Sotto l’azzurro fitto
del cielo
qualche uccello di mare se ne va

né sosta mai
perché tutte le immagini portano scritto

“più in là!”




.

"Io dichiaro la mia indipendenza. Io reclamo il mio diritto a scegliere tra tutti gli strumenti che l'universo offre e non permetterò che si dica che alcuni di questi strumenti sono logori solo perché sono già stati usati"

Gilbert Keith Chesterton



15 maggio 2011

Referendum e monossido di diidrogeno

NO

Perché l’acqua deve stare fuori dal sistema dei prezzi?

All’approssimarsi della data di due tra i quesiti referendari più emotivamente caratterizzati ed altrettanto fuorvianti della recente storia italiana, una opportuna riflessione di Franco Debenedetti sul tema. Per la serie conoscere per deliberare, impresa ormai disperata in questo paese.

Come è (forse) noto, i due quesiti referendari riguardano essenzialmente la gestione della rete idrica e la tariffa dell’acqua. Nel primo caso, il comitato promotore intende abrogare l’articolo 23 bis della legge 233/2008, che “stabilisce come modalità ordinarie di gestione del servizio idrico l’affidamento a soggetti privati attraverso gara o l’affidamento a società a capitale misto pubblico-privato, all’interno delle quali il privato sia stato scelto attraverso gara e detenga almeno il 40%”. Osserva Debenedetti che il problema che abbiamo di fronte non riguarda l’assetto proprietario dell’acqua (che restrebbe pubblico), bensì i criteri per l’assegnazione delle gare di appalto per ammodernare e sviluppare le reti, ponendo tra l’altro fine all’indecente fenomeno della dispersione, stimata in media al 30 per cento ma che in alcune realtà è ben superiore. Sostituire l’appalto in house da parte dell’ente locale con una regolare procedura di messa a gara serve a contenere quei fenomeni di socialismo municipale che tanto hanno contribuito, sinora, a sottrarre efficienza al sistema economico.

Riguardo le tariffe, oggetto del secondo referendum, il “rischio” evidente è quello di un aumento vertiginoso delle stesse, per finanziare i nuovi investimenti. Per questo motivo, i proponenti del referendum intendono eliminare il comma del cosiddetto “codice dell’ambiente” che dispone che la tariffa per il servizio idrico è determinata tenendo conto dell’“adeguatezza della remunerazione del capitale investito”. Se vincessero i si, per tradurre, il costo degli investimenti finirebbe a carico della fiscalità generale, con effetti ulteriormente depressivi sull’economia dati dal fatto che nei prossimi anni nel settore idrico serviranno, come detto, enormi esborsi.

Sostiene Franco Debenedetti, una delle menti più lucide prodotte dalla sinistra italiana (ammesso e non concesso che la sinistra lo consideri un proprio “prodotto”):

«L’uno-due dei referendari è micidiale: col quesito numero uno vogliono che le opere pubbliche vengano pagate a piè di lista, con il quesito numero due vogliono che la gente non sappia neppure quanto questo le costa. Certamente esisteranno anche fasce di indigenza tali da non poter pagare neanche l’acqua per bere e per lavarsi – anche se in tal caso gli interventi per sopperire alle loro necessità e soprattutto per aiutarli a uscire dalla situazione di povertà dovrebbero essere ben più radicali e mirati -; ma come qualificare chi sfrutta questa indigenza per beneficiare anche chi l’acqua la usa per fontane e piscine, oppure per usi industriali? Perché costoro non debbono pagare l’acqua al prezzo giusto? I prezzi sono uno strumento per l’efficiente allocazione delle risorse, in particolare per decidere gli investimenti. Perché l’acqua deve stare fuori dal sistema dei prezzi?»

Già, perché? Eppure, sarebbe sufficiente lavorare su un welfare realmente dei bisogni, stabilendo esenzioni e sussidi a beneficio di chi è realmente in condizione di disagio economico, e porre a carico della fiscalità generale solo quella parte dell’intervento. L’obiezione più ricorrente all’eliminazione della riserva in house è che l’intervento del privato non è garanzia di efficienza, soprattutto in un paese come il nostro, dove connivenze tra appaltatori e committenti pubblici sono parte integrante del paesaggio. Ma identica obiezione può essere sollevata per l’esecuzione del servizio da parte dell’ente locale, in condizioni di splendida solitudine e di determinazione fantasiosa dei relativi costi. Insomma, serve comunque l’affermazione di una cultura del controllo da parte dei cittadini, che dovrebbe già esistere ma che auspicabilmente si rafforzerà con l’affermazione dell’idea federalista (anche se siamo destinati ad avere un federalismo “alla padana”, cioè molto italiano e gabelliere). Diversamente, i termini della questione non risiederebbero nella dicotomia tra statalisti e liberisti ma nel trasversale dualismo tra guardie e ladri, ed abbiamo non da oggi il sospetto che sia proprio questo il vero problema italiano.

Per questo dobbiamo convincerci che l’acqua è e resta un bene pubblico, anche votando due no al referendum.

[...]

fonte

o SI



FINALITA' DEL PRIMO QUESITO: fermare la privatizzazione dell’acqua

Si propone l’abrogazione dell’art. 23 bis (dodici commi) della Legge n. 133/2008 , relativo alla privatizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica.

È l’ultima normativa approvata dal Governo Berlusconi. Stabilisce come modalità ordinarie di gestione del servizio idrico l’affidamento a soggetti privati attraverso gara o l’affidamento a società a capitale misto pubblico-privato, all’interno delle quali il privato sia stato scelto attraverso gara e detenga almeno il 40%.
Con questa norma, si vogliono mettere definitivamente sul mercato le gestioni dei 64 ATO (su 92) che o non hanno ancora proceduto ad affidamento, o hanno affidato la gestione del servizio idrico a società a totale capitale pubblico. Queste ultime infatti cesseranno improrogabilmente entro il dicembre 2011, o potranno continuare alla sola condizione di trasformarsi in società miste, con capitale privato al 40%. La norma inoltre disciplina le società miste collocate in Borsa, le quali, per poter mantenere l’affidamento del servizio, dovranno diminuire la quota di capitale pubblico al 40% entro giugno 2013 e al 30% entro il dicembre 2015.

Abrogare questa norma significa contrastare l’accelerazione sulle privatizzazioni imposta dal Governo e la definitiva consegna al mercato dei servizi idrici in questo Paese.

FINALITA' DEL SECONDO QUESITO: fuori i profitti dall'acqua

Si propone l’abrogazione dell’’art. 154 del Decreto Legislativo n. 152/2006 (c.d. Codice dell’Ambiente), limitatamente a quella parte del comma 1 che dispone che la tariffa per il servizio idrico è determinata tenendo conto dell’ “adeguatezza della remunerazione del capitale investito”.

Poche parole, ma di grande rilevanza simbolica e di immediata concretezza. Perché la parte di normativa che si chiede di abrogare è quella che consente al gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% a remunerazione del capitale investito, senza alcun collegamento a qualsiasi logica di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio.

Abrogando questa parte dell’articolo sulla norma tariffaria, si elimina il “cavallo di Troia” che ha aperto la strada ai privati nella gestione dei servizi idrici: si impedisce di fare profitti sull'acqua.



fonte

-----------------------------------------------------------

Amiacque,il nostro acquedotto

------------------------------------------------------------

Sono ancora dubbioso su come votare.

Il nostro acquedotto non se la cava male.

Credo, pero', che un aumento dei prezzi dell'acqua, se ha come conseguenza un aumento/miglioramento/rifacimento delle infrastrutture, sia piu' che legittimo e anzi auspicabile.

Perche' io che sto attento a non fare il bagno ma la doccia, a spegnere l'acqua quando mi lavo i denti, a seguire tutti i consigli et simila che vengono dati per risparmiare l'acqua, dovrei essere bendisposto a spendere un po' di piu' per salvare il 30% di acqua che viene continuamente, ininterrottamente persa dalla nostra rete idrica, no?

Idem, se e' un privato a vincere la gara di appalto e riesce a migliorare l'efficenza della rete idrica, anche a seguito di un aumento della bolletta, non dovrei eserne scandalizzato. Nemmeno se dovvese guadagnarci. Mi dovrei scandalizzare piuttosto dei conti in rosso di una societa' pubblica ( i cui impiegati, comunque, ci guadagnano, e in un modo o nell'altro siamo sempre noi a pagarli).

E' anche vero che un privato puo' essere meno virtuoso del pubblico e marciarci sopra alla grande, alzando i prezzi ma non migliorando le strutture, anzi, lasciandole peggiorare per aumentare i margini di guadagno alle stelle, lasciando poi, a contratto scaduto un acquedotto in condizioni peggiori di quelle che aveva trovato.

Ed e' anche vero che un aumento del prezzo dell'acqua non e' indice di un miglioramento del servizio.

Quindi che fare?
Che votare?

Sul nucleare ero sicurissmo.
Sul legittimo impedimento sono un po' meno sicuro ma credo di sapere cosa fare.
Sui primi due questi alto mare.

Votare in blocco SI-SI-SI-SI come si consiglia non mi sembra una scelta ragionata.
Votare in blocco NO-NO-NO-NO mi pare parimenti poco calibrato.

Mi sembra di essere un vero alternativo. Ad avere dei dubbi.



Nessun commento: