pochi metri da casa propria. 
Rivoluzionari della Domenica pomeriggio.
Rovesciatori di dittature in democrazia.










« I popoli non dovrebbero temere i propri governi: sono i governi che dovrebbero temere i loro popoli. i popoli dovrebbero essere il proprio governo.»


Mio personale punto di vista. Se poi si vuole combattere, vediamo pure questi due soggetti come in conflitto. Io preferisco vederli in sinergia. Che poi sia più facile la prima via e' un altro paio di maniche. Di sicuro seguendo la seconda si vive meglio.



PS: Nulla da dire sulla legittimità delle proteste di Sabato. A volto scoperto, con cognizione di causa.
Mi repelle il mondo della finanza e delle banche.
 

23 settembre 2011

Come possiamo distinguere tra il bene e il male?

"La politica deve essere un impegno per la giustizia e creare così le condizioni di fondo per la pace. Naturalmente un politico cercherà il successo che di per sé gli apre la possibilità dell’azione politica effettiva. Ma il successo è subordinato al criterio della giustizia, alla volontà di attuare il diritto e all’intelligenza del diritto."
[...]
“Come possiamo distinguere tra il bene e il male, tra il vero diritto e il diritto solo apparente?"
[...]
"In gran parte della materia da regolare giuridicamente, quello della maggioranza può essere un criterio sufficiente. Ma è evidente che nelle questioni fondamentali del diritto, nelle quali è in gioco la dignità dell’uomo e dell’umanità, il principio maggioritario non basta: nel processo di formazione del diritto, ogni persona che ha responsabilità deve cercare lei stessa i criteri del proprio orientamento."
[...]
"i combattenti della resistenza hanno agito contro il regime nazista e contro altri regimi totalitari, rendendo così un servizio al diritto e all’intera umanità. Per queste persone era evidente in modo incontestabile che il diritto vigente, in realtà, era ingiustizia. Ma nelle decisioni di un politico democratico, la domanda su che cosa ora corrisponda alla legge della verità, che cosa sia veramente giusto e possa diventare legge non è altrettanto evidente."
[...]
" “Quando i pagani, che non hanno la Legge [la Torà di Israele], per natura agiscono secondo la Legge, essi… sono legge a se stessi. Essi dimostrano che quanto la Legge esige è scritto nei loro cuori, come risulta dalla testimonianza della loro coscienza…” (Rm 2,14s). Qui compaiono i due concetti fondamentali di natura e di coscienza, in cui “coscienza” non è altro che il “cuore docile” di Salomone, la ragione aperta al linguaggio dell’essere. Se con ciò fino all’epoca dell’Illuminismo, della Dichiarazione dei Diritti umani dopo la Seconda guerra mondiale e fino alla formazione della nostra Legge Fondamentale la questione circa i fondamenti della legislazione sembrava chiarita, nell’ultimo mezzo secolo è avvenuto un drammatico cambiamento della situazione. L’idea del diritto naturale è considerata oggi una dottrina cattolica piuttosto singolare, su cui non varrebbe la pena discutere al di fuori dell’ambito cattolico, così che quasi ci si vergogna di menzionarne anche soltanto il termine."

Ma non ha senso leggerla a bocconi e sprazzi, quindi...

Illustre Signor Presidente Federale!

Signor Presidente del Bundestag!Signora Cancelliere Federale!

Signor Presidente del Bundesrat!Signore e Signori Deputati!



E’ per me un onore e una gioia parlare davanti a questa Camera alta – davanti al Parlamento della mia Patria tedesca, che si riunisce qui come rappresentanza del popolo, eletta democraticamente, per lavorare per il bene della Repubblica Federale della Germania. Vorrei ringraziare il Signor Presidente del Bundestag per il suo invito a tenere questo discorso, così come per le gentili parole di benvenuto e di apprezzamento con cui mi ha accolto. In questa ora mi rivolgo a Voi, stimati Signori e Signore – certamente anche come connazionale che si sa legato per tutta la vita alle sue origini e segue con partecipazione le vicende della Patria tedesca. Ma l’invito a tenere questo discorso è rivolto a me in quanto Papa, in quanto Vescovo di Roma, che porta la suprema responsabilità per la cristianità cattolica. Con ciò Voi riconoscete il ruolo che spetta alla Santa Sede quale partner all’interno della Comunità dei Popoli e degli Stati. In base a questa mia responsabilità internazionale vorrei proporVi alcune considerazioni sui fondamenti dello Stato liberale di diritto.



Mi si consenta di cominciare le mie riflessioni sui fondamenti del diritto con una piccola narrazione tratta dalla Sacra Scrittura. Nel Primo Libro dei Re si racconta che al giovane re Salomone, in occasione della sua intronizzazione, Dio concesse di avanzare una richiesta. Che cosa chiederà il giovane sovrano in questo momento importante? Successo, ricchezza, una lunga vita, l’eliminazione dei nemici? Nulla di tutto questo egli chiede. Domanda invece: “Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male” (1Re 3,9). Con questo racconto la Bibbia vuole indicarci che cosa, in definitiva, deve essere importante per un politico. Il suo criterio ultimo e la motivazione per il suo lavoro come politico non deve essere il successo e tanto meno il profitto materiale. La politica deve essere un impegno per la giustizia e creare così le condizioni di fondo per la pace. Naturalmente un politico cercherà il successo che di per sé gli apre la possibilità dell’azione politica effettiva. Ma il successo è subordinato al criterio della giustizia, alla volontà di attuare il diritto e all’intelligenza del diritto. Il successo può essere anche una seduzione e così può aprire la strada alla contraffazione del diritto, alla distruzione della giustizia. “Togli il diritto – e allora che cosa distingue lo Stato da una grossa banda di briganti?” ha sentenziato una volta sant’Agostino.



1. Noi tedeschi sappiamo per nostra esperienza che queste parole non sono un vuoto spauracchio. Noi abbiamo sperimentato il separarsi del potere dal diritto, il porsi del potere contro il diritto, il suo calpestare il diritto, così che lo Stato era diventato lo strumento per la distruzione del diritto – era diventato una banda di briganti molto ben organizzata, che poteva minacciare il mondo intero e spingerlo sull’orlo del precipizio. Servire il diritto e combattere il dominio dell’ingiustizia è e rimane il compito fondamentale del politico. In un momento storico in cui l’uomo ha acquistato un potere finora inimmaginabile, questo compito diventa particolarmente urgente. L’uomo è in grado di distruggere il mondo.



Può manipolare se stesso. Può, per così dire, creare esseri umani ed escludere altri esseri umani dall’essere uomini. Come riconosciamo che cosa è giusto? Come possiamo distinguere tra il bene e il male, tra il vero diritto e il diritto solo apparente? La richiesta salomonica resta la questione decisiva davanti alla quale l’uomo politico e la politica si trovano anche oggi.

In gran parte della materia da regolare giuridicamente, quello della maggioranza può essere un criterio sufficiente. Ma è evidente che nelle questioni fondamentali del diritto, nelle quali è in gioco la dignità dell’uomo e dell’umanità, il principio maggioritario non basta: nel processo di formazione del diritto, ogni persona che ha responsabilità deve cercare lei stessa i criteri del proprio orientamento. Nel Terzo secolo, il grande teologo Origene ha giustificato così la resistenza dei cristiani a certi ordinamenti giuridici in vigore: “Se qualcuno si trovasse presso il popolo della Scizia che ha leggi irreligiose e fosse costretto a vivere in mezzo a loro… questi senz’altro agirebbe in modo molto ragionevole se, in nome della legge della verità che presso il popolo della Scizia è appunto illegalità, insieme con altri che hanno la stessa opinione, formasse associazioni anche contro l’ordinamento in vigore…”.



2. In base a questa convinzione, i combattenti della resistenza hanno agito contro il regime nazista e contro altri regimi totalitari, rendendo così un servizio al diritto e all’intera umanità. Per queste persone era evidente in modo incontestabile che il diritto vigente, in realtà, era ingiustizia. Ma nelle decisioni di un politico democratico, la domanda su che cosa ora corrisponda alla legge della verità, che cosa sia veramente giusto e possa diventare legge non è altrettanto evidente. Ciò che in riferimento alle fondamentali questioni antropologiche sia la cosa giusta e possa diventare diritto vigente, oggi non è affatto evidente di per sé. Alla questione come si possa riconoscere ciò che veramente è giusto e servire così la giustizia nella legislazione, non è mai stato facile trovare la risposta e oggi, nell’abbondanza delle nostre conoscenze e delle nostre capacità, tale questione è diventata ancora molto più difficile.



Come si riconosce ciò che è giusto? Nella storia, gli ordinamenti giuridici sono stati quasi sempre motivati in modo religioso: sulla base di un riferimento alla Divinità si decide ciò che tra gli uomini è giusto. Contrariamente ad altre grandi religioni, il cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato, un ordinamento giuridico derivante da una rivelazione. Ha invece rimandato alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto – ha rimandato all’armonia tra ragione oggettiva e soggettiva, un’armonia che però presuppone l’essere ambedue le sfere fondate nella Ragione creatrice di Dio. Con ciò i teologi cristiani si sono associati ad un movimento filosofico e giuridico che si era formato sin dal secolo II a. C. Nella prima metà del secondo secolo precristiano si ebbe un incontro tra il diritto naturale sociale sviluppato dai filosofi stoici e autorevoli maestri del diritto romano.



3. In questo contatto è nata la cultura giuridica occidentale, che è stata ed è tuttora di un’importanza determinante per la cultura giuridica dell’umanità. Da questo legame precristiano tra diritto e filosofia parte la via che porta, attraverso il Medioevo cristiano, allo sviluppo giuridico dell’Illuminismo fino alla Dichiarazione dei Diritti umani e fino alla nostra Legge Fondamentale tedesca, con cui il nostro popolo, nel 1949, ha riconosciuto “gli inviolabili e inalienabili diritti dell’uomo come fondamento di ogni comunità umana, della pace e della giustizia nel mondo”.



Per lo sviluppo del diritto e per lo sviluppo dell’umanità è stato decisivo che i teologi cristiani abbiano preso posizione contro il diritto religioso, richiesto dalla fede nelle divinità, e si siano messi dalla parte della filosofia, riconoscendo come fonte giuridica valida per tutti la ragione e la natura nella loro correlazione. Questa scelta l’aveva già compiuta san Paolo, quando, nella sua Lettera ai Romani, afferma: “Quando i pagani, che non hanno la Legge [la Torà di Israele], per natura agiscono secondo la Legge, essi… sono legge a se stessi. Essi dimostrano che quanto la Legge esige è scritto nei loro cuori, come risulta dalla testimonianza della loro coscienza…” (Rm 2,14s). Qui compaiono i due concetti fondamentali di natura e di coscienza, in cui “coscienza” non è altro che il “cuore docile” di Salomone, la ragione aperta al linguaggio dell’essere. Se con ciò fino all’epoca dell’Illuminismo, della Dichiarazione dei Diritti umani dopo la Seconda guerra mondiale e fino alla formazione della nostra Legge Fondamentale la questione circa i fondamenti della legislazione sembrava chiarita, nell’ultimo mezzo secolo è avvenuto un drammatico cambiamento della situazione. L’idea del diritto naturale è considerata oggi una dottrina cattolica piuttosto singolare, su cui non varrebbe la pena discutere al di fuori dell’ambito cattolico, così che quasi ci si vergogna di menzionarne anche soltanto il termine. Vorrei brevemente indicare come mai si sia creata questa situazione. E’ fondamentale anzitutto la tesi secondo cui tra l’essere e il dover essere ci sarebbe un abisso insormontabile. Dall’essere non potrebbe derivare un dovere, perché si tratterebbe di due ambiti assolutamente diversi. La base di tale opinione è la concezione positivista, oggi quasi generalmente adottata, di natura e ragione. Se si considera la natura – con le parole di Hans Kelsen – “un aggregato di dati oggettivi, congiunti gli uni agli altri quali cause ed effetti”, allora da essa realmente non può derivare alcuna indicazione che sia in qualche modo di carattere etico.

4. Una concezione positivista di natura, che comprende la natura in modo puramente funzionale, così come le scienze naturali la spiegano, non può creare alcun ponte verso l’ethos e il diritto, ma suscitare nuovamente solo risposte funzionali. La stessa cosa, però, vale anche per la ragione in una visione positivista, che da molti è considerata come l’unica visione scientifica. In essa, ciò che non è verificabile o falsificabile non rientra nell’ambito della ragione nel senso stretto. Per questo l’ethos e la religione devono essere assegnati all’ambito del soggettivo e cadono fuori dall’ambito della ragione nel senso stretto della parola. Dove vige il dominio esclusivo della ragione positivista – e ciò è in gran parte il caso nella nostra coscienza pubblica – le fonti classiche di conoscenza dell’ethos e del diritto sono messe fuori gioco. Questa è una situazione drammatica che interessa tutti e su cui è necessaria una discussione pubblica; invitare urgentemente ad essa è un’intenzione essenziale di questo discorso.



Il concetto positivista di natura e ragione, la visione positivista del mondo è nel suo insieme una parte grandiosa della conoscenza umana e della capacità umana, alla quale non dobbiamo assolutamente rinunciare. Ma essa stessa nel suo insieme non è una cultura che corrisponda e sia sufficiente all’essere uomini in tutta la sua ampiezza. Dove la ragione positivista si ritiene come la sola cultura sufficiente, relegando tutte le altre realtà culturali allo stato di sottoculture, essa riduce l’uomo, anzi, minaccia la sua umanità. Lo dico proprio in vista dell’Europa, in cui vasti ambienti cercano di riconoscere solo il positivismo come cultura comune e come fondamento comune per la formazione del diritto, mentre tutte le altre convinzioni e gli altri valori della nostra cultura vengono ridotti allo stato di una sottocultura. Con ciò si pone l’Europa, di fronte alle altre culture del mondo, in una condizione di mancanza di cultura e vengono suscitate, al contempo, correnti estremiste e radicali. La ragione positivista, che si presenta in modo esclusivista e non è in grado di percepire qualcosa al di là di ciò che è funzionale, assomiglia agli edifici di cemento armato senza finestre, in cui ci diamo il clima e la luce da soli e non vogliamo più ricevere ambedue le cose dal mondo vasto di Dio. E tuttavia non possiamo illuderci che in tale mondo autocostruito attingiamo in segreto ugualmente alle “risorse” di Dio, che trasformiamo in prodotti nostri. Bisogna tornare a spalancare le finestre, dobbiamo vedere di nuovo la vastità del mondo, il cielo e la terra ed imparare ad usare tutto questo in modo giusto.



Ma come lo si realizza? Come troviamo l’ingresso nella vastità, nell’insieme? Come può la ragione ritrovare la sua grandezza senza scivolare nell’irrazionale? Come può la natura apparire nuovamente nella sua vera profondità, nelle sue esigenze e con le sue indicazioni? Richiamo alla memoria un processo della recente storia politica, nella speranza di non essere troppo frainteso né di suscitare troppe polemiche unilaterali. Direi che la comparsa del movimento ecologico nella politica tedesca a partire dagli anni Settanta, pur non avendo forse spalancato finestre, tuttavia è stata e rimane un grido che anela all’aria fresca, un grido che non si può ignorare né accantonare, perché vi si intravede troppa irrazionalità. Persone giovani si erano rese conto che nei nostri rapporti con la natura c’è qualcosa che non va; che la materia non è soltanto un materiale per il nostro fare, ma che la terra stessa porta in sé la propria dignità e noi dobbiamo seguire le sue indicazioni. E’ chiaro che qui non faccio propaganda per un determinato partito politico – nulla mi è più estraneo di questo. Quando nel nostro rapporto con la realtà c’è qualcosa che non va, allora dobbiamo tutti riflettere seriamente sull’insieme e tutti siamo rinviati alla questione circa i fondamenti della nostra stessa cultura. Mi sia concesso di soffermarmi ancora un momento su questo punto. L’importanza dell’ecologia è ormai indiscussa. Dobbiamo ascoltare il linguaggio della natura e rispondervi coerentemente. Vorrei però affrontare con forza ancora un punto che oggi come ieri viene largamente trascurato: esiste anche un’ecologia dell’uomo. Anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere. L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso. Egli è spirito e volontà, ma è anche natura, e la sua volontà è giusta quando egli ascolta la natura, la rispetta e quando accetta se stesso per quello che è, e che non si è creato da sé. Proprio così e soltanto così si realizza la vera libertà umana.



Torniamo ai concetti fondamentali di natura e ragione da cui eravamo partiti. Il grande teorico del positivismo giuridico, Kelsen, all’età di 84 anni – nel 1965 – abbandonò il dualismo di essere e dover essere. (Quindi ha aggiunto a braccio: “Mi consola di pensare che a 84 anni si possa ancora dire qualcosa di ragionevole” – risate e applausi dei parlamentari). Aveva detto che le norme possono derivare solo dalla volontà. Di conseguenza, la natura potrebbe racchiudere in sé delle norme solo se una volontà avesse messo in essa queste norme. Ciò, d’altra parte, presupporrebbe un Dio creatore, la cui volontà si è inserita nella natura. “Discutere sulla verità di questa fede è una cosa assolutamente vana”, egli nota a proposito.

5 Lo è veramente? – vorrei domandare. È veramente privo di senso riflettere se la ragione oggettiva che si manifesta nella natura non presupponga una Ragione creativa, un Creator Spiritus?



A questo punto dovrebbe venirci in aiuto il patrimonio culturale dell’Europa. Sulla base della convinzione circa l’esistenza di un Dio creatore sono state sviluppate l’idea dei diritti umani, l’idea dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge, la conoscenza dell’inviolabilità della dignità umana in ogni singola persona e la consapevolezza della responsabilità degli uomini per il loro agire. Queste conoscenze della ragione costituiscono la nostra memoria culturale. Ignorarla o considerarla come mero passato sarebbe un’amputazione della nostra cultura nel suo insieme e la priverebbe della sua interezza. La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma – dall’incontro tra la fede in Dio di Israele, la ragione filosofica dei Greci e il pensiero giuridico di Roma. Questo triplice incontro forma l’intima identità dell’Europa. Nella consapevolezza della responsabilità dell’uomo davanti a Dio e nel riconoscimento della dignità inviolabile dell’uomo, di ogni uomo, questo incontro ha fissato dei criteri del diritto, difendere i quali è nostro compito in questo momento storico.



Al giovane re Salomone, nell’ora dell’assunzione del potere, è stata concessa una sua richiesta. Che cosa sarebbe se a noi, legislatori di oggi, venisse concesso di avanzare una richiesta? Che cosa chiederemmo? Penso che anche oggi, in ultima analisi, non potremmo desiderare altro che un cuore docile – la capacità di distinguere il bene dal male e di stabilire così un vero diritto, di servire la giustizia e la pace. Grazie per la vostra attenzione.
Papa Benedetto XVI


09 settembre 2011

La difficile impresa

[...]
Nel tentativo di sfondare il cordone di sicurezza un esponente della Cgil ha travolto e gettato a terra un carabiniere. L'uomo è stato a quel punto fermato, identificato ed accusato, al momento, di oltraggio a pubblico ufficiale. Il Giro di Padania aveva subito contestazioni, con pugni ai corridori, già nei primi due giorni di gara.

Fonte

Senza contare, appunto, tutti i casini dei giorni scorsi, praticamente da quando e' iniziato questo "giro della padania".
E la difficile impresa non e' certo correre questa gara, per me sarebbe semplicemente impossibile. Il difficile e' farmi provare simpatia ed empaticita' verso la Lega.
Non si dovrebbero avere dubbi su chi abbia ragione tra i due contendenti anche a prescindere dall'uso della violenza che viene fatto e che dovrebbe suggerire ad ogni persona onesta chi abbia torto e chi no(sich!), vista la totale inconsistenza delle due principali argomentazioni che usano i manifestanti per giustificare le loro aggressioni(ma facciamo, appunto, finta che la protesta sia pacifica...).
Dicono:

1) La padania non esiste! 
Embe'? Possono tranquillamente chiamarlo anche "giro della Terra di Mezzo" o "giro dell'Isola che non c'è" per quanto mi riguarda.
Il percorso esiste, i ciclisti sono reali, si cominci a rispettare loro, piuttosto che aggredirli in virtu' di una cosa che non esiste.
Se ti tirassi un pugno in faccia, ma lo chiamassi "colpo di Ares" penso che del nome ti interessi ben poco e non mi contestrai certo la non esistenza di Ares, guarderesti alla realta' dei fatti, cioe' che ti ho sfasciato lo zigomo(anche se piu' verosimilmente sarei io a farmi male alla mano, suppongo). La realta' dei fatti ci impone allora di prendere atto che una gara ciclistica e' in corso, che ha un tracciato, ci sono dei corridori, hanno tutti i permessi del mondo, non infrangono alcuna legge e hanno tutti i diritti di farla senza essere aggrediti da chicchessia. Questa e' la realta'. Si cominci con il rispetto e con l'accettazione di questa. Poi, sul nome, si potra' anche discutere.

2) Non si deve mischiare sport con politica.
E chi mai l'ha detto? Chi ha deciso questo dogma? Su che argomenti si fonda questa cosa?
Forse perche' lo sport dev'essere di tutti, dev'essere democratico(sich! l'aggettivo piu' abusato di sempre. Triplice fischio, il milan batte il crotone 2 a 1... un momento, giungono i risultati del televoto... e secondo il pubblico il crotone ha segnato ben 3 gol quest'oggi... clamoroso al Meazza, milan 2 crotone 3?) e non deve dividere(?), come ci spiega il buon Ferrero?
Prendiamone atto, allora, senza inoltrarci troppo nella difficile comprensione della questione e senza provare a sfatarla.
Questa bellissima cosa(parrebbe esserlo) allora la si puo' e la si deve estendere, e non puo' che essere  valida, per ogni ambito che non e' politica e che dev'essere democratico e che deve unire(parrebbero i presupposti di quanto sopra, e al momento ci vanno bene).
 La cultura, allora, nel suo significato piu' ampio, deve unire e non puo' che essere democratica e, per esempio, anche il teatro e' democratico e non puo' dividere e la musica dev'essere democratica e non dovrebbe dividere.
Lasciamo assolutamente fuori la politica da queste cose.
Bene.
Avete appena eliminato Fo e De Andre'. Due a caso.
Bellissima argomentazione, non c'è che dire.
Un applauso a Ferrero.
Un mostro di furbizia.

Anche il grigio piu' torbido, se accostato al nero piu' cupo, pare chiaro e luminoso.




E lasciateli organizzare tutte le gare che vogliono. Magari ci prendono gusto e fan solo quello...

06 agosto 2011

Indifendibili diritti e immoralita' dilagante.

Le pistole ad acqua inquietano l'Iran

Conservatori(n.d.l. Integralisti sarebbe forse meglio, non avendo questi nulla a che vedere con i conservatori per come li intendiamo noi) indignati per battaglia nel parco fra uomini e donne. Raduni improvvisati che sfidano il regime

GERUSALEMME - Una ragazza iraniana spruzza gli amici con una pistola ad acqua, e ride con la bocca spalancata e la nuca all'indietro, mentre ciuffi di capelli neri sfuggono al velo inzuppato. Un uomo dalla barba incolta digrigna i denti mentre regge un cannone giallo e arancione. Una donna in chador nero, sotto un sole da 40 gradi, rovescia addosso a un'altra una bottiglia d'acqua.
Un ragazzo in abiti occidentali punta l'arma di plastica alla tempia della sua vittima, già fradicia sotto una pioggia di gavettoni. Festa in un parco di Teheran, la settimana scorsa. Una sorta di flash mob , un raduno tra sconosciuti lanciato via Facebook e durato alcune ore. Niente slogan politici, solo schizzi e risate, con centinaia di partecipanti. Ma quando le foto sono finite sul web hanno scatenato la rabbia dei conservatori, con proteste anche in Parlamento. La polizia è scattata in azione per punire quei comportamenti «anormali» e «immorali», e diversi giovani sono stati arrestati. Uno dopo l'altro, ripresi di spalle dalla tv di Stato, hanno confessato il loro crimine. «Era un evento molto intimo, molto più intimo di quanto avrebbe dovuto essere».

Non era la prima volta. Una settimana fa, una flash mob di gente in abiti bruttissimi e buffi s'è riunita in un altro parco di Teheran per una sorta di carnevale fuori stagione. A gennaio, si sono radunati in un giardino pubblico «gli iraniani con i capelli ricci». E poi battaglie di vernice, di bolle di sapone, incontri per far volare gli aquiloni. Foto e video ogni volta appaiono su Facebook , formalmente bandito in Iran ma al quale si riesce comunque ad accedere. Le autorità della Repubblica islamica tentano di impedire da 32 anni i rapporti tra giovani dei due sessi, di controllarne l'abbigliamento e il taglio di capelli in nome della morale islamica.

Una recente vignetta dell'agenzia di Stato Fars raffigura due donne: la prima in chador (velata «come si deve») ha un cervello da far invidia ad Einstein; l'altra, «mal velata» (come molte ragazze con le pistole ad acqua) ha un cervello di gallina. Ma sono strategie poco efficaci su un 65% della popolazione che ha meno di 35 anni. Un simbolo della battaglia contro la censura è diventato in questi giorni un bimbo di 5 anni, Farnood. In un programma tv per bambini, la presentatrice gli ha chiesto: «Cosa fai nel tempo libero?». Lui risponde che va in bagno, si abbassa le mutande e si lava da solo. La donna arretra di qualche passo, finge di non aver capito: «Accendi la lavatrice da solo? No no no, non si fa». Il video del bambino «immorale» è diventato virale.

Nonostante gli arresti, nuove «guerriglie dell'acqua» sono state annunciate a Teheran, Isfahan e Karaj. Il loro sito Twitter ricorda che nella tradizione zoroastriana - che la Repubblica islamica inutilmente ha cercato di estirpare - esiste una festa di mezza estate denominata Tiregan, in cui adulti e bambini nuotano e si spruzzano l'un l'altro. Una festa gioiosa. Alcuni, come il blogger Fetnegar, sperano che «queste battaglie possano risvegliare il Movimento Verde», con proteste come quelle del 2009 contro il presidente Ahmadinejad. Altri esprimono fastidio: «Ci sono prigionieri politici che fanno scioperi della fame, e noi stiamo a parlare di pistole ad acqua». Continuano gli arresti e i processi di intellettuali, attivisti, giornalisti ritenuti oppositori del regime. Nonostante tutto, gli iraniani rivendicano la gioia di vivere.
Fonte


Di questo pero' non scandalizziamoci. Scandalizziamoci piuttosto di chi in italia vuole una legge, udite bene, contro il burqua! Orrore.
Vero, in Iran non usano il burqua, "solo" chador e niqab.
Pero' mi pare evidente, e questa e' solo una prova in piu', che non si tratta, com ci raccontano Bindi e compagnia bella, di una questione di autodeterminazione delle donne, del loro diritto di poter indossare, se lo vogliono, anche il velo integrale e cazzate varie in salsa neo-femminista(?)-politically correct.

La questione e' su un altro piano, secondo me.
Un piano differente dalla sola liberta' di una donna di NON indossare questi indumenti(e questa si che e' una lotta da fare, ma a quanto pare alla Bindi interessa poco o nulla delle donne o almeno di queste donne, che sono in fin dei conti i sogetti deboli che dovrebbero essere tutelati dallo stato)

Il piano sul quale va afforntato il problema e' piu' che altro sui significati.
Sul significato che questi indumenti rappresentano, sul carico di valori che la storia gli ha attribuito.
Finche' nel mondo anche solo una donna verra maltrattata e picchiata, finanche uccisa, per non aver indossato questi abiti, ognuno di questi indumenti sara' macchiato del sangue di quella donna e, secondo me, non puo' essere indossato.
O meglio, chi lo fa, anche in piena liberta', e' complice di quel crimine.
Un po' come e' successo per le svastiche. Un simbolo macchiato per sempre dalla storia. Chiunque ne indossi una fara' pensare subito ai nazisti non certo ai millenni di cultura che l'hanno usata prima di loro.
Ed e' lo stesso per il velo, che da 32 anni a questa parte e' simbolo della oppressione culturale dei regimi islamici.


Queste sono donne Iraniane oggi.


Queste sono studentesse universitarie iraniane prima del '79.


Avete visto come erano tristi prima di conoscere il salvifico uso del velo islamico? Facciamo bene qui in italia a portare avanti la loro lotta per la liberta' nell'uso di questi gai indumenti!

15 luglio 2011

A proposito del Sudan.

Nel Sud Kordofan, in Sudan, sta accadendo qualcosa di terribile che potrebbe essere considerato simile al genocidio attuato da Omar al Bashir in Darfur. Un’immagine satellitare mostra un’area in cui sono state appena scavate delle tombe. E il sospetto che si tratti di fosse comuni in cui sono stati gettati i corpi dei Nuba, un gruppo etnico di neri africani che si oppone al dominio degli arabi nel Sudan, è quasi una certezza. Cinque testimoni oculari (rimasti anonimi per ragioni di sicurezza) parlano di almeno cento cadaveri scaricati dai camion e nascosti sottoterra.
A dare la notizia è stato il Satellite Sentinel Project (SSP), il progetto nato dall’iniziativa della star hollywoodiana George Clooney in collaborazione con l’Onu e l’Università di Harvard, che consente di osservare l’evolversi della situazione in Sudan su internet: “Le immagini mostrano i dettagli e le caratteristiche delle atrocità e degli assassini descritti da almeno cinque testimoni oculari” ha spiegato all’Associated Press Nathaniel A. Raymond dell’Harvard Humanitarian Initiative che analizza le immagini dell’SSP. Le tre fosse comuni, che misurano 26 metri per cinque,  sono visibili vicino ad una scuola nel villaggio di Tilo nei pressi di Kadugli, la capitale del Sud Kordofan, dove dal 5 giugno si susseguono gli scontri tra l’esercito di Khartoum e i membri dell’esercito ribelle che si è schierato con il Sud Sudan nella decennale guerra civile, costata due milioni di morti e finita con la nascita della nuova nazione il 9 luglio scorso.  Secondo le Nazioni Unite almeno 73mila persone sarebbero fuggite dalla regione nell’ultimo mese e mezzo.
Un rappresentante del partito al governo in Sudan ha smentito categoricamente la notizia: “Sono soltanto voci per metterci in cattiva luce – ha dichiarato Rabbie A. Atti, portavoce del National Congress Party -, se ci sono dei sospetti su quelle foto basta recarsi sul posto e verificare qual è la realtà. L’area è accessibile a chi vuole andarci”.  Ma sia i giornalisti che gli osservatori internazionali e le ong sostengono che le autorità del Sud Kordofan impediscono l’accesso alla zona per impedire che le atrocità commesse vengano rese pubbliche.
Il governatore dello Stato, Ahmed Haroun, che è accusato dal Tribunale penale internazionale  di crimini contro l’umanità nei confronti della popolazione civile, qualche mese fa ha sospeso il referendum che doveva determinare la volontà della popolazione sulla secessione. Da lì sono cominciati gli scontri.   Della zona fa parte la contesa regione di Abyei, ricca di petrolio, cui il Sudan di Bashir non vuole assolutamente rinunciare.
Eric Reeves, professore allo Smith College in Massachussetts, ha passato undici anni in Sudan per documentare i crimini che sono stati commessi in Darfur. Ora segue con attenzione gli avvenimenti in Sud Kordofan: “Sono settimane che arrivano notizie di omicidi mirati nelle montagne Nuba. Ora quest’immagine potrebbe dare la conferma dell’esistenza di una pulizia etnica.  Stanno sterminando il popolo Nuba”.

Fonte


Pero' queste son cose che si sapevano da tempo.
E a parte questa rubrichetta un po' sfigata del corriere.it e immagino un articolino imboscato da qualche parte, non so quanta eco avra' la notizia.