Sotto l’azzurro fitto
del cielo
qualche uccello di mare se ne va

né sosta mai
perché tutte le immagini portano scritto

“più in là!”




.

"Io dichiaro la mia indipendenza. Io reclamo il mio diritto a scegliere tra tutti gli strumenti che l'universo offre e non permetterò che si dica che alcuni di questi strumenti sono logori solo perché sono già stati usati"

Gilbert Keith Chesterton



22 aprile 2011

Sono Gaia e scrivo perche' ho una tasiera davanti.

Anton, calciatore e gay  «In Italia non l'avrei detto»
«Anche in Svezia mi insultano, ma non volevo più nascondermi».

I compagni hanno reagito bene 




GÖTEBORG - Qui, nella bionda, civile, laica e tenacemente monarchica Svezia, il peggio che ogni weekend gli può capitare è qualche «finocchio!» che piove giù dagli spalti del campetto dell'Utsiktens Bk, berciato da uno dei duecento biondi, civili, laici e forse tenacemente monarchici tifosi avversari saliti fino a Göteborg per insultare lui, il primo calciatore professionista dichiaratamente gay dai tempi della favola nera di Justin Fashanu: coming out nel '90 e un suicidio per impiccagione otto anni dopo essere stato rigettato dal mondo del calcio come un organo trapiantato male.
Anton Hysen, 20 anni, figlio orgoglioso di uno degli atleti che negli anni 80 contribuirono ad alimentare il mito del calciatore-macho, Glenn Hysen (difensore di Fiorentina e Liverpool, un indimenticato tackle sulle caviglie di Gary Lineker a Wembley che è ancora tra i ricordi più cari della Kop), due orecchini, un piercing sulla lingua, otto tatuaggi destinati a crescere (Ynwa sul braccio: sta per You'll never walk alone, il coro-totem della curva del Liverpool, città dove è nato), uno zio omosessuale, una cugina lesbica, terza stagione nella divisione 2 svedese (più di una Lega dilettanti, meno di una serie C italiana), è il ragazzo finito in copertina sul Guardian e, a cascata, su tutti i quotidiani. «Sei la quinta giornalista che viene a intervistarmi. Ma la prima non inglese - dice, tirandosela un po', davanti a una carbonara fumante -. E perché, poi? Perché sono gay. Ma cosa avrò di così speciale...?».
Niente, in effetti. Più aderente alla delicata iconografia dei personaggi di E.M. Forster che a un certo burlesque da Gay Pride («Oh, quelle forme di esibizionismo della propria omosessualità non fanno per me, così come non sono attratto dai gay effemminati, che pure mi corteggiano»), Anton pur essendo ingenuo e a digiuno di cose della vita sa benissimo che una storia come la sua in Italia non avrebbe diritto di cittadinanza. «Non ho niente da nascondere, ho fatto coming out per poter vivere me stesso alla luce del sole. Certo vivo in Svezia, un Paese ateo e liberale, una scelta del genere in una nazione cattolica come l'Italia sarebbe stata più difficile. Ai tifosi dovrebbe interessare che sono un giocatore tecnico e non velocissimo, se mi schierano in difesa o esterno di centrocampo, e non con chi vado a letto». Ti insultano? «Certo che mi insultano». E cosa dicono? «Finocchio! Giochi come una femminuccia! Cose così...». E tu come reagisci? «Sento i cori, penso che provengono da gente ignorante e immatura, torno a concentrarmi sulla partita». E i tuoi compagni di squadra come hanno reagito? «Bene. Sono persone gentili e rispettose». Tuo padre Glenn è il coach dell'Utsiktens Bk. «Sì, ma non c'entra. Lui non viene sotto la doccia con noi». E sotto la doccia cosa succede? «Ma niente. I soliti scherzi, le solite battute... ». Tipo? «Tipo: c'è Anton, non lasciate cadere il sapone ragazzi!». È avvilente o divertente? «Non m'importa, a volte ci scherzo su anch'io, è normale. Io non sono religioso. Credo in me stesso, nella mia famiglia e nei miei amici. Vivo giorno per giorno. Il resto non mi preoccupa». Tutto qui? «Tutto qui».
È il perimetro di questo playground, campo di Vastra Frolunda, verde periferia di Göteborg, paesone socialdemocratico e liberale, mezzo milione di abitanti più interessati all'afflusso di immigrati dalla Danimarca che all'omosessualità di Anton, a definirne portata e dimensioni. Martina Navratilova, che con il suo coraggio incosciente perse fior di contratti, sfidò il mondo. Gareth Thomas si lanciò a mani nude dentro la mischia più furibonda dello sport, il rugby. Greg Louganis perse sangue dentro una piscina olimpica, non nella vasca da bagno di casa sua. E Nigel Owens, arbitro della palla ovale, disse la verità che Anton inghiotte insieme a un sorso di sidro, protagonista di una bega di condominio e, certo, non di una guerra mondiale come gli altri: «Se fossi un arbitro di calcio non avrei mai ammesso di essere gay». La sua vita, fin qui, sembra un reality di Mtv. «Avevo una fidanzata bellissima quando, due anni fa, mi resi conto di essere attratto dai ragazzi. Mi sono confidato con mia cugina, la lesbica. Poi l'ho detto a mia madre Helena. Infine a mio padre Glenn, la persona di cui più temevo il giudizio. Papà mi ha ascoltato e poi ha detto: non potrei essere più fiero di te, ti sosterrei anche se volessi fare la ballerina classica».
La scelta di Anton è stata raccontata da Offside, magazine svedese di calcio. Da lì è partito il traversone per l'Europa: Inghilterra, Francia, Spagna, Germania, Italia, le terre proibite dove questa mentalità, tra la gramigna del calcio omofobo e continentale, avrebbe attecchito meno. «Siamo nel 2011, basta ipocrisie, qualcuno doveva rompere il ghiaccio e io l'ho fatto» sorride Anton baldanzoso di giovinezza e inesperienza, senza sapere che una curva di San Siro o una frangia dell'Olimpico capace di fermare un derby sarebbero una psicoterapia sconsigliata da chiunque. Mamma Helena teme che, se in futuro passasse a una squadra più forte («Certo che giocherei in Italia, ma il sogno proibito è il Liverpool di Gerrard, il mio eroe»), con una tifoseria più ampia e agguerrita, Anton possa finire nei guai. E, magari, pentirsi dell'onestà di cui ha vestito questa piccola notorietà che in fondo lo lusinga («I miei parenti già lo sapevano: non ho fatto coming out per pubblicità, non me n'è venuto niente in tasca...»), anche se è chiaro che i fragili parastinchi dell'Utsiktens poco possono contro i tackle violenti dell'esistenza.
Ma Anton si fa forte dei valori che sente di rappresentare («Lealtà, verità, umiltà: non arrivi da nessuna parte con gli atteggiamenti di Balotelli, che pure è un attaccante straordinario...»), delle decisioni che ne stanno indirizzando le giornate, della vita che si è scelto. Lavora part time alla catena di montaggio della Volvo locale. Non è fidanzato. «Se uscirei con un calciatore? Se fosse carino, perché no?» ride, inconsciamente fedele allo stereotipo più duro da sradicare. Desidera uno stipendio migliore, un futuro luminoso, un amore vero. Come tutti, uomini e donne, gay e etero. Ecco perché alla fine, quando l'arbitro fischia il novantesimo e sotto la doccia ricominciano quegli scherzi infantili, la storia di Anton Hysen è uguale a quella degli altri dieci uomini in campo. Compresi quelli che fanno i disinvolti, e poi tengono davvero stretto in mano il sapone.
Fonte



Sara' che a me non piace la giornalista, Gaia Piccardi, sempre pronta a imbastire crociate contro mulini a vento, giusto per compiacersi un po'.
Sara' che io il calcio lo vivo dall'esterno (come la nostra Gaia, del resto).
Sara' che un articolo che prova a gettare fango sull'italia, sul calcio e su tutti, partendo da argomentazioni cosi' deboli non puo' fare altro che farmi girare un po' le palle.

Ma questo articolo mi pare, e dico mi pare, stia raccontandop di un mondo che non esiste.

Mi piacerebbe sapere quale sia il "peggio che gli puo' capitare qui" in italia. Rischia forse il linciaggio? Mah... Non mi pare ci sia questa moria di omosessuali, anzi, in TV sono normalmente invitati nelle trasmissioni.

Non capisco quando parla di Spagna, Inghilterra, Francia e Italia come territori del diavolo, dove i Gay sono male accolti, in contrapposizione alla Svezia, il loro paradiso. Dal momento che lei stessa ci dice che anche la viene insultato e che i suoi compagni di squadra in doccia ci ridono, ma stanno bene attenti a non far cadere la saponetta (ma che ne sa lei?).

E non capisco nemmeno perche' un giocatore di calcio Gay dovrebbe dichiarlo pubblicamente.
Mi sembra che della stragrande maggioranza dei calciatori si sappia poco o nulla della vita privata, e sinceramente, a me non interessa sapere se uno e' gay o meno. Si parla al massimo del matrimonio di quelli famosi, e se si mettono con una velina. Ma quanti sono calciatori che sono insieme ad una maestra di asilo e non hanno mai fatto outing? Razzismo verso di loro? Paura? No, semplicemente si fanno i cavoli loro, giustamente. A me non interessano queste cose. E penso a nessuno gliene freghi, sono cose che non dovrebbero uscire dallo spogliatoio.
Io da un calciatore mi aspetto che giochi bene, se e' milanista. Un po' meno bene se gioca in altre squadre. Il resto, no.

Non so perche' ho deciso di parlare di questo articolo. Probabilmente perche' mi ha dato un vivo fastidio questo parlare male un po' a caso dell'Italia, senza di fatto usare una argomentazione valida lodando e miticizzando la Svezia, che per carita' non ha nulla di male, ma mi pare che non sia poi questo paradiso assoluto.



PS: ma un giocatore professionista, non dovrebbe vivere dello sport che pratica? cosa va a farci alla Volvo?

PPS: E' davvero il primo calciatore gay dichiarato, in tutta europa, in tutte le serie, dal 98 ad oggi? Ho i miei dubbi... cioe', se vanno a pescarne uno che gioca nella II divisione svedese... statisticamente mi lascia perplesso

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