Le
discussioni teologiche sono sottili ma non magre. In tutta la
confusione della spensieratezza moderna, che vuol chiamarsi pensiero
moderno, non c’è nulla forse di così stupendamente stupido quanto il
detto comune: «La religione non può mai dipendere da minuziose dispute
di dottrina». Sarebbe lo stesso affermare che la vita umana non può mai
dipendere da minuziose dispute di medicina. L’uomo che si compiace
dicendo: «Non vogliamo teologi che spacchino capelli in quattro»,
sarebbe forse d’avviso di aggiungere: «e non vogliamo dei chirurghi che
dividano filamenti ancora più sottili». È un fatto che molti individui
oggi sarebbero morti se i loro medici non si fossero soffermati sulle
minime sfumature della propria scienza: ed è altrettanto un fatto che la
civiltà europea oggi sarebbe morta se i suoi dottori di teologia non
avessero argomentato sulle più sottili distinzioni di dottrina. Nessuno
scriverà mai una Storia d’Europa un po’ logica finché non riconoscerà il
valore dei Concili, della Chiesa, quelle collaborazioni vaste e
competenti che ebbero per scopo di investigare mille e mille pensieri
diversi per trovare quello unico della Chiesa. I grandi Concili
religiosi sono di un’importanza pratica di gran lunga superiore a quella
dei Trattati internazionali, perni sui quali si ha l’abitudine di far
girare gli avvenimenti e le tendenze dei popoli. I nostri affari di oggi
stesso, infatti, sono ben più influenzati da Nicea ed Efeso, da Trento e
Basilea, che da Utrecht o Amiens o Versailles. In quasi tutti i casi
vediamo che
la pace politica ebbe per base un compromesso: la pace
religiosa invece si fondava su di una distinzione. Non fu affatto un
compromesso dire che Gesù Cristo era vero Dio e vero Uomo, come fu
invece un compromesso la decisione che Danzica sarebbe stata in parte
polacca ed in parte tedesca:
era bensì la dichiarazione di un principio
la cui perfetta pienezza lo distingueva sia dalla teoria ariana, sia da
quella monofisita. E questo principio ha influito e influisce tuttora
sulla mentalità di europei, da ammiragli a fruttivendole, che pensano
(sia pure vagamente) a Cristo come a qualcosa di Umano e Divino nello
stesso tempo. Mentre il domandare alla fruttivendola quali siano per lei
le conseguenze pratiche del Trattato di Utrecht sarebbe meno che
fruttuoso. Tutta la nostra civiltà risulta da queste vecchie decisioni
morali, che molti credono insignificanti. Il giorno in cui furono
portate a termine certe note contese di metafisica sul Destino e sulla
Libertà, fu deciso anche se l’Austria dovesse o no somigliare
all’Arabia, o se viaggiare in Spagna dovesse essere lo stesso che
viaggiare nel Marocco. Quando i dogmatici fecero una sottile distinzione
fra la sorta di onore dovuto al matrimonio e quello dovuto alla
verginità, stamparono la civiltà di un intero continente con un marchio
di rosso e di bianco, marchio che non tutti rispettano, ma che tutti
riconoscono, anche mentre l’oltraggiano. Nello stesso modo, allorché si
stabilì la differenza tra il prestito legale e l’usura, nacque una vera e
propria coscienza umana storica, che anche nello spettacoloso trionfo
dell’usura, nell’età materialistica, non si è potuto distruggere. Quando
san Tommaso d’Aquino definì il diritto di proprietà e nello stesso
tempo gli abusi della falsa proprietà, fondò la tradizione di una
schiatta di uomini, riconoscibili allora e ora, nella politica
collettiva di Melbourne e di Chicago: e ciò staccandosi dal comunismo
coll’ammettere i diritti della proprietà, ma anche protestando, in
pratica, contro la plutocrazia. Le distinzioni più sottili hanno
prodotto i cristiani comuni:
coloro che credono giusto il bere e
biasimevole l’ubriachezza; coloro che credono normale il matrimonio e
anormale la poligamia; coloro che condannano chi colpisce per primo ma
assolvono chi ferisce in propria difesa; coloro che credono ben fatto
scolpire le statue e iniquo adorarle: tutte queste sono, quando ci si
pensa, molto fini distinzioni teologiche. Il caso delle statue è
particolarmente importante in questo argomento. Il turista che visita
Roma è colpito dalla ricchezza, quasi sovrabbondanza, di statue che vi
si trovano; or bene, il fatto dell’importanza dei Concili diviene ancora
più impressionante quando tutto l’avvenire artistico di una terra
dipende da una sola distinzione, e la distinzione stessa da un solo
Uomo. Fu il Papa, solo, che rilevò la differenza tra venerazione delle
immagini e idolatria. Fu lui solo a salvare tutta la superficie
artistica dell’Europa e di conseguenza l’intera carta geografica del
mondo moderno, dall’essere nuda e priva dei rilievi dell’Arte. Nel
difendere quest’idea, il Pontefice difendeva il san Giorgio di Donatello
e il Mosè di Michelangiolo, e com’egli fu forte e deciso in Roma così
il David sta gigantesco su Firenze, ed i graziosi putti dei Della Robbia
sono apparsi come squarci di azzurro e nubi nel Palazzo di Perugia, e
nelle celle di Assisi. Se dunque una tale distinzione teologica è un
filo sottile, tutta la Storia dell’Occidente è sospesa a quel filo;
se
non è che un punto di affermazione, tutto il nostro passato è in
equilibrio su di affermazione, tutto il nostro passato è in equilibrio
su di esso.
Gilbert Keith Chesterton
Ed era circa 100 anni fa.
Leggete Chesterton.
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