Sotto l’azzurro fitto
del cielo
qualche uccello di mare se ne va

né sosta mai
perché tutte le immagini portano scritto

“più in là!”




.

"Io dichiaro la mia indipendenza. Io reclamo il mio diritto a scegliere tra tutti gli strumenti che l'universo offre e non permetterò che si dica che alcuni di questi strumenti sono logori solo perché sono già stati usati"

Gilbert Keith Chesterton



03 giugno 2011

Referendum e monossido di diidrogeno II

I prossimi 12 e 13 giugno gli italiani saranno chiamati a votare quattro referendum: sul legittimo impedimento, sul nucleare e (due) sull’acqua. Ieri è arrivato dalla Cassazione il via libera definitivo al quesito sull’atomo, dopo che il governo aveva già abrogato tutte le norme investite dalla formulazione precedente. Adesso gli italiani dovranno decidere se cancellare l’articolo 5, commi 1 e 8 della legge Omnibus: l’uno non fa altro che dichiarare le ragioni per cui il governo intende abbandonare l’atomo, l’altro impegna alla redazione della strategia energetica nazionale. Una scelta, dunque, assai singolare, che se da un lato mina la portata pratica del quesito, dall’altra lo mette in rotta di collisione con una delle principali accuse che l’opposizione rivolge all’esecutivo in materia di politica energetica (appunto, non aver mai prodotto una strategia energetica).
Sull’acqua, invece, gli italiani dovranno rispondere a due quesiti. Il primo, che riguarda anche altri servizi pubblici locali quali la gestione dei rifiuti e il trasporto pubblico, chiede di abolire l’obbligo di affidamento del servizio, in via ordinaria, tramite gara. Contemporaneamente cadrebbe anche l’altra possibilità offerta ai comuni, prevista sempre dalla legge Ronchi-Fitto, quella di scendere gradualmente nel capitale degli attuali gestori, trovando un socio industriale “con specifici compiti operativi” selezionato anch’esso attraverso una procedura a evidenza pubblica. La legge Ronchi è il logico, anche se insufficiente, punto di arrivo di un percorso (bipartisan) iniziato con la legge Galli e proseguito con la legge Napolitano-Vigneri e il ddl Lanzillotta.
Il secondo quesito, che invece è specifico del settore idrico, cancellerebbe le parole “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito” dalle voci di costo che possono essere trasferite in tariffa. In sostanza, poichè i capitali costano, gli investimenti nell’intero ciclo dell’acqua (dalla captazione alla depurazione) sarebbero coperti solo parzialmente dalla tariffa, e per il resto dalle finanze pubbliche locali (tasse o debito pubblico).
Nella pratica, i referendum imporrebbero una rivoluzione copernicana all’attuale organizzazione del servizio idrico, riportandolo – concettualmente – a prima del 1994. Eppure, secondo Federutility sono necessari investimenti nell’ordine di almeno 64 miliardi di euro per raggiungere gli standard europei, tappare le falle (i nostri acquedotti perdono il 37 per cento dell’acqua trasportata) e realizzare i depuratori dove non esistono o sono obsoleti. La campagna referendaria ha trascurato due aspetti importanti dell’intera impalcatura normativa, e ne ha lasciato in ombra un terzo. Anzitutto, l’acqua e le reti sono e restano di proprietà pubblica – il privato può (se vince una gara alla quale possono partecipare pure soggetti pubblici) aggiudicarsene la mera gestione.
Secondariamente, le tariffe italiane sono tra le più basse in Europa (la spesa media pro capite per la bolletta dell’acqua è attorno ai 100 euro all’anno). Peraltro, anche per razionalizzare gli usi, è importante che la tariffa rifletta tutti i costi relativi al consumo idrico. Terzo, i referendum non intaccano – e i referendari raramente ne parlano – l’aspetto regolatorio. Il potenziamento della Commissione nazionale di vigilanza sulle risorse idriche, che dovrebbe diventare un’autorità indipendente, può essere una buona notizia, se avrà risorse e competenze appropriate. Ma finché non si sottrae la politica tariffaria dalle mani degli uomini politici, che hanno interesse a usarla o come strumento clientelare, o come leva elettorale, difficilmente i problemi verranno risolti.
Rifiutarsi di risolvere i problemi equivale o a spostare il costo sulle generazioni future, o accettare un costo ambientale (sotto forma di stress idrico o di inquinamento) in luogo di uno economico. Che tutto questo nasca da un movimento che si dichiara ecologista è solo la parte più folkloristica del paradosso. La parte più ingombrante, invece, è che si continui a parlare del colore del gatto, mentre quasi nessuno s’interessa ai topi.

Fonte

"...la quantità di acqua immessa nel sistema idrico nel 2008, riferita a 36,5 milioni di abitanti, è di 5,308 miliardi di m3. Questo dato parametrato sugli attuali 60 milioni di abitanti, così come indicato dallo stesso Co.Vi.Ri, implica una valore di 8,72 miliardi di m3 del prezioso liquido immessi nei tubi. Tenuto conto che la percentuale media di perdite del sistema idrico italiano è del 30% ecco, allora, che si giunge al valore di 2,61 miliardi di m3..." 

"Al di là degli sprechi c'è un altro dato che fa riflettere. La media degli investimenti europea per garantire un sistema efficiente è di 274 euro al metro cubo di H2O. Ebbene, in Italia, questo valore si aggira, secondo Kpmg, sui 107 euro."

Fonte

Sottolineo ancora una delle ultime frasi del primo articolo, "accettare un costo ambientale in luogo di uno economico".
Cioe' siamo disposti, pur di non spendere qualche euro in piu' in bolletta, a lasciare le cose come stanno. Cioe' male. Alla fine, se dobbiamo rifare le tubature perche' perdono, o costruire un nuovo depuratore, e' giusto che lo paghino gli utenti che direttamente ne fanno uso.
E' anche un buon sistema di controllo. Se io utente mi trovo a pagare 400€ in piu' all'anno di bollette senza che vengano costruite infrastrutture, vado dritto dritto in comune. Immagino che non saro' il solo, ma che sia una condizione di tutti. Forse manca uno strumento di controllo, o forse c'è gia', con la facolta' di ritirare l'asegnazione del bando e indire una causa contro l'ex vincitore che ha disatteso il bando stesso.
Sarebbe sicuramente un metodo piu' sicuro e chiaro che non finanziare gli stessi lavori, o la stessa Ferrari del vincitore dell'appalto, con soldi che arrivano comunque da noi, ma tramite giri piu' complessi e sicuramente meno limpidi. Chi va a sapere quanto soldi si intasca quella tale azienda sotto forma di contributi statali?Dovresti proprio andartelo a cercare, mentre la bolletta, e' lei che cerca te.

Mi pare evidente che se servono davvero quei 64.000.000€ di investimenti (e servono per prevenire le perdite di acqua, il termine oro blu non l'ho coniato io; c'è chi fa la guerra per averne, e noi la buttiamo via? Oppure per depurare i nostri scarichi che vanno in mare e alterano l'ecosistema danneggiandolo; si, e' vero, niente panda in pericolo e nessun cucciolo di orso bianco da salvare, ma la questione e' la stessa. Ma evidentemente sono cose che non ci interessano. Salvo poi fare slogan e pagliacciate sul risparmiare l'acqua in casa... ), che sia lo Stato a pagare o che siamo noi non fa nessuna differenza, in quanto semplicemente, lo stato Siamo noi.
Solo, preferisco sapere precisamente quanto do e a chi, cosa che, se dovessimo votare Si, sarebbe piu' difficile, e andrebbe quindi ad avvantaggiare chi, nel pubblico, si arricchisce alle nostre spalle (che e' un infame quanto il privato che lo farebbe al suo posto, non cambia nulla).


Per quanto riguarda il secondo articolo, e' del 2009, in tempi assolutamente non sospetti. Il quadro descritto non e' certo roseo. Se vogliamo addirittura fare un passo indietro, prego.

E quindi?
E quindi No No No Si.

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